Il lungometraggio Bright (diretto da David Ayer, già regista di Suicide Squad e Fury), è disponibile da pochissimi giorni su Netflix, e ha sin da subito catturato l’interesse della critica e del pubblico, sia per il budget stanziato per la sua realizzazione (90 milioni di dollari, l’opera più costosa fin ora realizzata dal colosso dello streaming) che per l’ambientazione piuttosto originale.
In una versione alternativa della nostra realtà, a duemila anni di distanza dalla sconfitta del Dark Lord, umani, elfi, orchi, fate e tante altre creature del più comune immaginario fantasy si trovano a convivere in un mondo moderno che però non ha appianato le divergenze tra le varie razze. La pellicola segue le vicende di due poliziotti, l’umano Ward (Will Smith) e l’orco Jakoby (Joel Edgerton) alle prese con la difficile situazione di Los Angeles.
Per essere sicuro di poter parlare di questo film il più concretamente possibile mi sono deciso a guardarlo due volte, in modo tale da non essere influenzato solamente dall’hype della prima visione.
Inizialmente sono rimasto discretamente soddisfatto dalla visione, nonostante abbia avuto la sensazione che la trama si sarebbe potuta sviluppare in maniera un pochino più vivace e meno canonica (aspettatevi infatti una classica trama da film di inseguimenti con qualche piccola novità) e che si sarebbero potuti introdurre e utilizzare gli elementi fantasy in modo più incisivo.
Alla seconda visione, invece, mi sono trovato a storcere maggiormente il naso notando i vari difetti che potevano essere evitati e che non hanno permesso, di fatto, di far elevare la pellicola al di sopra di una stringata sufficienza.
A mio modo di vedere il lato fantasy del film non è stato marcato come avrebbe dovuto, e le scene che dovrebbero permettere allo spettatore di comprendere maggiormente il mondo in cui sono ambientate le vicende narrate non sono state sfruttate a dovere. Altra grave lacuna è legata proprio al fattore immedesimazione: da un setting così particolare mi aspettavo tantissimi riferimenti al suo background, e invece capita che mentre alcune cose non vengano nemmeno spiegate, lasciando lo spettatore con molti dubbi, altre siano affrontate in maniera piuttosto superficiale, dando la sensazione non di un universo ben strutturato, ma di un mondo così tanto raffazzonato da non essere in grado di descriversi.
L’unica spiegazione che riesco a darmi in merito è che il regista avesse un sacco di idee, ma che abbia scelto di mettere troppa carne al fuoco nei soli 117 minuti a disposizione, bruciando di fatto un universo che se sviluppato a dovere avrebbe potuto dar vita a un nuovo filone indubbiamente affascinante. In ogni caso Netflix sembra intenzionata a sviluppare ancora l’ambientazione, almeno a giudicare dal fatto che già due giorni prima dell’uscita di Bright ne abbia ordinato un sequel, previsto per la fine dell’anno prossimo.
Poco da obiettare in merito al comparto tecnico: gli effetti speciali sono ben realizzati (se non in sporadiche scene dove sembra un po’ tutto posticcio), e lo stesso si può dire della colonna sonora e del sempre ottimo doppiaggio italiano.
Al netto di questi difetti, bisogna comunque ammettere che la pellicola riesce a intrattenere e interessare lo spettatore, specialmente quello in grado di lasciarsi coinvolgere da un poliziesco senza grandi pretese. Mi auguro che le molte critiche ricevute servano al regista e alla produzione per concentrarsi e tirare fuori un sequel che possa emergere dal pantano di produzioni mediocri che affollano la grande produzione.
–Luca Mugnaini–
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Bright, il nuovo fantasy di Netflix con Will Smith – Recensione NO SPOILER
Luca Mugnaini
- Contesto e ambientazione assai interessanti;
- Effetti speciali all'altezza di un blockbuster;
- Ottima colonna sonora;
- Ambientazione poco approfondita;
- Trama banale;