Oggi voglio raccontarvi una storia vera, ma a suo modo un po’ fantastica, quella di come Terry Brooks sia divenuto uno dei più famosi autori fantasy di sempre: a svelarla è stato lui stesso, in un saggio che ha intitolato A volte la magia funziona. Un titolo tutt’altro che casuale, vedrete.
Facciamo un salto nel passato fino all’estate del 1974: Terry aveva circa trent’anni, e aveva appena completato la stesura del manoscritto del suo primo romanzo. Armato di francobollo postale e di tante speranze, decise di inviarlo a Donald Wollheim, editore di DAW Books. Quest’ultimo, però, se ne lavò velocemente le mani e, molto gentilmente, lo rispedì al mittente, consigliandogli di inviarlo a un’altra persona, Judy-Lynn del Rey, direttrice editoriale del settore fantascienza alla Ballantine Books.
Come dicevo, è una storia che ha qualcosa di speciale, ma per capire bene dobbiamo fare un piccolo passo indietro: Judy-Lynn era la moglie di Lester del Rey, anch’egli un brillante direttore editoriale. All’epoca c’era una diffusa credenza che il fantasy non avesse grande potenziale economico: chi affermava ciò era certo che i lettori di questo genere fossero solo una manciata di ragazzi, e che il successo di Tolkien non fosse replicabile. Lester del Rey era invece convinto del contrario, ed era un tipo “polemico e scorbutico”, che “si vantava di essere in grado, una volta che gli venisse data una qualsiasi tesi, di sostenerla contro chiunque” (parole di Brooks). A Lester non piaceva proprio l’idea di essere in minoranza nel credere nelle potenzialità future del fantasy, e si sarebbe appigliato a qualsiasi cosa per dimostrare il contrario.
Il manoscritto arrivò dunque sulla scrivania di Judy-Lynn, accompagnato da una lettera di Wollheim, che probabilmente la convinse a non cestinarlo subito: quando la donna passò il manoscritto al marito, questi vide la possibilità di dimostrare la propria teoria. Non si limitò a pubblicarlo, però: andò da Ron Busch, direttore della Ballantine, che poco prima gli aveva offerto di assumerlo nella propria casa editrice, e accettò la posizione a condizione di poter inaugurare una nuova collana di fantascienza e fantasy con La spada di Shannara, e di poterla rendere l’opera di punta. Busch non conosceva il genere e tantomeno il manoscritto in questione, ma si fidò del fiuto di Lester, e accettò. Così partì un’enorme macchina editoriale: un lungo editing svolto da Lester e Terry per migliorare il libro (che fu pubblicato solo nel 1977, per capirci) al quale seguì una propaganda di Judy-Lynn che propose il volume come la più importante opera fantasy dopo Il Signore degli Anelli, e che si concluse con le recensioni del New York Times.
Come dichiara Terry Brooks, se il manoscritto fosse arrivato un mese prima o un mese dopo, La spada di Shannara non sarebbe mai arrivato sugli scaffali, e la storia del genere fantasy sarebbe stata diversa.
A questo punto potreste pensare che la storia sia finita, e che Brooks, diventato miliardario con un solo romanzo, ne abbia scritti altre dozzine per inerzia. Ma non è andata così.
Dopo un anno dalla pubblicazione del libro, Lester iniziò a incitare Terry affinché ne scrivesse un sequel; lui ci provò, ma con risultati scarsi. La verità è che Brooks non aveva idea di come si scrivesse un romanzo: certo, aveva portato a compimento La Spada di Shannara, ma si trattava di una pesante scopiazzatura di Tolkien, e il meccanismo per inventare storie non gli era né noto, né naturale. Scrisse così Il canto di Lorelei, usando come protagonista un nuovo discendente della casa di Leah e una ragazza di nome Lorelei capace di lanciare incantesimi cantando. Giunto a pagina 375, Terry non aveva ancora la minima idea di come concludere il romanzo, così lo mandò a Lester, sperando che potesse risolvere il problema.
Lester, però, fu lapidario: Il canto di Lorelei era una schifezza, un’opera irrecuperabile, e Brooks cadde in un profondo sconforto. Poi arrivò il manoscritto commentato (a suon di post-it): Terry lesse tutti gli appunti del suo editor, e alla fine si convinse che ciò che aveva scritto fosse effettivamente da buttare. Lo cestinò, si rimboccò le maniche, e riprese tutto dall’inizio: questa volta il risultato fu Le pietre magiche di Shannara, libro che ancora oggi secondo molti è la sua migliore opera.
Sono passati tanti anni da allora, ma questa storia ha tutt’oggi molto da dirci, ed è un bene che Brooks ce l’abbia raccontata senza edulcorare e parafrasare: insomma, l’umiltà e il duro lavoro sono fondamentali, ma è anche vero che a volte il culo la magia funziona.
–Daniele Gabrielli–
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