La saga di The Witcher ha subito un destino particolare; iniziata dal polacco Andrzej Sapkowski, non ha mai vantato la fortuna di potersi muovere in un contesto anglofono che ne agevolasse la fama, risultando apparentemente condannata a diffondersi esclusivamente in alcuni paesi dell’Est grazie alla terribile trasposizione televisiva che non è in grado di raggiungere neppure gli standard qualitativi della nostrana – quanto vintage – Fantaghirò. Eppure, dopo quattordici anni di anonimato, vi fu una svolta, un videogame di nicchia si è fatto spazio nel cuore di alcuni videogiocatori nostalgici che, innamoratisi delle sue atmosfere cupamente fantasy, hanno iniziato a diffondere il verbo, invogliando sempre più individui a dare un’opportunità alle avventure dello strigo Geralt di Riva. Altri tre anni, e l’Editrice Nord inizia gradualmente a stampare le traduzioni del primo romanzo, ma la crescente notorietà resta saldamente legata ai nuovi media, con un secondo videogioco decisamente più accessibile e popolare, ma anche con una serie di fumetti della Dark Horse, riportata in Italia dalla Panini Comics. Nell’ansiosa attesa del terzo capitolo videoludico, abbiamo deciso di recuperare qualche volumetto del suddetto comics, concentrandoci sulla recente miniserie nota come La casa di Vetro!
Primissimo dettaglio a balzare alla nostra attenzione è come il lavoro, evidentemente traboccato dal controllo dell’autore originario, venga qui affidato a personaggi relativamente ignoti provenienti del panorama statunitense, paese tradizionalmente distante dai gusti e dalla sensibilità degli sclaveni; nello specifico stiamo parlando dello scrittore Paul Tobin, rodato con innumerevoli collaborazioni con la Marvel, e il quasi neofita illustratore Joe Querio, il quale aveva avuto la sfortuna di debuttare nel pantheon dei grandi con il fumetto dell’immondo Alien: Colonial Marines, trovando così frustrati i suoi sogni di successo. Ammettiamo, a questo punto, di aver iniziato a sfogliare le pagine con una certa dose di cauta diffidenza, ma non avendo adocchiato nulla di visibilmente catastrofico ci siamo comodamente seduti per iniziare la lettura.
Geralt, uno degli ultimi esponenti dei cacciatori di mostri noti come witcher/strighi, cavalca per le terre di Angren costeggiando Caed Dhu (meglio nota come Foresta Nera), imbattendosi fortuitamente in un anziano cacciatore consumato dagli anni e dal lutto. Gli uomini, fiaccati da lunghi periodi di isolamento, decidono di bivaccare assieme in un convivio confidenziale e amichevole. Jakob, questo è il nome del vecchio, incalzato dalle domande del suo ospite, ammette di essere legato a quelle lande tetre e pericolose in seguito al lancinante senso di colpa dell’aver condannato la propria compagna con la sua leggerezza; anni addietro, infatti, decise di non dare ascolto alle nefaste leggende e di attraversare il fitto della boscaglia, con il risultato che la donna fu rapita da una bruxa – una vampira – per essere trasformata in una creatura maledetta che ancora veglia su di lui dalla distanza con atteggiamenti al limite dello stalking.
Passano i giorni e, al momento degli addii, il cacciatore realizza di doversi lasciare il passato alle spalle, decidendo di intraprendere il viaggio affiancando per un breve periodo il mercenario, appoggiandosi alla sua assistenza per affrontare nuovamente la selva che tanto teme. Li troveranno streghe delle tombe, ghoul, i temibili lesny e la magione misteriosa che da il nome all’intera collezione, edificio che li obbligherà ad affrontare i lati più oscuri dell’animo umano. Altro non aggiungiamo, ovviamente, per non rovinarvi le sorprese, ma ci permettiamo ugualmente di condividere qualche considerazione.
Racconto auto-conclusivo, La casa di Vetro approfitta pienamente dell’abitudine positiva/negativa dell’epopea del non intrecciare a maglie strette le trame raccontate su diversi supporti (chi ha giocato ai videogame ben avrà noto l’escamotage dell’amnesia), proponendo un episodio al di là del canone lineare, lasciando esplicitamente ignota la collocazione cronologica degli avvenimenti; Tobin, inoltre, opta per un approccio estremamente legato alla trasposizione informatica, facendo leva sulle nozioni note ai più, salvaguardandosi dal severo giudizio dei fanatici bibliofili e promuovendo implicitamente il gioco di prossima uscita. La struttura narrativa è perlopiù solida e gradevole, ma non riesce a seguire completamente il retaggio di Sapkowski, sfociando in un’esperienza che, pur mantenendo intatta e fedele la personalità del protagonista, molto deve si racconti di Solomon Kane. Le illustrazioni di Querio si sposano degnamente con le grottesche atmosfere, garantendo un paesaggio cupo e al contempo fiabesco, complessivamente verosimile, ma l’inesperienza del giovane si nota nella sua difficoltà nel mantenere l’ottimo standard anche nelle scene di combattimento concitato che, seppure più che comprensibili, optano per pose e inquadrature decisamente meno raffinate.
Nell’apprestarvi a questa collezione, insomma, non aspettatevi grandi rivelazioni o intimi segreti sul mondo dei witcher, queste pagine non progrediscono in alcun modo il nucleo del romanzo, spaventate come sono dal non volerne intaccare lo spirito; quello che queste pagine offrono è un aneddoto aggiuntivo sulla vita di Geralt, garantendo l’azione, l’umorismo e la dissoluta sessualità che ormai vengono a lui attribuite. La casa di Vetro, pur non essendo un’aggiunta imperdibile alla vostra libreria, saprà intrattenervi e strapparvi qualche sorriso, anche al costo di insegnarvi nuove battute ciniche e nichiliste.
– Walter Ferri –