La scorsa puntata, ‘Home’, è probabilmente da annoverare tra le migliori dell’intero percorso di ‘Game of Thrones’; comprensibilmente con il terzo episodio, ‘Oathbreaker’ (letteralmente “Colui che spezza un giuramento”), la serie sente il bisogno di tirare un attimo il fiato, prima di lanciarsi di nuovo in folli e repentini ribaltamenti delle nostre aspettative. Ne deriva una puntata molto affollata, priva del ritmo incalzante della precedente, ma che ci sentiamo di valutare comunque positivamente perché tocca diversi punti interessanti, sempre con la speranza che sia soltanto una rincorsa prima del balzo.
DISCLAIMER: Contiene SPOILER dal terzo episodio della stagione in corso: uomo avvisato, mezzo scuoiato.
Per prima cosa vorrei dedicare un pensiero a un momento che personalmente attendevo da tempo e che ha, purtroppo, deluso le mie aspettative. Parlo del flashback vissuto da Bran e dal Corvo con tre occhi (in forma umana), ambientato nei pressi della Torre della Gioia. Chi ci segue da tempo saprà bene che questo episodio, del quale i lettori hanno intravisto qualche spezzone fra i sogni febbricitanti di Ned Stark, è al centro di una delle principali teorie elaborate dai fan sulle origini di Jon Snow (una teoria che appare sempre più confermata dalle scelte narrative di D&D). Intanto c’è da chiedersi perché i cavalieri della Guardia Reale siano calati da tre a due (aggiungerà pathos? Mah). Poi non posso farci niente, ma mi rode vedere Ser Arthur Dayne, soprannominato “la Spada dell’Alba”… conficcare in terra la propria arma e combattere per tutto lo scontro con due spade lunghe, una per mano. Fa davvero più figo? A me ha solo tolto buona parte del realismo della scena. Anche lo scambio di battute fra Ned e i due cavalieri perde molto: il giovane Eddard pare più compiaciuto che mortificato, nel dover affrontare un mito della propria infanzia. Sorvolo sulla pugnalata inferta alle spalle di Ser Dayne da Howland Reed, tutto sommato mi aspettavo qualcosa di più epico. La scena poi si arresta bruscamente con la solita scusa che Bran non può stare troppo a lungo nel passato. Meh.
Ad Approdo del Re siamo allo stallo più totale: Cersei non è formalmente sotto processo, ma non è nemmeno assolta; Tommen cerca di mediare con l’Alto Passero, ma rimane come sempre a mani vuote; Jaime e sua sorella cercano di forzare la mano per entrare nel Concilio Ristretto, ma quest’ultimo li friendzona brutalmente. La Montagna zombificata si aggira per i corridoi della Fortezza Rossa con la sua carica di violenza repressa, ma per ora si limita a guardare storto chi le sta sui coglioni. Per citare il Dottor Ian Malcom: “è previsto che si vedano dei dinosauri, in questo… parco dei dinosauri?”.
La sola notizia interessante sta nel fatto che Qyburn, il viscidissimo ex maestro della Cittadella, ora controlla gli “uccellini” di Varys nella capitale; un bel colpo, del quale però l’eunuco non sembra risentire, impegnato com’è nel cercare di scoprire la verità – così difficile da intuire? – nascosta dietro gli attacchi dei Figli dell’Arpia a Meereen. Il siparietto fra Tyrion, da una parte, e Verme Grigio e Missandei dall’altra, al netto dell’innegabile bravura e simpatia di Peter Dinklage, mi è parso durare un’eternità e non portare realmente da nessuna parte: ce n’era veramente bisogno?
La vicenda di Daenerys procede, a grandi linee, come previsto: condotta a Vaes Dothrak, il cui ingresso monumentale ha subito un restyling spaventoso rispetto alla prima stagione, viene spogliata rudemente. Anche qui trova compimento la nostra previsione sul fatto che l’occhio della telecamera eviti pudicamente di inquadrare le grazie della khaleesi; il che, in una serie in cui abbondano tette, culi e batacchi di varia natura – e che anzi di tale abbondanza ha fatto un marchio distintivo – appare francamente un po’ paradossale. Ad ogni modo, la permanenza di Dany tra le Dosh Khaleen è solo provvisoria: potrebbe toccarle una sorte persino peggiore. Un saluto ad Arya, dalle parti di Braavos, che dopo essere riuscita a parare un paio di colpi col bastone nonostante la cecità, prevedibilmente riottiene la vista che aveva perduto. Ma non dimentichiamoci di Sam, che affronta una dura traversata verso l’Altopiano e una altrettanto dura non-litigata con Gilly. Nota a piè di pagina: quel bambino, che è rimasto un neonato per qualcosa come tre anni, finalmente, è un po’ cresciuto.
