Al gioco del trono o si vince o si ricarica l’ultimo salvataggio: retrospettiva del videogame ruolistico delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
Questa è la storia di un tempo lontanissimo, il tempo dei miti e delle leggende. La gigantesca Ubisoft era crudele e meschina, e soltanto un gruppo di persone osò sfidare la sua potenza: i francofoni componenti di Cyanide. Costoro, ex dipendenti della sopracitata multinazionale, decisero di fondare la compagnia per dare sfogo al loro adrenalinico desiderio di creare simulatori ciclistici che, da allora, vengono pubblicati in Europa con cadenza annuale. Seguendo la loro vocazione di sportivi dal lavoro sedentario, i ragazzi di Cyanide si sono allargati fino a offrire una varietà di prodotti che spazia dal rugby alle corse dei cavalli, ottenendo una discreta fama sintetizzando agonismo e passioni nerd nel gioco capace di unire il fantasy al football americano noto come Chaos League. Sebbene si trattasse di un espediente ludico più che dignitoso, tuttavia, la sua celebrità è dovuta prevalentemente alle attenzioni legali accattivatesi da parte della Games Workshop che, riscontrando fin troppe similitudini con il loro Blood Bowl, si è fatta prima risarcire e ha poi sponsorizzato (o schiavizzato) il team perché programmasse Blood Bowl 2 con l’intenzione di distribuirlo a livello internazionale e di ricavarci ulteriori proventi.
Da un inizio modesto e di nicchia, Cyanide si trovò catapultata quasi per errore nel vivo del mercato videoludico e decise di tirare fuori gli artigli per potere consolidare la propria posizione; e per “tirare fuori gli artigli” intendiamo “comprare licenze per attrarre una considerevole massa di clienti”. Dopo un primo approccio frettoloso con lo strategico A Game of Thrones: Genesis, lo studio ha tentato nel 2012 di accostarsi nuovamente alla saga, dando vita al GdR semplicemente noto come Game of Thrones.
Ambientato nel periodo coperto dalla prima stagione dell’omonima serie HBO – ebbene sì, come succede a molti altri prodotti in licenza anche questo fa riferimento alla pellicola piuttosto che ai libri -, Game of Thrones replica la particolare narrativa del telefilm seguendo a capitoli alterni le avventure di due insoliti protagonisti: Mors Westford, un guerriero imbruttito da mille battaglie che ha “preso il nero” nella speranza di mitigare l’ira del sovrano dei Sette Regni e di salvare la sua famiglia, e Alester Sarwyck, legittimo erede del casato Sarwyck che torna alle sue terre dopo un lungo auto-esilio dovuto a una dilaniante crisi esistenziale. Ci troviamo quindi a interpretare personaggi di mezza età, i cui tempi d’oro sono da lungo tramontati e le cui menti sono fiaccate dai fantasmi del passato; niente efebici adolescenti predestinati che si destreggiano con spadoni e la cui storia è difesa da una conveniente amnesia, ma due vecchi amici che si sono lasciati con amarezza e le cui strade si incrociano di nuovo e imprevedibilmente per fronteggiare un complicato intreccio di violenza e intrighi che raggiungerà il climax con il loro canto del cigno. A seconda dell’episodio, il giocatore viene accolto dalle cupe e meste sale del Castello Nero, abitate solo da guardiani della notte induriti dal gelo e temprati dall’acciaio, o si trova immerso nel caldo afoso delle città a meridione, ove la nobiltà organizza banchetti mente il popolo è ridotto alla fame. Come prevedibile, con la variazione del contesto geografico va a modificarsi anche quello politico, altalenando tra la violenza brutale di combattimenti continui e strategie di corte condite da schermaglie minori, garantendo un’esperienza equilibrata che si stabilizza all’epilogo della vicenda. Le zone esplorabili del regno di Westeros non sono molte e sono tutte estremamente lineari, ma i fan della saga saranno felici di constatare che i punti di interesse sono stati trattati con la giusta sensibilità, sebbene siano segnati da alcune differenze dovute a una maggiore fedeltà ai testi originali e/o abbiano subito interventi dovuti alla scarsità di risorse.
