Il 16 settembre 2007 moriva James Oliver Rigney, in arte Robert Jordan, creatore della mastodontica saga de La Ruota del Tempo, che di certo non ha bisogno di presentazioni.
Quest’anno è caduto dunque il decennale della sua scomparsa, e Brandon Sanderson, rinomato e prolifico autore fantasy statunitense che fu incaricato dai familiari di Jordan di impugnare appunti sparsi, scarabocchi e registrazioni per completare la saga dello scrittore da poco defunto, ha scritto un post sul suo blog per ricordare il suo invisibile mentore. Ve lo proponiamo integralmente di seguito.
“Sono passati dieci anni dalla morte di Robert Jordan.
Per qualche ragione, trovo difficile scrivere questo post. Da tempo avevo in mente di dire qualcosa con l’arrivo di questo momento. Ho sempre trovato strano ricordare il giorno della morte di qualcuno. Penso che a essere celebrata debba essere la vita di una persona, non certo la sua morte.
Ma questo è anche un giorno significativo per chi appartiene come me al fandom del La Ruota del Tempo. È il giorno in cui abbiamo perso un grande uomo, il giorno in cui io ho perso un mentore che non ho mai incontrato.
Credo di aver già detto in passato quanto trovi strano conoscere tanto bene la famiglia di Robert Jordan adesso, dopo aver lavorato intensamente con loro per cinque anni, ma senza aver mai incontrato lui. Per me Robert Jordan resta una figura quasi mitologica, come quelle dei suoi libri. Un uomo statuario con cappello, bastone e sorriso saccente.
Potrei parlare per ore di quanti cambiamenti abbia portato all’idea di fantasy, almeno per me, ma oggi proverò a sceglierne uno. Robert Jordan mi ha insegnato a descrivere una coppa piena d’acqua.
Sembra semplice. Tutti sappiamo come è fatta l’acqua, la sensazione che dà in bocca. L’acqua è dappertutto. Descrivere una coppa piena d’acqua è un po’ come dipingere una natura morta. Quando ero bambino pensavo sempre: perché la gente passa tanto tempo dipingendo ceste di frutta, quando potrebbero dipingere draghi? Perché imparare a descrivere una coppa piena d’acqua, quando la storia è tutta incentrata su magie fighissime e (beh) draghi?
È una cosa che mi dava problemi da scrittore adolescente – provavo sempre a saltare le parti “noiose” per arrivare a quelle interessanti, invece di imparare come rendere interessanti le parti noiose. Robert Jordan mi ha mostrato che una coppa piena d’acqua può rappresentare una forte divisione culturale – la differenza tra chi è cresciuto tra due fiumi e chi ha visto il suo primo corso d’acqua un paio di settimane prima.
Un coppa piena d’acqua può essere una semplice dimostrazione di ricchezza, se la coppa è riccamente decorata. Può essere il segno di un viaggio difficile, con nient’altro da bere. Può essere un simbolo di giorni migliori, quando si poteva bere qualcosa di puro e pulito. Una coppa piena d’acqua non è solo una coppa piena d’acqua, è un modo di esprimere un personaggio. Perché le storie non parlano di coppe piene d’acqua, ma nemmeno di magia o di draghi. Le storie parlano di persone dipinte, illuminate e cambiate dalla magia e dai draghi.
Ci penso ogni volta che guardo la mia copia vecchia e consunta de L’Occhio del Mondo (si tratta proprio di quella che ho comprato nella primavera 1990 e che ha dato inizio a tutto.) Perché, alla fine, in un libro non è nemmeno importante la storia – è importante come essa ci cambi.
Grazie, Robert Jordan, per averci insegnato queste cose. Ci manchi.”
–Simone Formicola–
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