Abbiamo capito che sopravvivere non è cosa da tutti, e ogni tanto è bene anche ricordarselo. Il senso di ciclicità e calma apparente che si percepisce alla partenza della quattordicesima puntata di The Walking Dead è sottolineato dalla routine delle azioni che scandiscono il ritmo della vita all’interno delle mura, insieme ai mozziconi nel posacenere di Carol. Il garage che continua ad aprirsi sulle provviste, padre Gabriel che fa la ronda con il suo fucile e l’aria da scolaretto, Morgan che nel tempo libero dagli allenamenti con la mazza costruisce una cella di prigione con tanto di sbarre, giusto per dare a Rick la possibilità di scegliere se ammazzare o meno i prigionieri, la prossima volta. L’unica inquadratura sullo sceriffo di tutta la puntata, per capirci, che finisce anche con una sfumatura molto onirica. Insomma, tutto scorre placido ad Alexandria, e già dalle primissime battute riusciamo a intuire il tema principale dell’episodio: i nostri amici rimarranno per sempre semplicemente dei sopravvissuti che provano a rincorrere (o ricacciare) i propri fantasmi, oppure riusciranno ad entrare nell’ottica che effettivamente l’apocalisse zombie abbia resettato tutto proprio come in un videogioco? Come Eugene in uno dei suoi proverbiali discorsi da nerd stereotipato ci spiega, tutti i personaggi a loro modo si stanno proiettando nel nuovo livello, cambiando l’ottica delle priorità rispetto ai sentimenti o anche al modo di agire quotidiano, plasmandosi intorno all’ambiente che li circonda, radicalmente diverso da ciò che hanno lasciato alle proprie spalle.
IL SECONDO LIVELLO NON SI SCORDA MAI
La tredicesima puntata (clicca qui per la recensione) apriva in un certo senso a qualcosa di almeno apparentemente meno duro e teso come ritmo. Ciò che mi ha sorpreso positivamente è che quantomeno gli sceneggiatori sembrano essere riusciti a trovare una sorta di equilibrio, senza scendere sotto il livello minimo di decenza come è già tristemente e ripetutamente accaduto in passato. “Il Secondo Livello” è una puntata che vuole scandagliare ulteriormente l’animo critico che Kirkman esprime attraverso i suoi sopravvissuti, e questi quaranta minuti di puntata somigliano molto più alle pagine del fumetto di quanto gli autori stessi non vogliano ammettere.
Ancora l’attenzione va alla psicologia dei protagonisti, questa volta affrontata diversamente, quasi dalla prospettiva stessa dello spettatore, grazie ad un personaggio che soltanto alla fine si dimostra essere servito a qualcosa. Tipo a morire al posto di Abraham, come i lettori del fumetto avranno sicuramente potuto apprezzare. Le scelte stilistiche a tratti sorprendenti si sono aperte in una puntata molto ricca di contenuti e riferimenti dal ritmo altalenante, che se non altro mantiene lo standard al quale The Walking Dead, nel bene o nel male, ci ha oramai abituati. Il filo rosso metaforico dell’episodio lo ritroviamo indubbiamente nel rosario, lo stesso che al termine dell’ultima puntata abbiamo visto stringere nella mano destra di Carol fino a farla sanguinare, simbolo forte che ritorna e si manifesta in un momento caratterizzante. Anche questa scelta non ci stupisce affatto, considerando a cosa ci prepara questo momento. I piani di narrazione del fumetto e della serie continuano a sfiorarsi, ed è oramai chiaro a tutti che gli sceneggiatori si stiano divertendo un casino a mischiare le cose. Ciò che mi stupisce è che ci stiano riuscendo in modo gradevole, tanto da far sorridere anche il fan più accanito e zelante della serie su carta stampata.
“AVREI DOVUTO UCCIDERTI”
La riflessione di Carol fa soltanto da cornice agli eventi che invece vedranno protagonisti Eugene e Abraham, messi uno di fianco all’altro per un confronto su due personalità agli antipodi, e un gruppo di ricerca organizzato dalla doc Denise, che recluta una Rosita colta dalla solitudine dopo il brutale bidone ricevuto dall’ex compagno e finalmente il nostro Daryl e la sua moto ritrovata. La ricerca di medicinali ci riporta ai bei vecchi tempi del rovistare nei centri commerciali, un vero e proprio amarcord fra porte da scassinare e zombie putrefatti chiusi nelle stanze dall’inizio dell’apocalisse. La psicologa, per la prima volta forse dall’inizio della stagione, fa sul serio il suo mestiere, e lo rivela con una sviolinata ai nostri due spietati sopravvissuti quando, dopo essersi fatta quasi ammazzare per recuperare una di quelle bibite ultradiabetiche delle sue, finisce per essere trafitta da uno dei dardi della stessa balestra di Daryl (la morte nella sconnessione neurale che invece in un universo parallelo spettava ad Abraham, impegnato in giro con il fratello scemo di uno scienziato a cercare un posto dove fabbricare le munizioni). Eugene 2.0, decisamente meno credibile di quello consapevole e risoluto che ci si potrebbe aspettare a questo punto della narrazione, si cimenta in una sorta di tentativo di emancipazione dalla sua condizione di inetto alla vita, costretto ad avere sempre qualcuno che gli eviti di morire come un criceto dato in pasto a dei pitbull. Un tentativo goffo che ci ha regalato però una battuta epica ed irripetibile sulla sua capacità di mordere i cazzi, che non dimenticheremo facilmente.
Incontriamo anche il caro D, o Dwight che dir si voglia, rinnegato riunitosi (con la forza) ai Salvatori che aveva disertato, al quale Daryl ha risparmiato la vita prima che scappasse con tutto ciò che aveva, moto e balestra compresi. Il cerchio quadra, e un personaggio importante nel fumetto viene presentato con un intreccio da background imprevisto e decisamente gradito insieme ad uno dei sopravvissuti che nella storia originale di Kirkman non esiste nemmeno, il Daryl che in questa serie televisiva si è reso imprescindibile e senza il quale le puntate sarebbero come un biscotto dietetico: fesso e senza la giusta quantità di zucchero. Alla fine, la cornice si chiude e Carol ci lascia, chiedendo di non essere cercata. La donna ritrova se stessa dopo essersi trasformata a lungo in una persona diversa: ma funziona davvero così? È davvero così facile tornare indietro scegliendo di essere ciò che si era prima dell’apocalisse, escludendo la possibilità di costruirsi un futuro o magari di sopravvivere? Forse, la risposta sta negli occhi di Morgan a fine puntata, ma non possiamo ancora saperlo.
– Antonio Sansone –
The Walking Dead 6×14 – recensione
Antonio Sansone
- Bella la fuga finale di Carol, inaspettata seppur in un certo senso annunciata dagli eventi;
- Daryl ci piace con la sua balestra;
- La battuta più bella che il copione di Abraham abbia mai visto, tutta per Eugene;
- Eugene stereotipato al punto di non riuscire a risultare credibile, non ci piace;
- ‘Sti cazzo di Salvatori si trovano ovunque?
- Ritmi altalenanti, situazioni di tensione prevedibili e a tratti tristemente stereotipate;