Star Wars, ormai lo sapete anche voi, è un franchise che può farvi piombare dalla gioia al dolore (e viceversa) alla visione della scena di un film, alla lettura di un libro o di un fumetto, o più semplicemente giocando a un videogioco. Approcciarsi alla recensione di un nuovo prodotto appartenente a questo universo non è facile, ed è quindi cautamente che, dopo aver assistito all’anteprima destinata alla stampa, vi propongo la mia personalissima impressione sul nuovo spin-off della saga, diretto da Ron Howard e in arrivo nei cinema italiani dal 23 maggio prossimo: Solo: A Star Wars Story.
La trama, senza fare spoiler, è ovviamente incentrata su Han, un giovane che vive nei bassifondi di Corellia servendo il gangster di turno, con il sogno di lasciare il pianeta e vivere mille avventure. Vista la leggendaria fortuna del ragazzo, il piano per riscattare la sua libertà presenta delle complicazioni, e le vicissitudini lo spingono ad arruolarsi all’Accademia Imperiale per piloti… dalla quale viene espulso. Entrato in una banda di contrabbandieri e fuorilegge, dovrà svolgere qualche lavoretto insieme al suo nuovo amico Chewbacca per un gangster importante, appartenente a un cartello molto potente. Questo lo porterà a conoscere Lando Calrissian, il droide L3-37 e ovviamente il Millennium Falcon.
Il punto chiave di questo film è che esso non prova in alcun modo a dimostrare di essere un classico Star Wars. Riprendendo tante situazioni, ancora da vivere per il giovane Han, il regista strizza l’occhio con sapienza, giocando con i nostri stessi ricordi. L’obiettivo di Howard era semplicemente quello di fare un buon film, coerente con l’ambientazione, ma senza esagerare – e, permettetemelo, trovo che l’idea sia stata vincente.
I personaggi sono credibili e ben scritti, nessuno escluso. Da Han Solo a Qi’ra, dal contrabbandiere Tobias Beckett allo spietato Dryden Vos, da un Chewbacca idealista a L3-37 robottista. Esattamente come in Rogue One, concentrarsi su persone “comuni” nell’universo di Star Wars permette di dare loro una caratterizzazione complessa e sfaccettata senza stravolgerne le regole. Il film si muove su sfumature di grigio, dato il tema “fuorilegge che combattono altri fuorilegge”, e ha come punto focale la fiducia: il giovane Han scoprirà che il tempo può cambiare le persone, ma che il denaro e il potere lo facciano molto più velocemente di quanto non accada con gli anni che passano.
Il discorso si complica un po’ quando parliamo degli attori in gioco in questo spin-off: Emilia Clarke, che interpreta Qi’ra, non riesce a non sembrare a disagio ogni volta che utilizza un’espressione facciale di qualsiasi tipo. Abituata probabilmente a interpretare Daenerys, un personaggio essenzialmente privo di emozioni in Game of Thrones, non riesce a non sembrare una macchietta ogni volta che sorride.
Woody Harrelson e Paul Bettany invece sono attori immensi, capaci di dare con poche battute uno spessore incredibile ai loro personaggi. Senza di loro probabilmente il film avrebbe avuto un tono completamente diverso. Il secondo, in particolare, riesce a essere un antagonista credibile e teatrale senza cadere nell’eccesso.
Anche Donald Glover merita i più grandi complimenti, essendo riuscito a dare al personaggio di Lando un carisma inaspettato: nonostante sia un egocentrico e un traditore, non si riesce mai davvero a volergli del male a causa del suo sorriso beffardo e della sua astuzia – e scommetto che dopo questo film i fan vorranno ulteriori approfondimenti sul personaggio.
Giungiamo infine a Alden Ehrenreich, la star di questo film e la persona che si è ritrovata maggiormente sotto pressione per il ruolo interpretato, di certo non aiutato dalle tante voci che negli scorsi mesi hanno iniziato a girare su di lui. Ecco, a mio personale modo di vedere il suo Han Solo è assolutamente straordinario: il fatto che in molte occasioni non abbia il tipo di recitazione di Harrison Ford aiuta lo spettatore a immaginarsi un contrabbandiere giovane, inesperto e anche un po’ ingenuo.
Per quanto riguarda la colonna sonora, da sempre punto di forza della saga, Solo non delude: il compositore John Powell ha deciso di donarci brani inediti e di utilizzare arrangiamenti di classici solo in alcuni momenti importanti per il personaggio, potenziandone l’impatto emotivo. La regia e la fotografia svolgono egregiamente il loro lavoro, sebbene la seconda possa mostrare qualche sbavatura a una visione più attenta. L’utilizzo della CGI è ben implementato, per nulla eccessivo o invadente.
Insomma, Solo: A Star Wars Story mi ha restituito l’impressione di un film con una sua chiara identità, assolutamente non confondibile con gli altri della saga o con l’altro spin-off Rogue One. Questo suo distaccarsi dai temi della Forza, della lotta Impero-Ribellione e da tutte le questioni che contraddistinguono le altre pellicole, lo porta a sfruttare un registro stilistico diverso, più facilmente godibile. Il mio, dunque, è un parere positivo: aspetto di sapere presto la vostra impressione!
–Simone Maccapani–
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Solo: A Star Wars Story – La recensione senza spoiler
Simone Maccapani
- La recitazione è convincente;
- La storia è credibile e condivisibile;
- Il film tenta di osare per trovare una propria identità;
- L3-37 e Lando sono caratterizzati egregiamente;
- Il rapporto Han-Chewbacca non è approfondito quanto ci si aspetterebbe;