“Make it a Blockbuster night”, suggeriva il motto di una notissima catena di videonoleggi. Si trattava di una realtà di stampo americano nella quale una miriade di succursali offrivano un servizio standardizzato, spesso in simbiosi con il fast-food di turno o l’ennesimo negozio di videogiochi privo di anima. Approdato anche in Italia, ha offerto per un certo periodo un servizio al passo con gli States, ma ha velocemente sbattuto contro un muro di accidia e addestramento secolare alla pay-tv, rivedendo le sue mire e riuscendo a mantenere la sua presenza almeno fino all’avvento di Internet. Parallelamente, in America, era nato l’ormai famoso Netflix, un servizio di videonoleggio privo di negozi che recapitava le videocassette direttamente tramite posta e che ha accolto a braccia aperte l’arrivo delle connessioni a banda larga. Nel 2007, infatti, ha passato i suoi contenuti in streaming, guadagnandosi una fetta del mercato che nessuno aveva reclamato e che, in quel periodo, sembrava essere fallimentare al punto che la stessa Blockbuster, vicina ad accorpare la ditta rivale, si era rifiutata di investire nel progetto, condannandosi indirettamente all’estinzione.
Ebbene, è recente la notizia che Netflix, fino a oggi inaccessibile al pubblico italiano, sbarcherà finalmente sulle nostre coste. A ben vedere, non si tratta di una sorpresa così imprevedibile visto che l’azienda, dopo essersi espansa in Canada e in America Latina, ha ultimamente messo radici anche in molti stati europei. Le nazioni conosciute dispregiativamente come PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna), ovviamente, fanno un po’ da fanalino di coda nelle priorità della ditta statunitense e, a eccezione del governo Tsipras che al momento è distratto da altre incombenze, stanno iniziando solo ora a discutere di eventuali collaborazioni. A onor del vero, il Bel Paese ha intimorito non poco la ditta straniera: oltre a una situazione economica notoriamente poco stabile, infatti, sono stati molto intimoriti dal nostro radicato rapporto con la pirateria informatica e dalla nostra arretratezza nel campo della connettività (siamo i più lenti in Europa con statistiche ben sotto la media mondiale).
Nonostante tutto, forse rincuorati dai recenti annunci di Renzi nel campo delle telecomunicazioni o consolati dai provvedimenti giudiziari che l’anno scorso hanno censurato molti siti internet bazzicati anche da scaricatori abusivi, Netflix ha deciso di dare un’opportunità al nostro territorio, esordendo in un contesto geografico nel quale sempre più persone (soprattutto i giovani tra i 16 e 38 anni) richiedono la sua proposta. In tal proposito, cosa dobbiamo aspettarci dal futuro servizio di streaming?
Netflix è noto, prevalentemente, per aver prodotto e ospitato alcune delle serie di maggior spessore e successo della televisione contemporanea: “Orange is the new black” e “House of Cards” sono gli esempi più celebri, facile li abbiate perlomeno sentiti nominare. A fianco a questi, presenzia una relativamente modesta selezione di lungometraggi e corti prodotti da terzi; nulla di eccezionale e, a dire il vero, sono molti che si lamentano di importanti mancanze che, tuttavia, sono sopperite almeno nel paese natio con il noleggio dei DVD fisici. Per qualche motivo, infatti, ottenere i diritti di distribuzione per lo streaming risulta molto più oneroso degli approcci più classici e obsoleti, rendendo difficoltoso tradurre l’intera libreria disponibile in formato digitale mantenendo costi contenuti. Vero punto di forza di Netflix, infatti, sono i prezzi molto bassi; non si sono rilasciate dichiarazioni ufficiali sul quanto bisognerà pagare per l’abbonamento italiano, ma ci auguriamo sia adeguato allo standard europeo di 7,99€ (contro i 7,99$ statunitensi), un prezzo più che ammaliante per chiunque sia interessato a un intrattenimento meno economicamente impegnativo delle pay-per-view storiche.
Parlando di concorrenza, Sky e Mediaset Premium (ambo le quali hanno recentemente allargato la propria influenza nel campo dello streaming) non si sono mostrate particolarmente preoccupate. In effetti, sembrano lontani gli anni in cui il Tele+ doveva affrontare un’IVA improvvisamente maggiorata da un governo intrallazzato con le reti avversarie e nei quali il suddetto governo usò i fondi dello Stato per fornire contributi a chiunque comprasse il digitale terrestre, fabbricato in buona parte dal fratello dell’allora premier. Ora la situazione risulta equilibrata, con una fazione che detiene il controllo del panorama cinematografico e l’altra che ha allungato le mani sulla nostrana passione calcistica. Netflix, a questo punto, si inserirebbe in un terzo campo che non infastidisce nessuno e che, semmai, attirerebbe coloro che a oggi seguono i programmi in streaming illegale.
Non è tutto rose e fiori, tuttavia. Ogni incarnazione di Netflix è differente da paese a paese, e in Italia si troverà a dover affrontare iniziali handicap: i diritti d’autore delle serie famose sopra menzionate, infatti, sono state vendute agli attuali distributori, e vi è il rischio concreto di non poterli vedere sulla piattaforma originale per diverso tempo. Voci di corridoio avvisano inoltre che il Mibact (Ministero dei Beni e Attività Culturali e del Turismo) voglia seguire l’esempio dei francesi e chiedere all’azienda statunitense una sostanziosa sovvenzione alla produzione di prodotti locali, cosa che ha fatto storcere il naso ai piani alti della ditta. Il futuro è quantomai nebuloso, non resta che aspettare ottobre per vedere di persona se tutto andrà secondo i piani, ma già da ora ci si aspetta che il tutto slitti al periodo natalizio o oltre.
-Walter Ferri-