Se vi siete sentiti talvolta incompresi e avete pensato di essere come alieni sulla Terra, il film di cui sto per parlare fa esattamente per voi. Proprio così, perché il presupposto di “The Visit” di Michael Madsen (distribuito nei cinema italiani dal 2 settembre grazie a I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection) è dichiarato sin dalle prime scene, creando un gioco meta-cinematografico, assegnando ad ogni spettatore il ruolo dell’Alieno venuto sulla Terra per chissà quale motivo.
Il nostro pianeta potrà anche non aver mai ricevuto una visita degli alieni ma, sin dall’invenzione della radio e della TV, gli esseri umani hanno inviato segnali verso lo spazio profondo, per annunciare ad altre civiltà il fatto che esistono. “The Visit” si chiede “cosa succederà quando” questo incontro avverrà. Grazie al coinvolgimento senza precedenti di numerosi esperti e studiosi, dal Direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico agli esperti della NASA, a esponenti dell’ISU (International Space University), dagli esperti del SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) a consulenti dell’esercito, il film costruisce uno scenario credibile sul momento del primo contatto, cominciando dalle domande più semplici che potremmo porre ad un extra-terrestre.
Il nostro sguardo al film è il motore dell’azione; infatti quando ci soffermiamo sulle scene, la voce narrante ci accoglie in qualità di “alieni”. La nostra venuta, evento di portata scientifica, politica e psicologica senza pari, sarà al centro degli eventi dell’originale documentario. Ci chiederanno Chi siamo? Da dove veniamo? Veniamo in pace? Ma noi, pur venendo chiamati in causa per tutto il film, non possiamo rispondere, in quanto muti spettatori in una sala cinematografica, ed alieni proprio perché non possediamo gli strumenti adatti per comunicare con qualcuno diverso da noi.
Figo, eh? Questo è il punto iniziale da cui si sviluppa e prende vita il mockumentary di Madsen, che è stato presentato, tra l’altro, al Sundance Film Festival 2015. Studiosi, psicologi, autorità militari e politiche nel corso della pellicola si interrogano su di noi, gli alieni sulla Terra, e mentre lo fanno piano piano, da arguti spettatori e alieni supersapienti, ci accorgiamo che il significato del film muta, si evolve in continuazione, alimentando sospetti, mostrandoci che ogni cosa nasconde segreti e speranze dell’essere umano.
Se l’arrivo sulla Terra da parte di entità sconosciute non sembra essere mai avvenuto, ma gli alieni siamo noi, l’indagine atta a scoprire la natura e le intenzioni degli extraterrestri ci trasporta nelle più recondite profondità umane, ad analizzare le grandezze e le bassezze della nostra specie, e la nostra continua relazione conflittuale con il diverso.
Tutto ciò viene realizzato con una tecnica e una fotografia spettacolare, che si avvale di spunti visivi di grande suggestione: l’ignoto è rappresentato dall’oscurità più profonda il cui parente più prossimo è quel buio vischioso, che tutto ingloba, che avrete di certo già colto nel film “Under the Skin” di Jonhatan Glazer – se non siete stati distratti per tutta la visione, brutti porci che non siete altro, dalle scene in cui vengono mostrate le delicate forme di Scarlett Johansson. Invece il racconto dell’esploratore all’interno della nostra astronave è corredato dalle magnifiche immagini, tutt’altro che aliene – anzi, meravigliosamente umane – di cattedrali, architetture e di tutto ciò che di buono l’uomo ha realizzato. La discrepanza tra le immagini e il racconto sottolinea il concetto che in mancanza di una vera e propria visita da parte di entità sconosciute ed estranee, quello che ancora dobbiamo scoprire fino in fondo è proprio il genere umano.
Il regista Michael Madsen (da non confondere con l’omonimo attore che interpreta Mr. Blonde e stacca orecchi ne “Le Iene” di Tarantino) già con il precedente documentario, “Into the Eternity” , ci aveva abituati a riflettere sul significato delle azioni umane; se in quel caso si era soffermato sugli effetti dei danni atomici per la Terra, in questo, seppur allegoricamente, ci parla dell’esigenza di controllo e di rifiuto per il diverso e lo sconosciuto, tutte caratteristiche umane che si sono perpetrate nella storia e sono state generatrici di disastri. Così è evidente che il presupposto “fantascientifico” che sembrava venire dal gioco meta-cinematografico messo in scena nei primi minuti, mette in gioco altri livelli di lettura del film, e stavolta sì ci trasporta su di un altro pianeta.
E voi, alieni o umani che siate, avete già visto “The Visit”? Nel caso l’abbiate fatto, fateci sapere se vi è piaciuto, altrimenti sparatevi il trailer qui sotto!
– Si ringrazia Giovanna De Filippis per la collaborazione –
– Luca Scelza –
The Visit – Un incontro ravvicinato: la recensione
Luca Scelza
- Finto documentario;
- Ottima fotografia;
- Lo spettatore è davvero protagonista;
- La narrazione è a tratti ostica;
- Va seguito con continua attenzione;