Il 23 dicembre ha debuttato su Netflix Trollhunters, la nuova serie animata in All-CGI creata da Guillermo del Toro e prodotta dalla Dreamworks. Lo show (26 episodi) è tratto dall’omonimo libro scritto proprio da del Toro e Daniel Kraus, e costituisce l’ennesimo passo mosso da Netflix sulla strada tracciata per il proprio futuro: sempre più contenuti originali, sempre più serialità.
Molto meno violenta del libro, molto più adatta a una fetta di pubblico “teen”, la serie sembra voler prendere di petto i cliché più noti del fantasy young-adult e rimescolarli in qualcosa che, fra ammiccamenti e leggerezza, sappia catturare tanto i grandi quanto i meno grandi.
La storia orbita intorno a Jim Lake Jr. (doppiato in originale dal recentemente scomparso Anton Yelchin), liceale-con-madre-sola carico di responsabilità e dotato di grande senso etico (cheppalle), che per uno di quei ben noti casi del Destino si ritrova a vestire i panni del mitico Trollhunter: esiste un mondo sotterraneo in cui vivono Troll buoni e Troll cattivi, e i secondi, come è d’obbligo, vogliono mangiarsi tutti quanti (sopra e sotto). Il povero Jim Lake, tutto fuorché interpellato, dovrà difendere i due mondi dalle trame delle creature cattive, aiutato da un amuleto magico che ha deciso un po’ inopportunamente di affibbiargli l’incarico.
Qui si sconfina nel campo delle opinioni personali, ma il canonico crossover fra viaggio dell’eroe e romanzo di formazione è così noto che scandalizzarsi per i cliché non avrebbe senso: in Trollhunters ci sono tutti, dal Prescelto che non vuole essere Prescelto, passando per il cattivo che sembra buono, fino al rivale che probabilmente diventerà amico, bla bla bla.
Quel che in questo caso risulta interessante è la modalità entro cui si è scelto di articolare questa narrazione: tradizionalmente relegata alla sfera della cinematografia, è una parabola che siamo forse più abituati a fruire in uno spazio di due, tre ore. Ventisei puntate da ventitré minuti l’una fanno nove ore e mezza: cosa ne verrà fuori?
Dopo la visione del primo episodio le prospettive sono buonine. Vis comica, strizzatine d’occhio allo spettatore e mini-archi narrativi funzionano abbastanza bene da non stufare. Peccato solo per la spalla di Jim Lake Jr., Toby Domzalski, che sembra destinato a restare incastrato nel ruolo di comic-relief, tristissimo ciccione senza prospettive di redenzione (e anche un po’ meschino).
Nella scrittura si intravede (troppo poco) il tocco un po’ più maturo alla del Toro: il mentore di Jim Lake Jr., Troll a sua volta, gli suggerisce fin da subito la regola d’oro del mestiere, vale a dire finire sempre il lavoro. Ma Jim Lake Jr. non si trova poi così a suo agio con gli omicidi (è Dreamworks, gente) ed è facile intuire che qualcosa, da qualche parte, dovrà cedere. Tutto considerato, probabilmente cambieranno le regole del mestiere (è Dreamworks, gente).
Il comparto grafico offre animazioni abbastanza godibili e contrasti di colore alla del Toro, intrattenendo quanto basta nelle scene più movimentate ma senza mai davvero lasciare il segno (ma ho appena visto Rogue One, perciò il mio gusto epico potrebbe essere fuori scala). Insomma: ci sono tutte le premesse per farne uno show divertente e trans-generazionale. Nulla, comunque, che faccia urlare al capolavoro.
–Luca Pappalardo–
Trollhunters 1×01: la recensione
Luca Pappalardo
- I cliché sono usati quasi sempre nel modo giusto;
- F.C.F. (Fantasy che funziona);
- Belle le animazioni dell’Amuleto;
- "Se è grasso fa ridere";