Sembra passata una manciata di giorni da quando, su queste stesse pagine, ho preso il coraggio a due mani e ho affrontato uno dei temi più scottanti nel rapporto fra lo show televisivo ‘Game of Thrones’ e la saga di romanzi da cui la serie è tratta, ‘A Song of Ice & Fire’ (in Italia, ‘Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco’, edite da Mondadori): quali sono le conseguenze del distacco tra libri e serie TV? Quelle riflessioni, che oggi mi paiono degne di un “figlio dell’estate”, nascevano dalle “invenzioni” sviluppate dalla produzione de ‘Il Trono di Spade’ tra la terza e la quarta stagione, che pure oggi mi sembrano un nonnulla, confrontate con le immani deviazioni dal (e alterazioni del) materiale originario operate dalla HBO in questa quinta stagione. La domanda era questa: la serie sta divenendo un’entità totalmente autonoma rispetto alla saga cartacea, oppure i tagli ai personaggi e alle storyline devono essere intesi come potenziali spoiler per i lettori della saga?
La risposta è arrivata un mese dopo per bocca di David Benioff, produttore esecutivo: “… E quindi alla fine, in sostanza, arriveremo nello stesso luogo verso cui sta andando George; ci potranno essere alcune deviazioni lungo la strada, ma siamo in cammino verso la stessa destinazione. In qualche modo mi auguro che ci siano cose che non dovremo necessariamente anticipare, ma abbiamo un po’ le mani legate. Lo show deve andare avanti… e questo è ciò che faremo…”. In altre parole sì, la serie anticiperà eventi dai libri non ancora pubblicati. E fin qui, a livello razionale, potevo anche accettarlo: dopotutto di ‘The Winds of Winter’, il fantomatico sesto volume della saga di George Martin, ancora non si vede nemmeno l’ombra (anche se lo scrittore spera di riuscire a pubblicarlo prima dell’inizio della sesta stagione): ci sono degli investimenti che devono maturare, e va da sé che la produzione non può aspettare le cadenze geologiche del romanziere. Tanto più che, conoscendo a grandi linee l’evoluzione futura, D&D (il soprannome davvero fantasy con cui sono noti i produttori David Benioff e D.B. Weiss) dovrebbero essere perfettamente in grado di tracciare una rotta coerente fra gli intrighi e le guerre dei Sette Regni.
DISCLAIMER: Da questo punto in avanti l’articolo contiene leggeri SPOILER dalla stagione appena conclusa.
Nessuna di queste dichiarazioni poteva tuttavia prepararmi al mezzo disastro che è stata la quinta stagione.
È veramente difficile comprendere cosa stia baluginando nella mente dei produttori: l’adattamento di un solo libro, ‘A Storm of Swords’, ha richiesto la bellezza di due stagioni (la terza e la quarta), mentre con l’ultima (la quinta, appunto) si è preteso di riassumere gli archi narrativi di ‘A Feast for Crows’ e ‘A Dance with Dragons’ (due libri, rispettivamente, di 800 e 1200 pagine circa…!). Complice anche una pessima ripartizione degli eventi nell’arco delle diverse puntate, l’azione degna di questo nome ha finito per concentrarsi nelle puntate dalla ottava alla decima. Questo climax distribuito su tre puntate, però, è stato possibile solo al prezzo di tagli clamorosi alle storyline, di un’estrema semplificazione della psicologia dei personaggi e di pesanti forzature alla sceneggiatura.
E dunque lo dico chiaramente: io, questa serie, non la riconosco più.
Due esempi, se avrete la nobiltà d’animo di non lapidarmi seduta stante e di lasciarmi spiegare.
