Torniamo a parlare della serie Star Comics “I Maestri dell’Orrore” (abbiamo recensito già “Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Signor Hyde” e “Frankenstein“) con l’adattamento di uno dei romanzi di un autore di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta, ma che, al contrario di Shelley e simili, è rimasto sempre tenuto fuori dalla lista di letture scolastiche: sto parlando di H.P. Lovecraft, personaggio amato da molti e odiato da altrettanti, controverso e discusso. Si potrebbero scrivere libri e libri solo per parlare della figura di Lovecraft, ma ciò che interessa a noi è la capacità che aveva di far crescere orrore e terrore nei suoi lettori malgrado il suo perdersi in giri di parole e discorsi inutili ai fini del libro. Insomma, la sua immaginazione, la mitologia che ha creato e il mondo che ha costruito meritano di essere conosciuti: chi volesse provare a farlo, ma considerasse le sue opere troppo pesanti (cosa spesso vera), allora potrebbe valutare l’opzione offerta da questo adattamento de “Alle Montagne della Follia”, sceneggiato da Giovanni Masi e con i disegni di Federico Rossi Edrighi.
Il romanzo, che è poco più di un racconto vista la brevità, segue lo stile dell’epoca, essendo scritto al passato da una delle persone che hanno partecipato agli eventi. Il narratore, un geologo, racconta di come sia partito per una spedizione in Antartide e di cosa abbia scoperto. O meglio, spiega ai suoi lettori perché non sia riuscito a tornare sano di mente, sperando che con questo suo resoconto nessun altro debba vivere ciò che ha passato lui. La sua spedizione, cominciata nel migliore dei modi, ha portato alla scoperta di corpi di strane creature aliene e misteriose, e di altissime montagne; i corpi di questi esseri facevano impazzire i cani di rabbia e gli scienziati di curiosità e così… sappiamo che non è andata a finire bene.
Nelle precedenti recensioni di questa collana c’è stato di ridire sulla sceneggiatura, ma per “Alle Montagne della Follia” si deve fare un discorso diverso. Lovecraft, come ci ricorda Roberto Recchioni alla fine di questo volume, non è mai stato troppo bravo a scrivere, e la sua abilità stava nell’immaginazione. Si perdeva in discorsi inutili, descrizioni che si basavano sull’innominabilità delle cose e così via, rendendo difficile, se non impossibile, riuscire a immaginare gli orrori di cui parlava. E il punto era questo, dar vita a qualcosa di talmente grande e terrificante da essere inconcepibile e incomprensibile per la mente umana, perché l’uomo non è nulla, gli dèi Lovecraftiani non sanno neanche che esiste e se ne infischiano: l’universo va avanti senza pensare al misero genere umano. Un’idea difficile da esprimere e far passare già attraverso un libro, che diventa poi un’impresa quando si deve adattare quel volume in forma di fumetto. Come si disegna l’indescrivibile? In più, bisogna tenere conto del fatto che quasi nessuno si sia avvicinato alle opere di Lovecraft: non esistono film, di fumetti ce ne sono pochi, non ci sono reinterpretazioni dei suoi mostri, e rimane un mondo distante da quello delle persone comuni.
Devo dire, però, che Giovanni Masi ce l’ha fatta. Ha dato un volto e un nome al narratore, che prende per mano il lettore portandolo dalla normalità alla follia e poi di nuovo alla normalità, in un viaggio che parte dal manicomio dove va a trovare un suo compagno di spedizione e sventura. Ci racconta come quella spedizione abbia portato alla morte di quasi tutti i suoi colleghi, e di come gli esperti si siano trovati davanti a qualcosa che la scienza umana non è riuscita a spiegare. Pur basandosi sul romanzo originale, Masi ne ha modificato in parte la struttura, riuscendo ad avvicinare narratore, il professor Dyer, e lettore, facendoci stare sulla sua spalla, portandoci a fidarci di quest’uomo, desiderando di ascoltare la sua storia. Le parole di troppo di Lovecraft sono state tagliate ed eliminate per dare più vita ai personaggi, il protagonista in primis, e al racconto, infondendogli più “movimento” e riuscendo a far capire bene a chi legge la situazione in cui ci si trova. Certo, pecca di didascalicità, e il discorso indiretto, presente nei riquadri in cui leggiamo il resoconto di Dyer che accompagna buona parte delle tavole, ha un linguaggio lontano dal nostro, ma se qualcuno volesse prendere il testo originale vedrebbe come si tratti, quasi sempre, delle stesse parole usate da Lovecraft. Questo effetto è una conseguenza del desiderio di mantenersi il più possibile fedeli ai testi originali, e viene ammortizzato solo dai discorsi diretti che suonano realistici, anche se a volte scontati. I disegni di Federico Rossi Edrighi non sono da meno e, sopratutto quando Dyer e il suo collega si trovano davanti alla città degli Antichi e alle montagne della follia, rende alla perfezione la piccolezza dell’essere umano agli occhi dell’universo. C’è tantissimo bianco, quello della neve, quello del cielo, quello del ghiaccio e quello dei volti, che quando incontra il nero viene soffocato dalle ombre dei mostri e della follia che si portano dietro. È uno stile minimale, che riprende i disegni che Dyer stesso realizza per accompagnare la sua storia e sottolineare le sue parole, e anche se ad un primo impatto questo fumetto può non sembrare all’altezza degli orrori Lovecraftiani, arrivati alle ultime pagine bisogna ricredersi. Se ci si fosse trovati davanti a tavole troppo dettagliate si sarebbe corso il rischio di scadere nel grottesco, rivedendo in questi incubi qualcosa di già conosciuto. È una storia già abbastanza intensa così, e vale la pena leggerla.
– Caterina Gastaldi –
I Maestri dell’Orrore: Alle Montagne della Follia – Recensione
Caterina Gastaldi
- Una sceneggiatura valida, che riesce a mantenere lo stile di Lovecraft senza prenderne i difetti;
- Disegni minimali ad un primo impatto possono allontanare, ma che riescono a sostenere bene il racconto;
- Linguaggio troppo didascalico a volte;