È sempre interessante sezionare la mente della società moderna e riscontrare quella gran confusione che caratterizza anche il suo modo di esprimersi. Non c’è campo che non subisca questo continuo incasinamento scriteriato, ma quando si vanno a toccare le tre parole del titolo la situazione precipita. A riprova, digitando su Google “UFO nei film”, a parte l’infilata di fotogrammi con strane luci all’interno delle pellicole, saltano fuori pagine che elencano i migliori film contenenti… alieni.
No, alt, wait a moment!
Cosa c’entrano gli UFO con gli alieni? Qualcosa sì, ma non sono la stessa cosa. Neanche alieno ed extraterrestre è la stessa cosa, sebbene i due termini vengano usati come sinonimi dalla maggior parte delle persone, più abituate ad avere a che fare con queste parole attraverso produzioni di intrattenimento, che su testi specifici.
Andiamo con ordine.
Gli UFO (Unidentified Flying Object) sono semplicemente qualsiasi cosa compaia in cielo che non venga identificata in qualcosa di noto.
Gli alieni sono qualsiasi creatura, umanoide o meno, di natura non riconoscibile, non familiare.
Gli extraterrestri sono creature provenienti dallo spazio fuori la Terra.
C’è da dire che i prodotti di intrattenimento hanno giocato molto su queste definizioni, spesso storpiandole e cambiandone il senso, ma l’occhio attento è in grado di fare le dovute distinzioni.
Per quanto mi riguarda, non ricordo produzioni incentrate nello specifico su UFO in senso stretto, in quanto mi sembra che ogni qual volta compare un UFO alla fine viene spiegato o ricondotto ad un fenomeno ben preciso (alieno, extraterrestre o terrestre), che spoglia l’iniziale UFO del suo carattere “unidentified”. Più facile è invece concentrarsi su alieni ed extraterrestri.
Le produzioni sugli extraterrestri si sprecano: dai famosissimi Alien e Predator, fino ad arrivare a Attack the Block e allo strano Dark Skies, passando attraverso Man in Black, Mars Attacks!, l’Acchiappasogni, ET, la Guerra dei Mondi, Indipendence Day, e bla bla bla. E abbiamo considerato solo i film! Perché se parlassimo di libri, non potremmo che citare l’infinità di racconti incentrati su pianeti extraterrestri e civiltà che, di conseguenza, sono extraterrestri a loro volta: il massimo è Star Wars – una galassia extraterrestre! –, ma impossibile non ricordare il Ciclo dei Principi Demoni, il Ciclo dei Fabbricanti di Universi – infiniti universi extraterrestri! –, il Ciclo dei Vor, e così via. E poi, vogliamo dimenticare il comparto videoludico? Metroid, Space Invaders, Halo, Mass Effect, Starcraft, Warhammer, EVE, e via verso l’infinito e oltre.
Un discorso diverso, più complesso, merita invece di essere fatto per gli alieni. È assodato che l’extraterrestre sia un alieno, ma non vale il contrario!
L’alieno può anche essere qualcosa di perfettamente umano o perfettamente terrestre, che a causa di una particolarità nell’aspetto o nel comportamento viene percepito estraneo e, quindi, rigettato dalla massa. L’esempio lampante è Fratello di un altro pianeta, dove in una società non ancora paritaria, gli alieni sono i neri. Un altro esempio, precedente, è The Elephant Man, dove l’alieno è un freak, cioè una persona caratterizzata da gravi malformazioni. Il film è del 1980, ma ricalca una storia vera, quella di Joseph Merrick (1862-1890), malato di neurofibromatosi, causata da una mutazione genetica. Si capisce subito come, rispetto all’extraterrestre, quello dell’alieno sia un tema socialmente molto più importante, che coinvolge in prima battuta la paura del diverso, seppur terrestre.
Se andiamo ancora più indietro, c’è uno dei film più assurdi di tutta la cinematografia passata, presente e pure futura. Vi do qualche indizio: psicotico e pieno di pennuti. Sì, alludo proprio a Gli uccelli di Hitchcock, in cui l’alienità è incarnata da centinaia e centinaia di uccelli. Qui il problema si complica, perché da persona tu puoi guardare negli occhi un nero o un freak e comunque riconoscerlo come essere umano, che è poi quello che è di nascita. Ma se guardi negli occhi un uccello? Lo vedi come un’animale, quindi già come qualcosa di diverso, con l’aggravante che, magari, ha pure un atteggiamento totalmente estraneo al normale. È definitivamente alieno, quindi.
Mi pare che più si vada indietro con il cinema, più la situazione si faccia assurda (e lo dico con un sogghigno perfido, perché la cosa mi diverte molto). Era il 1957 quando nelle sale italiane usciva La meteora infernale. Ora, a parte la traduzione (tanto per cambiare pessima) del titolo inglese – The Monolith Monsters –, il film è incentrato su una roccia extraterrestre che, arrivata sulla Terra ed entrata in contatto con acqua dolce (la precisazione è doverosa), inizia a crescere, ad animare altre rocce terrestri e a mutare le persone in statue. Sebbene l’origine del problema non sia sulla Terra, ma ci arrivi, la contaminazione di materiale terrestre porta l’alienità allo stesso livello de Gli Uccelli. Spoilero, tanto so che vi interessa molto godervi la meteora infernale, che la soluzione per distruggere i monoliti era bagnarli con acqua salata… vabbe’.
Poi c’è l’alieno prodotto dall’umano. Da dove partire?