Penso che lettori e non lettori possano concordare con me quando dico che quest’ultima stagione ha accumulato la gran parte del punteggio negativo per la scriteriata gestione della trama di Dorne, che sulla carta aveva le potenzialità per portare l’intera serie ad un livello completamente nuovo. I complotti dorniani sono fra i più machiavellici e affascinanti dell’intera saga, ma il Principe Doran Martell è stato ridotto ad un paralitico molto oculato, ma privo di ambizione; Jaime e Bronn sono diventati un duo comico quale non si vedeva dai tempi di Bud Spencer e Terence Hill; le Serpi delle Sabbie sono state tramutate in personaggi da cabaret (e una di loro costretta a spogliarsi per risollevare un po’… il morale del pubblico maschile); i combattimenti sono stati realizzati con un’approssimazione indegna di quello che la serie televisiva ha dimostrato di saper produrre. Quel che è peggio, è stato completamente eliminato il personaggio di Arianne Martell, uno dei più affascinanti dell’intera saga e fondamentale per comprendere il modo di ragionare dei dorniani; secondo molti la ragione di fondo è che una protagonista femminile di tale spessore avrebbe potuto sottrarre attenzioni a Daenerys, aggiungendo una complicazione inaccettabile.
Daenerys, appunto. Qui la produzione si è destreggiata cercando di seguire i libri, ma al tempo stesso tentando a tutti i costi di inserire a forza un proprio percorso. Il dato drammatico è che non si sia avuto il coraggio di optare effettivamente per l’uno o per l’altro: Daenerys compie delle azioni che dovrebbero portarla a diventare un tiranno assetato di sangue… salvo poi cambiare idea all’ultimo minuto per restare nell’alveo della storyline dei libri. Il risultato è che la Madre dei Draghi sembra solamente bipolare e risulta, complessivamente, scevra del benché minimo approfondimento psicologico. È solo un burattino nelle mani degli sceneggiatori, che prova sentimenti e prende decisioni fintantoché sono funzionali allo sviluppo narrativo.
Chi ha seguito le recensioni della quinta stagione qui su Isola Illyon sa che non sono un oltranzista della fedeltà ai libri: fra i momenti più belli dell’ultima stagione – e dell’intera serie in generale, se è per questo – annovero senza esitazione la battaglia di Hardhome, scritta impeccabilmente, realizzata senza badare a spese con comparse ed effetti speciali. Una scena di combattimento davvero stellare, che a maggior ragione risalta a fronte delle assurdità fantozziane del duello di Jaime e Bronn contro le Serpi delle Sabbie. Eppure questa parte è totalmente assente nei libri, indice del fatto che, quando la produzione si impegna, può partorire grandi cose anche distaccandosi dal materiale originale. D’altro canto la famosa scena della “Camminata della Vergogna” risulta fedele ai libri fin nei minimi dettagli (anche gli insulti e i motteggi della folla sono presi paro paro dalle pagine del libro…!) e il risultato, a livello di partecipazione emotiva dello spettatore, è (di certo non per caso) assicurato.
Ma la fase negativa che sta attraversando ‘Game of Thrones’ va purtroppo al di là dei limiti della sceneggiatura, della recitazione, della regia: in un senso più ampio, questa serie sta diventando buonista. Un tratto caratteristico dello show, almeno agli inizi, era l’assenza di veri e propri buoni e cattivi intesi in senso classico: ogni personaggio saliva e scendeva per una scala di grigi e questo conferiva un maggior grado di realismo e immedesimazione. Ora tutto questo sembra non esistere più: i cattivi sono cattivi senza redenzione, i beniamini del pubblico non possono commettere atti atroci. Così Tyrion, ad esempio, può uccidere Shae, ma non a sangue freddo (come fa nel libro), bensì solo per autodifesa; ovviamente non potrà nemmeno stuprare una prostituta, come accade a Volantis in ‘A Dance with Dragons’, ma è meglio che continui a trattarle con gentilezza e simpatia. Altrimenti gli spettatori potrebbero pensare che la sua moralità abbia troppe sfumature e smettere di “tifare” per lui.
In parallelo con questa, c’è la tendenza, non meno esecrabile, di voler cercare il lieto fine a tutti i costi, ogni volta che sia possibile: qualcuno (chi ha detto Brienne?) cerca vendetta? Pieghiamo la trama, condannandola al nonsense più totale, pur di fargliela trovare. Ma non è questo che accade, né nel mondo reale né ne ‘Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco’: questa è la stessa sostanza di cui sono fatte le fanfiction.
– Stefano Marras –