Ma passiamo a parlare del culo sfondato della fortuna sfacciata di Ramsay. Un tale Lord Umber, erede del casato un tempo fedelissimo agli Stark, piomba nel solito salone di Grande Inverno; con grande strafottenza si prende gioco di Lord Karstark e pretende di contrattare da pari a pari con Ramsay. Peraltro debbo notare come nel mondo della serie TV de ‘Il Trono di Spade’ tutti i personaggi siano pressoché onniscienti: tutti sanno che è stato Roose Bolton a pugnalare Robb alla Torri Gemelle, così come tutti sanno che è stato Ramsay a pugnalare Roose. Le cose sono due: o le voci corrono, oppure i personaggi non si perdono una sola puntata dello show. Il “dono” portato da Lord Umber, comunque, altri non è che il non-più-così-piccolo Rickon; superato il dispiacere per la dipartita dell’ennesimo metalupo (R.I.P. Cagnaccio), mi sale l’indignazione. Non soltanto Ramsay è immune alle pugnalate anche quando non indossa armatura; non soltanto riesce con venti uomini a distruggere l’esercito di Stannis per poi massacrarne i soldati, nonostante la superiorità tattica del Re Baratheon; non soltanto può uccidere il proprio padre senza conseguenze e prenderne tranquillamente il posto. No, gli casca anche dal cielo l’ostaggio ideale per ricattare Jon Snow. “Eh, ma così non vale!” (cit.).
Jon Snow, appunto. L’ho lasciato per ultimo. La resurrezione lo ha cambiato, come cercavo di capire in questo articolo? Di sicuro lo ha reso più duro. Melisandre gli chiede dove sia stato, cosa abbia visto. La risposta di Jon dà i brividi: “Nulla”. È una visione dura, nichilista. Il Lord Comandante va quindi incontro ai suoi – pochi – veri amici, viene perculato da Tormund per le dimensioni dei genitali, ma complessivamente non si manifestano quella sfiducia e quella superstizione che mi sarei atteso: i Bruti lo considerano un dio, lo rispettano, ma non paiono temere ciò che è accaduto. Alla fine dell’episodio, Jon manda nel “nulla” da cui è appena tornato Alliser Thorne, quel piccolo stronzetto di Olly e gli altri promotori della congiura. Era ora, direte voi. Io chioso: il vecchio Jon li avrebbe impiccati? Penso di no, penso che avrebbe tagliato loro la testa, come gli aveva insegnato Ned Stark. Più che giustizia, pare una vendetta. Di sicuro il nuovo Jon è più spietato e più efficiente. La telecamera si sofferma sui loro volti cianotici, sui loro occhi sbarrati e gonfi. Anche loro stanno fissando quel “nulla”, ora. E non torneranno: Jon ordina a Edd di bruciarli, poi gli cede il mantello del Lord Comandante. “La mia guardia è finita”, mormora. Allora chi è, qui, l’Oathbreaker del titolo? I Confratelli che lo hanno pugnalato o Jon che dichiara conclusa la sua militanza nei Guardiani della Notte?
Vi lascio al promo del prossimo episodio, ‘Book of the Stranger’, e vi do appuntamento alla prossima settimana:
– Stefano Marras –
‘Game of Thrones’ 6×03: ‘Oathbreaker’ – Recensione
Isola Illyon
-La lentezza di questo episodio pare essere prodromica a sviluppi interessanti nelle prossime puntate;
- La riapparizione di Rickon, Osha, Sam e Gilly;
- Il “nuovo” Jon Snow, più spietato e duro che in passato;
- Il finale della puntata;
- Puntata complessivamente lenta;
- Il flashback della Torre della Gioia, tanto atteso, è stato invece reso in maniera piuttosto indegna;
- Stallo ad Approdo del Re;
- L’inutilità dell’interminabile siparietto fra Tyrion, Missandei e Verme Grigio;
- Ma quanta fortuna ha Ramsay?