Bright, il nuovo film fantasy prodotto di Netflix disponibile dallo scorso 22 dicembre, ha spaccato pubblico e critica in due distinte metà. Il mese scorso ne abbiamo già parlato attraverso una recensione, ma ora che tutti gli interessati dovrebbero averlo visto, possiamo passare a fare un’analisi più dettagliata della produzione, cercando di individuare cosa funzioni bene nella storia e cosa invece no. Attenzione, dunque: proseguite a rischio spoiler.
Personalmente devo ammettere che avere un’opinione definita su Bright può essere tanto facile quanto complesso: da una parte prevale il lato da fan del fantasy (anche urban, perché no), che gioisce davanti ad elfi e orchi, fate, giganti e centauri; dall’altra, alcune scelte di stile affossano molti buoni propositi e rendono più difficile osannare la produzione. Ho apprezzato alcuni elementi, come ho storto il naso per altri, ma su una cosa diciamo che un po’ tutti siamo d’accordo: gran parte delle critiche ricevute dal film si sarebbero potute evitare se, al suo posto, si fosse realizzata una serie tv di una decina di episodi.
I personaggi sono interessanti: Will Smith ha tra le mani il ruolo del poliziotto esperto, costretto a un ruolo che non gli piace per salvare la carriera, mentre Joel Edgeton interpreta una personaggio meno impegnativo al livello recitativo, quello del novizio, del nuovo arrivato ancora fresco di accademia. I due collaborano bene e hanno un buono sviluppo, anche se il secondo ha un’evoluzione decisamente più interessante del primo, forse a causa dello scarso background narrativo fornito a Smith. La trama, difatti, si dilunga in molte scene (i primi venti minuti sono piacevoli ma per lo più inutili), che potevano essere tagliate in favore di altri scorci sui personaggi. Non mi sarebbe dispiaciuta una storia introduttiva che narrasse del passato del mondo tra razze oscure, Signore del Male e quant’altro.
Dopo i primi trenta minuti, il film scorre via in modo piuttosto rapido e indolore: è fin da subito palese il fine dell’avventura (legare i due poliziotti alla faccia dei trascorsi poco confortanti e dai pregiudizi), ma alcuni colpi di scena rendono il tutto più saporito, senza però mai lasciare lo spettatore a bocca aperta. Trattare gli orchi alla stregua degli afroamericani stereotipati mi è parso un tentativo piuttosto pigro di inserire una razza in un contesto fantasy, esattamente come quella di dare agli elfi una sorta di grado di nobiltà, e ridurre fate, centauri e nani ad un semplice contorno: un’occasione mancata, quindi, almeno in parte. Non mancano sparatorie e inseguimenti, il tutto mentre si delineano dei nemici straordinariamente dotati e quasi imbattibili.
La scena del rave orchesco e quella del night sono quelle, a mio parere, più interessanti e allo stesso tempo scialbe di particolari: come accade, ad esempio, in prodotti come District 9, si poteva gettare un’occhiata su altre tipologie di vita e approfondire un’ambientazione presentata qui solo con dei riferimenti sparsi qua e là; si è invece deciso di puntare sulla grossa sparatoria all’americana, con squadre d’assalto completamente inutili e plot armor che volano come coriandoli a carnevale. La resurrezione di Jakoby mi è piaciuta e, anche se poteva esser resa in modo decisamente più interessante (si è scelto un approccio fiabesco più che rude), ha sottolineato l’importanza di un oggetto magico fulcro del film stesso.
I discorsi non brillano e spesso fungono da colpo di grazia per alcune scene. Accettabile invece il trucco e gli effetti speciali, nei quali gli americani eccellono (e David Ayer, dopo Fury e Suicide Squad, ci ha ben abituati).
Insomma, confermo il nostro giudizio: Bright è un film appena sufficiente. Se da una parte abbiamo dei buoni personaggi, un’ambientazione interessante e un comparto tecnico da blockbuster, dall’altra abbiamo dialoghi un po’ tristi, scene raffazzonate e molto simili tra loro, e un inizio decisamente macchinoso.
Voi che dite, siete d’accordo?
–Yari Montorsi–
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