La nostra mente è una fucina di idee, oggi pubblichiamo una storia, un breve racconto, utile per i master per trarre spunti per lore avventure e per i non-master o appassionati di scrittura.
Chiomenere e spine di Helm circondavano la radura: un paesaggio che a molti sarebbe apparso comune, se non scarno… erba di verde chiaro, prossima ad arrendersi all’incedere del gelido freddo delle Marche; il vento che soffia tra le fronde, sollevando fiocchi di neve, non sufficienti a gelare il suolo, ma bastanti a adornare la vegetazione di una scintillante veste che cattura i raggi di Selune; un anello di vegetazione, un occhio solitario che catturava la luna, quasi che essa avesse deciso di proiettare la sua luce solo lì, in quel luogo… su due persone intente a danzare con trasporto e sensualità attorno al fuoco, acceso con apparente noncuranza, nonostante tutti i pericoli che si annidano nel Bosco della Luna… e il fervore che li anima, la dedizione che li muove, è così grande che chiunque si soffermerebbe estasiato ad osservarne le movenze. Selune misericordiosa, e le sue Lacrime, che i mortali chiamano anche solamente “stelle”, stavano lì in alto nel cielo, su di loro a vegliare…
“Sei certo di volerlo? Questa è la prima volta che tu viaggi da solo, oltre i confini degli Archi di Solonor…”
la voce, melodiosa e con una punta di autorità, eredità di un retaggio che è mai possibile abbandonare in pieno, proveniva da una figura slanciata, avvolta in lucenti capelli d’argento. Nonostante la sua nudità, la figura mostrava senza impudicizia le sue grazie, nel lucore del sudore evocato dalla frenetica danza; la sua pelle, perfetta come seta, era color dell’ebano, schiarita dalla luce della luna; le sue vesti, erano abbandonate con rispetto e decoro vicino al fuoco, un grande falò che ardeva allegro ma… silenzioso, quasi rispettoso dell’intimità che si era creata. una spada bastarda era lì vicino, catturando la luce splendente del fuoco e il candore argenteo della luna e delle stelle.
“Debbo farlo, mia Signora Shad’ri’ss. Il viaggio è solo uno dei tanti modi di mettersi alla prova, e canti, ballate e sonate si apprendono e si tramandano più facilmente che non ascoltando il frinire delle cicale d’estate e rumore degli scoiattoli che ammassano provviste per l’inverno. D’altronde, per vostra stessa ammissione, mia Signora, non mi avete forse insegnato tutto ciò che potevate?”
chi aveva parlato era un giovane individuo dai tratti finemente cesellati, dalla muscolatura robusta ma da un’insolita grazia nelle movenze e da una voce delicata come un flauto; un ben strano binomio. Le orecchie erano dolcemente appuntite, ma i tratti fisici lo qualificavano come un sanguemisto. La pelle era pallida, ancor di più ora, al chiaro di luna; alto poco più della sua interlocutrice, ed a torso nudo nonostante il freddo, anch’egli aveva il respiro leggermente affannoso, nel tentativo di emulare la maestria e la grazia dell’elfa scura.
La drow sbuffò evidentemente, la mano passata tra i capelli con fare distratto, e quasi civettuolo: “Da quando in qua mi chiami con l’appellativo di Tua Signora?” gli domandò con un pizzico di irriverenza…e poi più dolcemente “…e cosa intendi per mettersi alla prova? Non trovi che essere allevato da una drow sia già prova sufficiente, Asrafil?” Solo il tono della voce poteva impedire di scorgere una punta di ironia in quella domanda, che era anche un’affermazione.
Il mezz’elfo per un attimo sorrise ma, poi, si fece più serio, misurando le parole, temendo di lasciar trapelare più di quanto volesse…il bel viso era chinato, l’espressione meditabonda: “Mia Signora, voi mi avete insegnato il rispetto verso ciò che si teme, l’amore che si deve portare verso tutto il creato e l’esigenza di trovare il male e scacciarlo; prestare aiuto a bisognosi, e portare seco al gioia e la letizia della parola della Vergine Scura. Ma quest’opera dev’essere ampliata, e se voi avete già raggiunto una maturità nel vostro io che possa illuminare chiaramente la strada dinnanzi a voi, io sono invece ancora agli inizi. Si deve sempre affrontare ciò che si teme, comprenderlo e farlo proprio.”
“E dunque, perché vuoi andare via?” insistette l’elfa scura con una punta d’urgenza, ora, nella voce.
“Perché andare via è ciò che ora io temo; temo di allontanarmi dalla gioia e felicità che mi ha accompagnato in questi anni; temo che se non lo farò non sarò mai in grado di migliorare davvero me stesso, né di poter efficacemente portare nelle Marche la parola di Eilistraee; temo…” aggiunse con un sussurro quasi impercettibile “… di separarmi da Voi, mia dama, fatta di luce d’argento e placida oscurità della notte”
La drow parve accusare il colpo e barcollare sotto le possibili implicazioni di quelle parole, mentre le sue gote si accendevano leggermente di sentimenti contrastanti e un “non andare via” era lì, pronto ad essere proferito dalle sue labbra. Era lì, poteva pronunciarlo, poteva forse cambiare tutto e schiudere nuovi orizzonti… Poteva…Ma subito recuperò l’orgoglio che le era proprio: era una sacerdotessa dopotutto, una guida spirituale e soprattutto la mentore del mezz’elfo, e tale ruolo non le era parso mai così complicato e… duro.