Discendente bastardo dei vecchi giochi di ruolo, Game of Thrones attinge a piene mani di una struttura collaudata da Knight of the Old Republic e rivista in chiave moderna da titoli quali The Witcher e Dragon Age, permettendo di rallentare agevolmente l’azione per riorganizzare le forze in campo o gestire al meglio le mosse di combattimento. Questa possibilità si dimostra essenziale per fronteggiare il peculiare sistema di armature degli avversari – a ogni tipologia di corazza corrisponde una debolezza -, ma impone un ritmo a cui non siamo più abituati e che tende a sfociare in periodi disperatamente statici in cui ripetere all’infinito uno stesso schema di attacchi fino all’esaurimento dei rinforzi avversari. Sebbene i personaggi ricorrenti personalizzabili siano solamente due, è garantita una certa personalizzazione attraverso la possibilità di scegliere liberamente tra sei sistemi di combattimento che vengono approfonditi ulteriormente da altrettante classi di prestigio e da personali talenti speciali capaci di dimostrare la propria utilità sia in contesti bellicosi che nell’esplorazione delle mappe. Al loro fianco, accorreranno in supporto anche individui secondari – spesso influenzati dalle scelte compiute durante la storia – che metteranno a disposizione la propria esperienza di combattimento, ma che non potranno in alcun modo essere alterati.
Sul piano tecnico sono evidenti le parecchie restrizioni economiche delle casse di Cyanide che, seppure facendo affidamento sull’encomiabile Unreal Engine, non è stato in grado di garantire uno standard grafico particolarmente sbalorditivo. Decente a vedersi solo quando le impostazioni grafiche sono sfruttate al massimo, il gioco dimostra comunque diverse pecche e un numero di bug perlomeno discutibile per gli standard odierni. Difetto già menzionato, ma che è opportuno rimarcare, è il goffo utilizzo da parte dei programmatori del motore grafico, incapacità che gli ha imposto una riduzione significativa dei modelli poligonali visualizzabili su schermo. Cosa vuol dire in parole povere? Vuole dire che anche le città più vaste e fiorenti vengono rappresentate come claustrofobici villaggi semi-disabitati che, anche con questo freno, sono flagellate da un frame-rate misero che rischia di fare andare a singhiozzo animazioni e movimenti delle immagini proiettate. Sul piano sonoro la situazione non è di molto migliore; quasi tutti i doppiatori sono di dubbio talento e assolutamente incapaci di simulare interesse nel loro stesso operato, mentre i rumori di sottofondo sono ridotti all’osso, privando il mondo di gran parte degli effetti ambientali… è tuttavia vero che queste increspature vengono totalmente offuscate dall’accattivante colonna sonora e dal fatto che alcuni attori del telefilm hanno prestato la loro voce e la loro esperienza per sollevare le sorti del titolo.
Game of Thrones, tra bug e le vincoli tecnici, è lungi dall’essere un titolo perfetto, ma la sua trama elaborata e coinvolgente è in grado di incantare anche i giocatori più esigenti, spingendoli a esplorare più volte i capitoli portati a termine per vagliare come la trama venga influenzata dalle differenti scelte. Impossibile paragonarlo concretamente a eccellenze del genere (Mass Effect, per esempio), ma a differenza della sua concorrenza è un titolo fedele alle sue radici, che non si è “prostituito” alla moda di incentivare la componente action della giocabilita’. Inutile mentire, non è un gioco adatto a tutti, ma molte recensioni dell’epoca lo avevano scartato con smodata severità e gli appassionati dei libri/telefilm dovrebbero seriamente prendere in considerazione di provarlo, certi di sperimentare orizzonti ben più rosei di quelli in cui sono incappati i fan di Lost.
–Walter Ferri–