Il genere fantasy tradizionalmente poco apprezza la parsimonia di parole: certo, tutti si divertono a prendere in giro Terry Brooks e la sua capacità di trovare sempre storie “nuove” da raccontare sull’usurato mondo di Shannara, ma la verità è che numerosi autori fantasy condividono la filosofia degna di Ent secondo la quale “se non puoi scrivere quattordici libri da mille pagine ciascuno su una storia, probabilmente quella storia non merita di essere raccontata”.
Ciò, tuttavia, non ha impedito a diversi scrittori contemporanei di sfornare, nel corso degli anni, antologie che non esitiamo a definire capolavori. Inoltre, per un autore esordiente vedersi pubblicato in una collettanea di racconti in formato cartaceo è spesso un passaggio obbligato per una (idealmente) lunga e gloriosa carriera. Un esempio di ciò lo si può riscontrare ne Le leggende di Ferhaven, curato da Alessandro Fusco e edito da Specchio Nero, di cui già vi parlammo in tempi non sospetti.
Come coloro che hanno letto l’articolo linkato qui sopra sapranno, l’elemento che unisce le vicende dell’antologia non è un tema, ma un’ambientazione: l’impresa nasce dalla decisione di Alessandro Fusco (autore della saga del Sole Nero di Ailur, edita da Il Ciliegio e Specchio Nero) di aprire al libero sfruttamento narrativo il mondo da lui creato per i propri libri. Come l’universo lovecraftiano o il Mondo dei Ladri di Bob Asprin e Jody Lynn Nye, le Terre Antiche di Ferhaven possono essere prese in prestito (previa approvazione del Fusco) da tutti quegli autori fantasy che desiderino esplorarne o ampliarne sfaccettature meno note: ed è per questo che possiamo leggere i cimenti di una decina di autori nel formato prediletto dal buon Edgar Allan Poe.
L’antologia spazia molto per temi, generi, e stili di scrittura: si va dalla favola mitica dagli echi tolkieniani delle “Torri del Silenzio” (A. Fusco) alla “Caduta di Eltàrill” (M. M. Facchini), che pare uscito direttamente dalla trilogia della Dragonlance di Weiss e Hickmann, dallo sword & sorcery delle “Sabbie delle Balakhad” (M. Serra) fino a sperimentazioni di commistioni tra fantasy e commedia non esattamente azzeccate, come in “Chi trova un goblin, trova un tesoro” (R. Riccioli). La qualità dei racconti è piuttosto altalenante, tra l’apprezzabile e il tragicomico, testimoniante un notevole divario in termini di esperienza (e abilità) tra i vari autori.
Tra le storie più riuscite abbiamo appunto quella del curatore, il cui stile sobrio e suggestivo ben si addice alle peripezie del protagonista nanico. Con la sua struttura solida, “La Cosa più Preziosa” (A. Goetling) si legge tutto d’un fiato e tiene in sospeso fino alla moralistica conclusione, a riprova dell’esperienza e bravura dell’autore, che non a caso ha già pubblicato anche un romanzo completo in cartaceo. Particolarmente coinvolgente è poi “La Caduta di Eltàrill”, che tra incantatori elfici e draghi non mancherà di affascinare gli appassionati del fantasy retrò in stile anni ’70-’80 (periodo felice in cui i romanzi non assomigliavano all’incrocio tra un trattato di traumatologia e un porno soft, e i protagonisti avevano un’aspettativa di vita superiore alle due settimane), e che ci porta a sperare che i due romanzi dell’autore (ancora in attesa di pubblicazione) vedano presto la luce del sole. A questi va poi aggiunta “La Tigre di Valhakir”, narrazione in prima persona di una vendetta dal ritmo suggestivo, serrato e potente: un’ottima prova letteraria e una gradita sorpresa, soprattutto considerando che l’autrice, A. Evans, si cimentava per la prima volta con l’ambiente editoriale.
