Un romanzo di Lovecraft è un po’ come un intruglio alchemico. Un po’ di mostri, un assaggio di civiltà scomparse, una scena di azione, un goccio di follia e un finale tragico: sembra una formula abbastanza semplice. Tuttavia, nonostante in molti abbiano cercato di replicare questo stesso mix con romanzi, videogiochi e film, nessuno sembra mai essere riuscito a replicare la ricetta originale dei miti di Cthulhu.
Il cinema, in particolare, sembra avere un grosso problema con il Solitario di Providence: Hollywood non è mai riuscita a far sue quelle atmosfere, finendo sempre per sforare troppo sullo splatter, sull’azione o sull’horror. L’attenzione verso i miti di Cthulhu è stata catturata principalmente da piccoli produttori, spesso indipendenti, talvolta persino amatoriali. Degni di menzione sono The Call of Cthulhu (2005), che tenta di immaginare come sarebbe stato un film sull’omonimo romanzo se fosse stato girato ai tempi di Lovecraft (quindi in bianco e nero e senza dialoghiù), The Whisperer in the Darkness (2011), mai uscito al cinema, e infine il recentissimo Cold Skin.
Proprio di quest’ultimo voglio parlarvi: pubblicato in Spagna nell’ottobre scorso e in arrivo il mese prossimo anche in Scozia al Glasgow Film Festival, si tratta di un prodotto che certamente alletterà gli amanti del genere. Si tratta dell’adattamento del romanzo La Pelle Fredda di Albert Sánchez Piñol (disponibile anche in Italia), una storia originale ma fortemente legata alla produzione Lovecraftiana.
La trama racconta di Friend (David Oakes), un meteorologo Irlandese, che prende servizio in una stazione nell’Antartide, dove deve trascorrere dodici mesi in totale solitudine, con l’unica eccezione del guardiano del faro, Gruner (Ray Stevenson). Nessuno dei due, però, è veramente solo: la zona è infatti abitata da una specie anfibia più antica dell’umanità, che vede gli esseri umani come invasori, e non si farà problemi a dimostrarlo.
Già dal trailer si intuisce l’ottima fotografia e regia. Dietro la macchina da presa c’è Xavier Gens, che certamente non ha grandi produzioni alle spalle (The divide, Hitman, Frontier(s)), ma che può forse aver giovato dell’affiancamento di David Slade (American Gods, 30 giorni di buio). Sicuramente alla qualità della pellicola contribuiscono l’inimitabile carisma di Ray Stevenson, la bellezza dei paesaggi polari, e un’atmosfera di mistero che ricorda il miglior Lovecraft: gli effetti speciali sono quelli che si possono aspettare da una produzione franco-spagnola certamente non multimilionaria, ma d’altro canto ogni tanto è bello vedere un film che non faccia delle esplosioni al tritolo la propria punta di diamante.
C’è da sperare che Cold Skin arrivi in Italia? Io direi di sì, nonostante su IMDb non sia riuscito a raggiungere la sufficienza nella valutazione complessiva.
Voi che ne dite? Avete letto il libro?
–Daniele Gabrielli–
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