Frankenstein: un nome che evoca un’immagine ormai più che familiare, anzi iconografica. Nato dalla penna di Mary Shelley nel 1816, il romanzo in seguito fu trasposto in diverse pellicole e rappresentazioni teatrali che lo resero uno dei prodotti letterari più famosi del panorama horror. Ma, nonostante i molti film a lui dedicati (più di cinquanta, senza considerare le comparsate), non sempre si è riusciti a recepire il messaggio dell’autrice, che aveva sottotitolato l’opera con “Il Prometeo moderno”. Non solo: in molti purtroppo continuano a pensare a Frankenstein come al mostro enorme creato da un inventore, non sapendo che in realtà sia il nome del dottore stesso. Curioso errore, considerando il fatto che in fin dei conti proprio l’uomo può assumere un connotato mostruoso per via dei suoi esperimenti che sconfinano da ciò che è umanamente accettabile. È probabilmente in questo contesto che si inserisce il film che recensiamo oggi e di cui vi abbiamo già parlato l’anno scorso, in un tentativo di dare nuova luce a questo geniale inventore: Victor – La storia segreta del dr. Frankenstein è una pellicola statunitense del 2015, ma giunta da noi in Italia solo lo scorso 7 aprile.
La trama non è diversa da quella che conosciamo, sebbene in essa sia possibile trovare dettagli nuovi che donano maggiori sfaccettature a personaggi spesso in passato rappresentati come macchiette. Come intuirete dal titolo, il film è incentrato su Victor (interpretato da James McAvoy), un eccentrico studioso di medicina del diciottesimo secolo che dedica il suo tempo a perfezionare una teoria secondo la quale sarebbe possibile riportare in vita ciò che è morto. In questa ricerca lo affianca Igor (Daniel Radcliffe), un gobbo fuggito da un circo che si rivela essere estremamente acuto, e un aiuto imprescindibile per il lavoro del dottore. I due collaboreranno per portare avanti questa folle teoria, scontrandosi con la polizia locale che, rappresentando la legge morale, cercherà di ostacolarli, ma anche con coloro i quali vorranno approfittarsi di questa scoperta per ottenerne un guadagno. Probabilmente è questo il punto cruciale sul quale soffermarsi: Victor non fa tutto ciò per denaro, e nemmeno per fama; a muoverlo sono sentimenti di colpa per via di ciò che ha fatto in passato, un peccato che non riesce a perdonarsi e che potrà cancellare dalla propria coscienza solo compiendo un atto estremo come quello di dare origine alla vita.
Il regista Paul McGuigan si concentra proprio sull’aspetto etico e morale della vicenda, relegando al mostro vero e proprio solo una parte secondaria. Ma era chiaro fin dal principio che il suo scopo fosse far luce sui sentimenti che portano Victor a prendere una decisione tanto scellerata, tratteggiando i personaggi in maniera quanto più realistica possibile. E il massimo di questo concetto si evidenzia in Igor: una figura vista spesso in chiave comica, qua però rivisitata e aggiornata. Parte anche lui come un pagliaccio, ma dietro al trucco si nasconde un ragazzo con sentimenti che proverà a tirare fuori il meglio dal suo mentore.
Il film viene quindi girato con uno stile che è una via di mezzo tra dramma e azione: a tratti potrebbe ricordarvi lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie, con scene d’azione composte da rallenty e dettagli zoommati, ma sono solo una blanda copia degli adrenalinici scontri londinesi. Inoltre, sebbene fossero nobili le intenzioni alla base, c’è da dire che la sceneggiatura non riesce a tenere in piedi troppe cose contemporaneamente, e mette il piede in fallo in più occasioni. Il film ha infatti un ritmo altalenante, tra momenti coinvolgenti e altri tediosi, e nel suo tentativo di aggiungere credibilità scientifica alla storia risulta involontariamente comico, specialmente per chi mastica un po’ della materia.
A risollevarne le sorti ci pensa comunque un gruppo di attori britannici che riesce a creare personaggi piacevoli da seguire: il non più giovane maghetto Radcliffe continua a divertirsi con trasformazioni fisiche che vanno a discostarlo sempre più dall’immagine di quell’Harry Potter che rischiava di restargli incollata addosso per sempre (buon per lui), mentre McAvoy è intenso nella sua raffigurazione del folle disperato. A completare il trio d’eccezione c’è Andrew Scott, che passa dall’interpretare uno dei miglior Moriartry di sempre a vestire i panni di un poliziotto che si batte per la propria fede religiosa ed etica – non vincerà di certo l’Oscar, ma è sempre un piacere vedere sul grande schermo attori ancora in grado di recitare.
Usciti dalla sala si rimane con quella sensazione di aver visto un film ben confezionato, magari anche divertente in qualche sua parte, ma troppo carico di aggettivi tiepidi e consolatori. Sarebbe il caso di dire: chi si accontenta, gode. Ed è inevitabile per chi scrive una recensione andare poi a riflettere sul motivo per cui tutto ciò sia stato fatto. Con quasi un centinaio di apparizioni al cinema, era davvero necessario riproporre la storia di Frankenstein per l’ennesima volta? Per quanto il mito di Prometeo sia estremamente attuale, sarebbe riproducibile in diverse forme: perché dunque sfruttare ancora queste figure, e spremerle fino al midollo nel tentativo (spesso infruttuoso) di tirarne fuori qualcosa di nuovo? Siamo davvero arrivati a questo punto, a dover spolpare le ossa di un personaggio che ormai cavalca l’onda del successo, nella blanda consapevolezza che qualcuno andrà al cinema solo per vedere il famoso mostro? Dov’è il coraggio nel proporre storie nuove, quello stesso coraggio che ha spinto Victor a ribellarsi alle convenzioni sociali per sondare nuovi terreni e raggiungere l’indipendenza intellettuale? Forse è una battaglia persa in partenza, un po’ come quella dell’uomo che vuole emulare Dio.
Lasciandovi con questa riflessione, attendiamo i vostri pareri: armatevi di pop corn e fateci sapere cosa ne pensate.
– Andrea Carbone –
Victor – La storia segreta del dr. Frankenstein – Recensione
Andrea Carbone
- Ho apprezzato la volontà di aggiungere dettagli nuovi ai personaggi;
- Buone interpretazioni da parte degli attori;
- Ottima scenografia;
- La sceneggiatura non è all’altezza degli intenti;
- Troppe assurdità medico-scientifiche;
- Non mi va giù l’accanimento terapeutico sul romanzo;