Sembra ieri, eppure sono passati già due anni da quando ‘Infinity Blade III’, capitolo conclusivo della saga (almeno allo stato attuale…), è stato rilasciato per le piattaforme mobile e tablet rigorosamente targate Apple. Le origini della serie (alla quale ho dedicato, a suo tempo, una corposa retrospettiva incentrata sui principali snodi narrativi) risalgono ancora più in là nel tempo, con un primo capitolo approdato su iPhone e iPad il 9 dicembre 2010, ad opera dei geniacci un po’ visionari della software house ChAIR.
Nonostante tutto il tempo passato, però, tre cose non sono cambiate: la prima è la difficoltà di inquadrare questa serie di videogiochi in un genere specifico; la seconda è la sofferenza dei possessori di dispositivi Android, ai quali le avventure di Siris continuano a rimanere tragicamente precluse; la terza, infine, è il costante successo commerciale dei giochi, che mantengono prezzi (relativamente) elevati a dispetto di una certa “anzianità”. In tal senso i brevi interludi in cui le applicazioni vengono rilasciate gratuitamente (com’è accaduto, per esempio, per la prima volta con ‘Infinity Blade III’ alla metà del mese appena trascorso) paiono essere solo un volano per accrescere l’orda di utenti. Qual è, dunque, il segreto che mantiene questa saga sempre sulla cresta dell’onda?
Intanto, come si conviene quando si fanno le presentazioni, iniziamo dal titolo. ‘Infinity Blade’ è il nome di una spada… – magica? –, caratterizzata dal peculiare design basato sulla lemniscata, il simbolo dell’infinito. Dal momento che la saga si contraddistingue per una fusione ben orchestrata fra high fantasy e hard sci-fi, col tempo apprendiamo che solo l’Infinity Blade è in grado di spezzare il Q.I.P., il Quantum Identity Pattern (che potremmo tradurre con “Tracciato Quantistico di Identità”), vale a dire l’anima di un Immortale. Questi sono loschi figuri che dominano una Terra del futuro, la cui Luna è stata mandata in frantumi da esplosioni di potenza inimmaginabile, e che passano un tempo infinito a guerreggiare l’uno contro l’altro e, immancabilmente, a schiacciare sotto il tallone i poveri – è il caso di dirlo – comuni mortali.
Il dato che potrebbe apparire curioso è che l’intera saga nasce quasi da un’opera di reverse engineering delle tematiche care allo scrittore fantasy statunitense Brandon Sanderson (me lo confermò lui stesso nell’intervista realizzata ad aprile di quest’anno); solo successivamente, nell’intervallo tra la realizzazione del primo e quella del secondo gioco, l’autore è stato tirato a bordo del progetto, al quale ha collaborato pubblicando due racconti lunghi, ‘Infinity Blade: Awakening’ e ‘Infinity Blade: Redemption’. Purtroppo i libri sono disponibili solo in e-book e in lingua originale, ma la lettura è altamente consigliabile sia agli appassionati della saga, che avranno modo di approfondirne il lore e di riempire i buchi tra un capitolo e l’altro, sia agli estimatori di Sanderson, che ritroveranno, condensati in poche centinaia di pagine, tutti i punti di forza che rendono questo scrittore tanto amato.
L’idea di fondo di tutti e tre i giochi è il concetto di ripetizione. Inizialmente, certo, si trattava di un approccio un po’ “furbo” per estendere un gameplay altrimenti di agevole conclusione nell’arco di poche decine di minuti di gioco; col tempo e con i capitoli successivi, però, questa ripetizione è divenuta quasi un “eterno ritorno”, assumendo una dimensione che non esiterei a definire filosofica. Per tutto il primo capitolo ci troviamo a impersonare generazioni e generazioni di ragazzi, definiti “Sacrifici”, costretti a ripetere lo stesso pattern attraverso un lugubre castello, popolato di golem e mostri d’ogni risma, fino allo scontro con il Re-Dio, che risulta spessissimo fatale per il giovane combattente. All’inizio di ogni run, collocata temporalmente una ventina di anni dopo la precedente, il protagonista mormora la frase “Padre, io ti vendicherò” in una lingua incomprensibile e tenta l’ardua impresa. Di volta in volta si accumula un punteggio di esperienza e si migliora l’equipaggiamento, cosa che alla lunga consente di battersi ad armi pari con un nemico che, però, diverrà ancora più forte allo scontro successivo.
Con l’avvento del sequel scopriamo il nome del personaggio (Siris, appunto), e comprendiamo che i vari Sacrifici, dei quali abbiamo rivestito i panni in ‘Infinity Blade’, altro non erano che “reincarnazioni” dello stesso Siris, in realtà a sua volta alter ego “smemorato” dello spietato signore della guerra e Immortale conosciuto come Ausar il Vile (un nome, una garanzia). La mappa è lievemente più grande rispetto al capitolo precedente, decisamente più ramificata, ma la logica non cambia: Siris è costretto a combattere, morire e tornare sui propri passi per guadagnare esperienza e implementare l’equipaggiamento. Il secondo capitolo è decisamente cupo, anche più del precedente, se possibile e, anche grazie ai DLC che ampliano le aree di gioco, rappresenta quasi una discesa agli inferi, al cui fondo si trova la Cripta delle Lacrime, da circa mille anni luogo di detenzione del misterioso Artigiano dei Segreti. Lungo questo percorso, Siris/Ausar riscopre la propria identità di Immortale (una tematica che sarà al centro del racconto ‘Redemption’), offrendo ai giocatori uno spaccato delle condotte passate del protagonista della serie.
Il terzo videogioco (trovate qui sotto il trailer, da brividi) vede l’insolita alleanza tra Siris e Raidriar, il Re-Dio affrontato nei capitoli precedenti, contro una minaccia che rischia di devastare il mondo una volta per tutte. Per il lancio in grande stile è stato coinvolto anche il gruppo indie Imagine Dragons, il cui singolo ‘Monster’ accompagna i titoli di coda del gioco. ‘Infinity Blade III’ prende tutto ciò che di buono si è visto nei capitoli precedenti e lo amplia, optando per un taglio particolarmente cinematografico e una grafica da urlo (basata sull’Unreal Engine 4), inserendo finalmente una pluralità di mappe e (ridotte) meccaniche gestionali in quello che per alcuni è effettivamente un gioco di ruolo, mentre per i più critici è un picchiaduro a scorrimento o, al più, un hack’n’slash con elementi ruolistici. Per la prima volta, inoltre, ci viene consentito di affrontare un vero e proprio drago (una possibilità mancata fin troppo a lungo!).
La serie giunge a quella che appare una conclusione definitiva, ma è verosimile che, confortati dai dati delle vendite, i ragazzi della ChAIR stiano preparando una qualche forma di sequel o di spin-off. Quel che è certo è che la ricetta di ‘Infinity Blade’ sembra funzionare alla grande: un misto sapientemente amalgamato di fantasy e fantascienza, un’abile mescolanza di elementi ruolistici e di dinamiche da picchiaduro, un livello di difficoltà tale da garantire un buon grado di sfida (ma raramente tanto esagerato da sopraffare gli sforzi del giocatore medio) e un lore tutto da esplorare, denso di trappole e segreti, sono gli ingredienti di questo gioco mobile decisamente atipico, il cui successo commerciale potrebbe rischiarare la via per gli sviluppatori del futuro.
– Stefano Marras –