Ebbene sì, dopo che a novembre vi avevamo stuzzicato con la foto del libro, finalmente ho completato la lettura di Oathbringer, l’ultima fatica del prolifico Brandon Sanderson, nonché terzo capitolo de Le Cronache della Folgoluce, a oggi ancora inedito in Italia. Ci sarebbe moltissimo da dire su questo romanzo, ma cercherò di essere breve, e soprattutto eviterò qualsiasi tipo spoiler, dunque proseguite tranquilli.
Iniziamo da una questione materiale: come tutti i libri di questa saga, anche Oathbringer non è esattamente un prodotto leggero, né al livello di trama, né al livello di peso. Nelle 1200 pagine che compongono la storia, infatti, sembra che accadano fin troppe cose, anche abbastanza triviali, e che Sanderson finisca per essere troppo prolisso – cosa rara, per lui! È anche vero, però, che tutto il libro è costellato di avvenimenti importanti, che molti autori avrebbero tranquillamente considerato come i tipici “scontri finali”, quindi la tensione rimane sempre bella alta, grazie anche ai capitoli brevi e che spesso si concludono in cliffhanger.
Insomma, tutto si può dire di Oathbringer, tranne che la sua trama sia povera: sarà anche densa di piccoli avvenimenti, ma alla fine va sempre a parare da qualche parte, ed ogni nuovo libro della saga contribuisce a farci scoprire un sacco di novità. Questa volta, i nostri nuovi Knight Radiants (Cavalieri Radiosi) dovranno riunire i regni di Roshar per combattere gli appena tornati Voidbringers (Nichiliferi) e fronteggiare la Everstorm (Tempesta Infinita). Non sarà facile, non solo perché il nemico è numeroso, incazzato, ben organizzato e guidato da una divinità, ma anche perché a Roshar nessuno si fida degli Alethi, e ancora meno dell’uomo che guida loro e i Knight Radiants: la Blackthorn (Spinanera), Dalinar Kholin. E, a dirla tutta, vista la storia insanguinata di Alethkar e quella personale di Dalinar – che scopriremo proprio nei capitoli flashback – hanno anche ragione.
Oathbringer è un romanzo molto incentrato sulla varietà e sulla scoperta del diverso: lo abbiamo visto in piccolo con i soldati del Ponte Quattro, poi con i Parshendi delle Pianure Infrante, e ora lo vediamo in grande – ma veramente in grande! – con le genti di Aziz e Thaylenah e con gli spren di Shadesmar. È un libro quasi enciclopedico nella sua voglia di rappresentare la vita umana in tutti i suoi aspetti, culturali o psicologici che siano. Ed è facile dimenticarsi le cose, ma per fortuna Sanderson ha cura di ripetere i concetti più di una volta.
Eppure la diversità di questo autore non è di quel politically correct fatto solo per timbrare il cartellino del progresso, tutt’altro: è un lavoro fine, complesso e tutto volto a includere per arricchire la storia e il worldbuilding; il diverso è l’approccio inaspettato a cui noi non avremmo mai pensato, è quel differente punto di vista che impreziosisce la nostra visione del mondo. E questa diversità è fondamentale in un mondo che sta cambiando, e che forse è già sull’orlo del collasso.
Questa è la grande sfida di Dalinar: unire Roshar convincendo tutti a fidarsi di lui, proprio mentre i ricordi del suo terribile passato tornano, minando la sua identità. Perché le amnesie fortunate non lavano la coscienza dai crimini di guerra e dall’aver causato la morte di tanti innocenti.
In generale, comunque, tutti i protagonisti dovranno fare i conti con le proprie insicurezze, anche più del solito. Shallan (forse quella con la caratterizzazione più traballante) dovrà trovare la propria identità: ora che ha sperimentato l’indipendenza, come può tornare a essere allieva di Jasnah? Adolin dovrà fare i conti con l’omicidio di Sadeas e con le aspettative che gravano su di lui. Khaladin, d’altro canto, non dovrà solo continuare a tenere a bada la sua depressione, ma dovrà anche confrontarsi col suo giuramento di proteggere i più deboli: cosa farà quando si renderà conto che i Parshmen (Parshi), risvegliati dal torpore, hanno pienamente ragione a volersi vendicare della schiavitù sotto gli umani?
Inoltre, Oathbringer acquisisce ulteriore profondità grazie alla presenza di moltissimi capitoli dedicati a personaggi (più o meno) secondari: dai vari membri del Ponte Quattro a Navani Kholin, dalla parshendi Venli a Szeth.
Ed è qui che il romanzo espande i nostri orizzonti verso quel grande disegno che è il Cosmere (Cosmoverso): ricordate che parte delle storie partorite da Sanderson avvengono nello stesso universo narrativo, ma su pianeti differenti? Ecco, in questo libro torniamo a vedere alcuni dei più indimenticabili personaggi di Warbreaker (avevate notato Vasher in Parole di Luce?), uno dei quali sarà insieme a Szeth nel duo più involontariamente comico di sempre.
Non che per godersi questo libro serva la lettura di Warbreaker, ma si tratta di quel worldbuilding ad ampio respiro che fa riconoscere i veri architetti di mondi fantastici, e Oathbringer ne è davvero una perla, un lavoro completo e curato, che intrattiene e fa riflettere allo stesso modo. Anche perché si tratta di una eccezionale esplorazione dell’animo umano, e gran parte dell’avventura dei personaggi (di cui Dalinar spicca come il meglio riuscito) consiste proprio nella loro crescita personale, nella comprensione delle proprie responsabilità, dei propri limiti e del proprio dolore. Senza scorciatoie, senza soluzioni facili, ma sempre con una luce in fondo al tunnel.
Sanderson lo si inizia a leggere per tanti motivi, ma forse lo si continua a seguire perché, nella sua esplorazione enciclopedica di tutto ciò che sia umano, riesce a parlare a quella parte di ognuno noi che non sa come affrontare la vita, e ci dà speranza, ci convince che possiamo andare avanti.
I have found, through painful experience, that the most important step a person can take is always the next one.
–Gloria Comandini–
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Oathbringer di Brandon Sanderson – Recensione
Gloria Comandini
- Worldbuilding eccezionale;
- Personaggi approfonditi e ben caratterizzati;
- Trama interessante, lineare e logica, ma con molti colpi di scena;
- Questioni morali affrontate in maniera non banale;
- Grande diversità etnica, culturale e religiosa;
- Edizione cartacea originale di grande qualità;
- Narrazione a volte ridondante e lenta;
- Stile di scrittura un po’ troppo semplice;