“Inverno, ultima frontiera….”. No, non sono impazzito: cosa mai avranno in comune Star Trek e Game of Thrones, se non il fatto di aver rivoluzionato, in modi e tempi diversi, il mondo della serialità televisiva (e non solo)? Eppure una relazione esiste, nella ingombrante figura di Zio Giorgione Martin, che in un audit al centro Arthur C. Clarke dello scorso maggio ha rivelato come le strade del franchise della Paramount e quelle del futuro creatore di Westeros abbiano rischiato di incrociarsi. Ma andiamo con ordine.
A metà degli anni ’80 Gene Roddenberry, il Grande Uccello della Galassia (niente battute, please), ideatore della Serie Classica (quella con Spock, per intenderci), decise che fosse venuto il momento di riportare Star Trek sul piccolo schermo, con una show completamente nuovo. Propose alla major californiana una serie ambientata 78 anni nel futuro con una nuova Enterprise (la D), un nuovo equipaggio, dinamiche più complesse rispetto alla serie classica, e ovviamente un universo fittizio che si era andato evolvendo (un cambiamento radicale su tutti: l’alleanza tra la Federazione Unita dei Pianeti e l’Impero Klingon). La serie, ribattezzata The Next Generation, andò in onda dal 28 settembre 1987 (“Incontro a Farpoint”) al 23 maggio 1994 (“Ieri, oggi, domani”) per un totale di 178 episodi e sette stagioni intere. Nonostante un inizio stentato, The Next Generation ebbe un successo enorme, dovuto a un’ottima scrittura, un cast eccezionale e decisamente affiatato (con alcune star di grido come Patrick Stewart, Whoopi Goldberg e Marina Sirtis), personaggi memorabili (l’androide Data, interpretato da Brent Spiner, lo stesso capitano Picard di Patrick Stewart, ecc.) e invenzioni iconiche (i terribili alieni Borg, per esempio), tanto da allevare letteralmente una nuova generazione di appassionati, e da aggiungere quattro episodi cinematografici della The Next Generation (tra il 1994 e il 2002, dei quali il primo, Generazioni, faceva incontrare Kirk e Picard grazie all’abusato espediente del viaggio temporale) ai sei della Serie Classica.
Al tempo, George R.R. Martin era ancora lungi dalla fama planetaria che gli avrebbe attribuito Il Trono di Spade, di là da venire. Ma era comunque uno scrittore apprezzato soprattutto nel campo della sci-fi, già vincitore di diversi premi Hugo: avendo saputo che la Paramount era intenzionata a riportare Star Trek in tv e allettato all’idea di lavorare con Roddenberry, presentò la sua candidatura come autore nella nuova serie. Il colloquio, stando allo stesso Martin, andò così: “ Ricordo di essere entrato nell’ufficio di questo produttore che, per fortuna, non è durato molto nello show e capirete perché appena finirò di raccontare la storia. Mi ha detto: “Non la conosco, può darmi qualche credenziale?” E io gli ho risposto: “Ho appena lasciato la serie Ai confini della realtà dove ho lavorato per un po’ ma, prima di questo, ho scritto romanzi e storie brevi. Sono principalmente un autore di fantascienza.” E lui mi ha risposto: “Ah si? Be’ Star Trek non è una serie che parla di fantascienza, è una serie che parla delle persone.” Mi sa che siluri fotonici e astronavi mi avevano tratto in inganno. Inutile dire che non ottenni il lavoro”. Molti sono concordi nel ritenere che il produttore a cui si riferisce Martin sia Maurice Hurley, showrunner delle prime due stagioni di The Next Generation che, guarda caso, coincisero con l’inizio difficoltoso della stessa, che decollò alla grande solo dalla terza in poi.
Che gli esordi stentati della The Next Generation dipendessero anche dalla singolare concezione della fantascienza di Hurley è indubbio, rimane l’interesse di sapere che zio Giorgio agli inizi si considerasse “principalmente un autore di fantascienza” e, soprattutto, la curiosità di capire come se la sarebbe cavata il papà de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco con i tempi di scrittura ferrei e contingentati tipici di una serie televisiva della quale non fosse lui l’origine assoluta. Che ne pensate, Illyoners?
–Luca Tersigni–
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