Accanto alla tetralogia portante si accompagnano quattro storie migliorabili, che non ci sentiamo di bocciare in toto ma che offrono decisamente poco in termini di originalità, emozioni e stile. Ad esempio, “La Pietra Nera” (A. Paiusco) è un’opera blanda che non riesce a coinvolgere il lettore, e alla fine lascia l’impressione di un inconcludente giro in tondo: non mancano certo i fondamentali, ma qui l’autore forse paga troppo l’inesperienza. Discorso simile vale per “La Sabbia delle Balakhad” (M. Serra), senza infamia e senza lode, che tra incantesimi, duelli, e una proto-storia d’amore, non lascia nulla al lettore, né invoglia a mettersi in cerca delle altre pubblicazioni dell’autrice. Nel “Fuoco della Vendetta” (S. Rizzi) abbiamo una storia di draghi, fanciulle in pericolo, ed eroi che si divertono a dimenare spadoni a due mani, che risente pesantemente sul lato formale, con uno stile pesante e poco raffinato. Vera nota dolente è “La Seguace di Rosanera” (N. Demaria): racconto che si presenta bene, ma che alla fine delude per la sostanziale assenza di sviluppo e di eventi (se si esclude una sessione di lettura della protagonista).
Una nota (di demerito) a parte la merita il fantasy-comico “Chi trova un goblin, trova un tesoro” (R. Riccioli): qui si cerca di fondere uno dei generi più difficili con il fantasy, fallendo sia sul lato umoristico che su quello fantastico, con una trama ingarbugliata e insensata e personaggi a metà tra il grottesco e il nonsense, che se ne esce come un mash-up tra Pippi Calzelunghe e gli intermezzi di William King (la saga di Gotrek e Felix) raccontati dal punto di vista dell’idiota Skaven di turno.
Per quanto riguarda “Il Canto di Larenth Frangifuoco” (F. Corselli), esprimere un giudizio diviene ancor più difficile, perché anziché di un racconto tradizionale si tratta di una poesia: sebbene spesso nel fantasy alla prosa si affianchino componimenti in versi, ben più raro è imbattersi in un componimento unico e a se stante, soprattutto inserito in una raccolta di racconti. Essa costituisce una novità insolita, ma forse troppo azzardata, soprattutto perché risulta ampiamente decontestualizzata, soprattutto per chi non è familiare con la saga del Sole di Ailur.
Per quanto riguarda l’aspetto grafico, il testo è impreziosito da una mappa completa delle Terre Antiche e da diverse illustrazioni a colori, anche queste di qualità variabile ma tendenzialmente di buona fattura, che arricchiscono l’opera ma al tempo stesso faticano ad armonizzarsi con i racconti in essa contenuti. Degna di lode è certamente la copertina di René Aigner (un nome che suonerà familiare ai possessori del “Il Mondo del Ghiaccio e del Fuoco“), oltreché il format editoriale, di elevata fattura e veramente degno di case editrici ben più blasonate.
Esprimere un parere unitario su Le Leggende di Ferhaven è difficile: al valore intrinseco del progetto che sottende, si unisce infatti un lodevole impegno da parte di diversi autori, esordienti e non, dalle idee piacevoli e originali, per quanto forse ancora grezze e carenti se confrontate con il più grande panorama editoriale internazionale. D’altro canto, si evidenziano numerose criticità, e in particolare il processo di selezione dei testi, che in alcuni casi abbraccia scelte meno che brillanti e francamente opinabili.
Al di là di tutto questo, però, non possiamo che promuovere in pieno l’intraprendenza di Specchio Nero (e di tutti gli autori coinvolti), che con una solerzia degna delle più epiche imprese hanno accettato la sfida e si sono schierati attorno al vessillo del fantasy made in Italy, che in un Paese di avidi consumatori come il nostro si vede fin troppo spesso relegato in secondo piano rispetto a importazioni straniere non sempre eccelse.
Se l’universo condiviso del Sole di Ailur ha quindi catturato la vostra attenzione, non esitate a mettervi in cerca de Le Leggende di Ferhaven (non sempre immediatamente reperibili) e, nel caso già abbiate avuto modo di leggerlo, non dimenticatevi di lasciare un commento con la vostra opinione qui sotto.
– Federico Brajda –
Le Leggende di Ferhaven: recensione
Federico Brajda
- I testi migliori sono veramente azzeccati;
- Aspetto editoriale particolarmente curato;
- Fa sempre piacere ritrovarsi tra le mani un fantasy all'italiana;
- I testi meno riusciti appesantiscono il tutto;
- Il livello medio non è particolarmente elevato;
- Difficoltà di reperimento;