Da Star Trek? Il primo dei film incentrati sull’equipaggio classico, quello capitanato da James T. Kirk o William Shatner, tanto sono la stessa persona, girava intorno all’idea di un essere senziente alla ricerca del suo Creatore. Quanta sorpresa nello scoprire che V’Ger, l’antagonista in questione, altro non è che la sonda terrestre Voyager 6. Insomma, un prodotto umano, una sonda inanimata, acquisisce coscienza e, da perfetta aliena, cerca la propria identità.
Cosa c’è di diverso fra V’Ger e, per esempio, il Mostro del Dr. Frankenstein? Addirittura, dal romanzo di Mary Shelley si capisce molto bene come il Mostro e il Dottore siano mossi dagli stessi impulsi, e infatti il loro conflittuale rapporto si risolve sempre in inseguimenti che vedono i ruoli invertirsi e alternarsi, fino alla risoluzione. Il Dottore muore e il Mostro, dopo aver spiegato come la sua malvagità non sia che il riflesso di quella che il mondo ha riversato su di lui, si suicida.
Frankenstein come i freaks, ma anche come il Golem delle leggende ebraiche fiorite nella Mitteleuropa, sempre a cavallo fra ricerca esoterica e scienza, fra necessità di incarnare la paura in una creatura controllabile e quella di dare a quella stessa paura una faccia umana, e quindi riconoscibile, e donatrice di salvezza. Uno dei libri di narrativa più significativi per quanto riguarda la storia del Golem è proprio Il golem di Gustav Meyrink, da cui è stato tratto l’omonimo film. Riprendendo le credenze semitiche nate in seno alla cultura sumerica, i rabbini ebraici e Meyrink ci narrano della creazione di un automa, di un robot fatto non di metallo ma di carne e sangue o di argilla. Ma in realtà ben prima dell’epoca moderna troviamo robot di metallo. Basta dare uno sguardo ai miti greci per ricordarsi di Pandora, creata da Efesto, dio della metallurgia. È presumibilmente corretto pensare quindi che Pandora fosse un androide di metallo e non di argilla.
Ciò che l’uomo crea, però, spesso e volentieri è la distruzione. E così Pandora è responsabile di tutti i mali dell’umanità, il Golem uccide delle persone per proteggere il suo padrone (quindi deve essere distrutto), il Mostro non può vivere in questo mondo e muore da emarginato dopo la morte dell’unico individuo che lo ha amato, V’Ger rischia di distruggere la Terra e viene fermata con il sacrificio di due vite. Sì, l’uomo crea e in questo processo distrugge: gli altri, sé stesso, la propria specie, il proprio pianeta.
Nulla di sorprendente, no? Come insegnano Fullmetal Alchemist e XXXHolic, ogni cosa ha il suo prezzo e bisogna pagare il giusto, né più, né meno.
E qual’è il prezzo di sperimentare con altre specie animali cercando di renderle senzienti? L’arrivo su un pianeta dove l’umanità ha seguito il processo evolutivo delle scimmie, e le scimmie quello dell’uomo. È questo l’inizio de Il pianeta delle scimmie, che si concluderà scoprendo che in realtà quel pianeta è proprio la Terra dove l’uomo è involuto nei secoli e le scimmie, grazie a Cesare, il primo di loro ad essere senziente come un uomo, ne hanno preso il comando. In questo caso eclatante l’alienità spetta all’umanità in una duplice veste: quella di schiavi totalmente diversi dagli individui contemporanei, e quella di intrusi in un sistema che ormai non li contempla più. Apoteosi dell’argomento quindi, e in parte summa di alcuni dei temi presentati fino a qui.
Ma la salita non è finita, la vetta secondo me è rappresentata da Il pianeta proibito, del 1956. Oltre ad essere il primo film che ha appaltato un effetto speciale a qualcuno di specializzato (Walt Disney, infatti il mostro è a “cartoni animati”), è molto interessante perché la creazione trascende la materia. Basta la volontà manifestata fuori controllo durante un sogno per manipolare l’energia elettrica e mettere a rischio l’amante della propria figlia. Il tutto in pura salsa sci-fi, visto che siamo durante l’esplorazione di un altro pianeta. Ah, per la cronaca… se dico “Robby” forse vi ricordate meglio di questo film, visto quanto è famoso questo simpatico robot! Ad essere alieni, quindi, possono essere anche i sentimenti.
È chiaro che un’analisi come questa potrebbe continuare per molto sconfinando in numerosi argomenti, fantascientifici, sociali o scientifici che siano. Mi sembra chiaro anche, però, che il tema dell’alieno sia uno dei più importanti della sci-fi, uno di quei motivi cardine che la mantiene anche su un livello filosofico e non di puro intrattenimento. Ultimamente c’è stata un po’ di carenza circa la trattazione della diversità, forse perché viviamo in un mondo che si crede perfettamente tollerante e in cui si suppone che le diversità siano integrate alla perfezione: non è così, è pura illusione e lo testimoniano tutti i conflitti di qualsiasi genere che tengono in bilico la nostra società. Da una parte c’è sicuramente l’aspirazione ad un vero salto di qualità, dall’altra sembriamo sul punto di doverci sgretolare e annichilire nell’arco di qualche decennio.
Sembra, insomma, che dall’alienità del passato non abbiamo attinto nulla di buono e che preferiamo ostinarci a vedere nel Mostro qualcosa di cattivo in modo autonomo, e non un prodotto della nostra stessa arroganza.
– Lucrezia S. Franzon –