L’epilogo della sesta stagione di The Walking Dead è giunto, e L’ultimo giorno sulla terra è arrivato, almeno per qualcuno. Una lunga epopea che abbiamo seguito passo dopo passo, cresciuta e caduta numerose volte, che faticosamente si è ripresa con una sesta stagione grazie all’evidente riavvicinamento al plot del fumetto (e chi lo segue capirà immediatamente di cosa stia parlando), che però si conclude con un cliffhanger esagerato e che ci lascia a bocca asciutta fino all’inizio della prossima stagione. Eppure lo avevamo ipotizzato già da quanto trapelato dopo la messa in onda del quindicesimo episodio e del trailer che ha affascinato i fan dei morti che camminano (qui la recensione del penultimo episodio!). Ma cosa è successo nell’ultima puntata? Quanto si può dedurre dagli indizi finali lasciati ai fan più accaniti, e quanto invece potrebbe essere determinante la risposta del pubblico? Miriadi di teorie già impazzano nell’Internet a poche ore dalla prima messa in onda e, come al solito, avremo di che parlare fino all’inizio della prossima stagione.
JUST SURVIVE SOMEHOW
I primi minuti della puntata sono quelli concitati e preparatori ai quali oramai chi segue la serie si è abituato totalmente, quel tappeto sonoro incalzante che riempie la testa dello spettatore, quel ritmo da pulsazione cardiaca che sottolinea l’agitazione negli ultimi scambi di battuta, spesso irruenti, che caratterizzano i momenti prima della partenza, l’ennesima, di nuovo alla volta di Hilltop, per far partorire la dolce Maggie, lasciata dolorante sul finale della puntata precedente. Non sono facili da digerire però, scorrono piuttosto lenti nonostante il solito tentativo di enfatizzare situazioni del genere: evidentemente un bisticcio fra i due bambini del gruppo (Carl ed Enid) o Morgan che ovviamente ritrova Carol, non bastano a scaldare subito gli animi. Il capo branco parte e, ovviamente, con lui tutti i sopravvissuti del gruppo principale, con qualche membro mancante causa rapimento (vedi Michonne, Daryl, Glenn e gli altri, già prigionieri di Negan). Ancora tutti una volta su quel bel camper, che ci riporta tanto agli inizi, ai bei tempi in cui una collinetta con un veicolo e un falò acceso sembravano una buona idea per sopravvivere al contagio. Oltre a essere evidente che non sia così, è ancora più incisivo il fatto che la vera minaccia di questo nuovo mondo (non mi stancherò mai di ripeterlo, inutile) sia come al solito l’uomo, quello ancora capace, purtroppo, di respirare e pensare. L’idea più ovvia sembra quella di lasciare in mano ad un prete vigliacco neo-redento l’organizzazione delle difese di Alexandria. Sembra proprio molto saggio Mister Grimes, complimenti. Purtroppo per lui, quella sarà la decisione migliore che prenderà in tutta la giornata, la stessa che lo porterà faccia a faccia con Lucille, bella e spietata come abbiamo già imparato ad amarla.
QUEL CHE RESTA DI CAROL
Uno dei personaggi che soprattutto nelle ultime puntate ha saputo imporre il suo ruolo, ritagliandosi la sua bella parte nel finale di stagione e meritandosi addirittura una narrazione svincolata dalla traccia principale, è la nostra Carol. Dal momento in cui Morgan si divide da Rick per cercarla, fino a quando non viene salvata dal primo (che ammazza l’inseguitore tenace dei Salvatori), non c’è stato un singolo istante nel quale ho realmente pensato che l’uomo non riuscisse a soccorrerla – nemmeno uno. Quello che invece accade quando li lasciamo in compagnia di nuovi personaggi apparentemente pacifici, diventa interessante. Non a caso, gli uomini in armatura che si offrono di aiutare Morgan, il cavallo che lo stesso trova ad inizio puntata vicino al cartello “You are Alive”, e l’impronta inquadrata nel peregrinare del Salvatore ferito a morte, sono riferimenti più che espliciti al possibile coinvolgimento nella prossima stagione di un’altra comunità esistente nell’universo del fumetto, Il Regno (tradotto letteralmente da “The Kingdom” in lingua originale), guidata dal simpatico ed eccentrico Re Ezekiel (nome profetico, eh?) – probabilmente una delle poche speranze rimaste al gruppo di Rick di non lasciarci la pelle. Ma torniamo a Carlo e Morgan: i due scampano in qualche modo dall’inesorabile fine che invece è toccata (almeno questo lo sappiamo per certo) ad uno dei compagni in ginocchio nella carrellata finale di sguardi terrorizzati. Carol ha perso il rosario, ma la sua scorta di botte di culo no, a quanto pare.
