Nel XVIII secolo il giovane Victor Frankenstein, affascinato dalle teorie di Galvani e Paracelso, e successivamente ossessionato dall’illusione di poter creare qualcosa di vivo usando la materia morta, tenta un esperimento infondendo la vita in una “creatura”, un mostro che tormenterà l’esistenza dello scienziato fino alla sua morte.
Il Frankenstein di Mary Wollstonecraft Godwin (successivamente Shelley) è un’opera che per le sue qualità e per la sua originalità stupì i suoi contemporanei e ancora oggi continua a suscitare emozioni e ad influenzare l’immaginario collettivo. Era l’estate del 1816 quando la diciottenne Mary, costretta nelle stanze di villa Diodati in Svizzera a causa del maltempo, in compagnia del suo amante (poi marito) Percey Shelley e altre tre illustri figure, partorì la prima stesura del suo racconto/capolavoro a tema orrorifico.
Quando si traspone un racconto da un linguaggio ad un altro ci si imbatte in una serie di rischi e difficoltà che si amplificano se si vuole rimanere assolutamente fedeli all’opera originale. Lo stesso Giulio Antonio Gualtieri, sceneggiatore dell’albo di cui vi parlo oggi, ammette che “il testo di Frankenstein è pieno di passaggi verbosi che hanno avuto bisogno di un grande lavoro di adattamento, in quanto non avrebbero mai potuto funzionare in una trasposizione a fumetti“. A complicare maggiormente le cose è sicuramente la narrazione: tutta la storia è raccontata da Victor Frankenstein che ripercorre il suo passato tramite flashback, alternandosi più volte con i ricordi stessi della creatura che, ad un certo punto, diviene anch’essa narratrice.
L’idea di rimanere fedeli al romanzo originale, scopo della collana I Maestri dell’Orrore curata da Roberto Recchioni per Star Comics, è del tutto legittima, in quanto solo poche sue trasposizioni che abbiamo avuto modo di vedere fino ad oggi, sia nei cinema che nei fumetti, si sono cimentate col testo originale. Il racconto è già complesso così com’è, e modificarne anche solo una parte, a mio parere, significa fargli un torto: forse è anche per questo che i bravi Giulio Antonio Gualtieri e Francesco De Stena non riescono a convincere il lettore e (ahimè) a suscitare in lui delle vere emozioni.
I disegni di De Stena sono indubbiamente la parte migliore della produzione, ed è evidente l’influenza di maestri come Bernie Wrightson, Mike Mignola, Alberto Breccia e Dino Battaglia, come dichiarato nelle appendici del volume. Il disegnatore dà il meglio di sé con le scene drammatiche e con i lugubri scenari, che appaiono molto curati. Al contrario, invece, i personaggi “umani” sembrano abbozzati in maniera affrettata e, soprattutto nei volti femminili, salta all’occhio una scarsa caratterizzazione e una mancata dovizia di particolari che non permette di distinguerle chiaramente le une dalle altre. Vorrei spendere due parole, invece, sulla fisionomia e il modo di reinterpretare la creatura, un mostro, un essere spaventoso che De Stena raffigura con occhi profondamente umani, cogliendo in una sola immagine l’intero tema dell’albo, ovvero “la creatura che diviene più umana del suo creatore”. L’uomo che si sostituisce a Dio, la pena e la sofferenza di un figlio che non viene accettato, la crudeltà e l’essere che diventa malvagio come conseguenza di ciò che gli è stato fatto… può esistere mostro più umano di questo?
La sceneggiatura, al contrario, lavora per sintesi. Certo, si è dovuto ridurre un tomo di circa 300 pagine in un centinaio di tavole, ma il risultato è una trasposizione che rende il fumetto troppo simile ad un libro illustrato, proprio per la scarsità di dialoghi – un vero peccato. Le parti del fumetto dove viene dato più spazio alle conversazioni e all’interagire dei personaggi, però, sono davvero notevoli. In particolare ci terrei a sottolineare le tavole dell’epilogo che, tramite strategiche inquadrature e un chiaroscuro ben lavorato, mettono in piena evidenza la drammaticità delle scene finali. L’impressione, però, è che manchi un’impronta personale, la visione propria dell’autore, o comunque qualcosa che riporti ad essa. Insomma, sarebbe stato meglio tralasciare qualcosa e non essere così “ossessivamente” fedeli allo scritto originario. Non bisognava stravolgerne il contenuto, come già detto in precedenza, ma bensì ampliarlo o semplificarlo in alcuni punti per evitare così la ridondanza di alcune situazioni.
L’effetto generale non è deludente, ma è troppo didascalico. Testi e disegni a volte tendono a cozzare tra loro creando non poca confusione nel lettore. Secondo me alcune incombenze narrative avrebbero dovuto lasciare spazio ai disegni e alle inquadrature magistrali di De Stena, in modo da rendere l’albo più fluido e piacevole da leggere e ammirare. Ho apprezzato, comunque, la teatralità di “pura estrazione romantica”, ma che rimanda alla tipicità dei fumetti horror e che riprende perfettamente le linee del romanzo gotico.
Frankenstein è solo uno degli albi che costituiscono la collana I Maestri dell’Orrore. Star Comics, infatti, ci propone altri tre evergreen: Dracula, Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde e Alle montagne della follia. Lo stesso Recchioni non ha escluso la possibilità di continuare con questa collana, quindi restate sintonizzati con noi per essere sempre aggiornati sulle ultime novità. La vostra creatura dai capelli rosso sangue vi saluta e vi augura una buona lettura.
– Ilaria Marino –
I Maestri dell’Orrore: Frankenstein – Recensione
Ilaria Marino
- Fedele al testo originale;
- Grandiosa interpretazione della creatura;
- Cura dei dettagli nelle scene drammatiche;
- Troppo didascalico;
- Sommaria caratterizzazione dei personaggi;
- Poco scorrevole;