Il mezz’elfo si avvicinò alla drow, e gli parve che mai i suoi occhi l’avessero vista così bella, mentre alcuni fiocchi di neve s’erano incastonati tra i di lei capelli, come preziose gemme lucenti. Le porse una coperta con fare rispettoso, senza riuscire ad evitare che il suo sguardo s’accendesse, in preda a sensazioni contrastanti e, prendendole la mano destra nella sua, le disse solamente:
“Mia signora, a lungo ho penato allorché ho scoperto tante cose sul mio passato e forse non me ne sono ancora del tutto liberato. L’unica persona con cui davvero si condivide tutta la vita siamo noi stessi, e ciò talvolta può apparirci intollerabile, se rapportato ai fardelli che da lungo tempo trasciniamo al nostro seguito. Posso farvi però una promessa, nel nome di Eilistraee, che possa la Dea consegnare la mia anima alla sua più acerrima Nemica se mento”, dichiarò con fare serio ed intenso, il vento a spazzargli la lunga e morbida chioma che si confondeva ed intrecciava con quella di lei.
La drow per un attimo rabbrividì, comprendendo a chi il mezz’elfo si riferisse, ma subito il calore che egli le trasmetteva tramite quel semplice contatto scacciò il gelo che minacciava di sorprendere il suo cuore. Il giovane le baciò la mano con tutto il garbo ed il rispetto possibili e sollevando il suo sguardo fino ad incrociare gli occhi neri screziati d’argento di Shad’ri’ss le disse:
“Mia dama, non dimentichi mai che il mio cuore dimorerà sempre in questo luogo, vicino all’insediamento degli Archi di Solonor, ove insieme abbiamo danzato, ove insieme abbiamo reso grazie ad Eilistraee per i doni concessici. Voi, fanciulla d’ombra e d’argento, ne siete e ne sarete sempre la custode, e giacché non si può vivere senza il proprio cuore, dovrò tornare presto… e spesso… qui, al vostro fianco.”
“E così sia” rispose dolcemente la drow “Custodirò il tuo cuore”, mentre il suo sguardo cadeva sulle loro mani, strette in una muta promessa, più dolce d’ogni cosa.
Il mezz’elfo lasciò la mano dell’elfa scura, gesto che già parve costargli più di quanto potesse, e si diresse verso il fuoco, per recuperare la sua camicia. Tra le fiamme, però – forse un’allucinazione?- gli parve di scorgere la figura di un’altra drow, una figura evanescente dai capelli d’argento il cui splendido viso sembrava lucente, e triste come la luna: ma quando focalizzò meglio lo sguardo, non vide più niente. Sbigottito, provò a guardare Shad’ri’ss, che invece sorrideva. Poi ella si voltò e si incamminò tra gli alberi, al chiaro di luna, cantando soavemente: una folata di vento sollevò fiocchi di neve che avvolse il corpo della drow, rendendola una figura quasi di bellezza ultraterrena. Il mezz’elfo mormorò una preghiera ad Eilistraee poi si vestì.
L’indomani egli partì: i due non si videro; i due non si salutarono. Non ce n’era il bisogno. tutto era stato già detto la sera prima…
……
“ehi ma… aspetta! Aspetta un attimo! Non è una storia a lieto fine! Mi avevi promesso qualcosa di particolarmente felice e piacevole! Qualcosa, insomma di… definitivo! Non amo le storie a metà!” stava protestando l’halfling che aveva ascoltato la storia del bardo, un giovane mezz’elfo, entrambi seduti in locanda. La voce dell’Hin appariva sorprendentemente acuta, simile a quella d’un bambino, contrastando non poco con la sua età.
“No? forse perché devo ancora sapere io stesso come va a finire” rispose il giovane menestrello, con un sorriso più tranquillo e dolce di prima “Ora, però, devo andare, piccolo signore… grazie della cena che mi avete offerto, in cambio della storia!”
Nell’alzarsi, il bardo prese ad allacciarsi il mantello e a farlo scendere su robuste spalle: fu così che l’halfling vide un medaglione di legno al collo del mezz’elfo, che scendeva fin quasi all’altezza del cuore, e che raffigurava un’elfa che danzava al chiaro di luna impugnando una spada bastarda. Fulminato da un pensiero improvviso, agitando la mano, l’indice che andava su e giù dal medaglione al viso e da questo di nuovo al medaglione, chiese con emozione: “Menestrello, ma…! siete forse voi il mezz’elfo della storia?”
Il bardo si fermò, voltandosi dolcemente verso il mezz’uomo, che lo guardava con aria a metà tra lo stupito e il sognante. Si sistemò, dopo un istante di contemplazione, il medaglione sotto la camicia e si accomodò meglio il mantello, che prese a coprirlo interamente, lasciando una cascata di capelli color castano scuro a scendere liberamente sulle sue spalle e sul suo petto. Indi, con tranquillità, disse semplicemente:
“Chi lo sa…Sta a voi scoprirlo, giovin signore: dopotutto, sapete bene che gli autori tendono spesso a fantasticare, immedesimandosi nei propri personaggi. Vi auguro la serata migliore che abbiate mai conosciuto…” e aggiunse con un sorriso sbarazzino e strizzandogli l’occhio sinistro “…Nel nome di Eilistraee, naturalmente!” con una risata argentina.
Lasciando l’halfling di sasso, il mezz’elfo uscì dalla locanda, scomparendo alla vista nel chiarore della luna…
-Leo d’Amato-