Ciò che accade alla compagnia del camper, in fin dei conti, è un’escalation capace di trasmettere il senso di claustrofobia e l’ansia crescente dai sopravvissuti direttamente allo spettatore: i Salvatori sono ovunque, sono sempre di più e sempre più armati; piazzano trappole prevedendo addirittura le mosse di Rick, fino allo scacco matto finale (qualcuno ha notato come Rick guarda male Eugene, pensando magari che sia stato lui a cantare dopo essere stato percosso, e a farli ritrovare in quella situazione con finale sfumato?). La sensazione di tutti, spettatori compresi, si traduce sulla faccia dello sceriffo in ginocchio, mentre attende miseramente la fine della conta di Negan, interpretato magistralmente da Jeffrey Dean Morgan (si sente dalle battute che gli sceneggiatori e l’attore hanno letto per bene il lavoro di Kirkman), nonostante il doppiaggio in italiano, purtroppo, non dia tanto onore alla parlata nevrotica e piena di assonanze, imprecazioni e giochetti vari alle quali il supervillain con la mazza ha abituato i lettori del fumetto.
EENY MEENY MINY MOE, TRE CIVETTE SUL COMÒ
L’unica cosa che sembra effettivamente motivare le scelte di tutti, accecati e soprattutto sprovveduti nei confronti di una minaccia ben più grande di quanto previsto (come ci aspettavamo, soprattutto in termini numerici), è questa necessità di preservazione del proprio gruppo, e in caso estremo di se stessi, in un mondo che uccide chi sceglie di non uccidere, e nel quale per sopravvivere non basta essere veloci o stare attenti agli zombie, un mondo sempre più vicino al classico immaginario post apocalittico (amo i Salvatori proprio per questo loro aspetto molto punk e per l’evidente somiglianza al modello sopravvissuto di Mad Max/Ken il Guerriero!). Il cliffhanger e l’inquadratura finale, con la scelta ancora dubbia del sangue sulla telecamera, mortificano un po’ l’intento dell’intera stagione, lasciando a bocca asciutta i fan e costringendo i più ossessionati ad affannarsi sulla famosa conta finale, sulla carrellata sui volti, e a scervellarsi a sezionare una serie di inquadrature inquietanti e piuttosto caotiche, che d’altronde potrebbero avere una vera e propria interpretazione e ammiccare a colui che potrebbe essersi beccato il colpo, nonostante chi conosce bene la storia possa intuire su chi vada ad abbattersi la mazza (no, questo non ve lo dico, fatevi una ricerchina ed evitiamo scommesse sullo spoiler). Quello che è certo è che Negan, con quell’inquadratura e quei colpi, quello sfumare sonoro e visivo nel nero totale e le sue ultime parole, ha ucciso un po’ tutti gli spettatori.
Che non sia stato per tutti noi, questo, l’ultimo giorno sulla terra? Con questo e molti altri interrogativi, torniamo nella nostra mesta attesa della prossima stagione, con le orecchie sempre tese per saperne di più.
– Antonio Sansone –
The Walking Dead 6×16 – Recensione
Antonio Sansone
- Ottima interpretazione di Jeffrey Dean Morgan, mi ha saputo veramente emozionare;
- Il riavvicinamento alla storia originale di Kirkman ha dato i suoi frutti, e il più bello è proprio Negan;
- Gli accenni al possibile coinvolgimento di Ezekiel e dei suoi apre nuovi orizzonti per la serie;
- Un cliffhanger finale più che risparmiabile;