Un collage dadaista in lenta successione. Xilofono, percussioni e tromba si rincorrono: correva l’anno 1986 (non guardate troppo Rai 3, alla lunga fa male alla salute). Il mondo è sconvolto dal disastro nucleare di Cernobyl, i Queen sono impegnati nel loro ultimo tour, il “Magic Tour”, tra le cui date vi è l’imperituro live allo stadio di Wembley (vi piacciono i Queen? Allora potreste dare un’occhiata a questo). Nello stesso anno Jim Henson, il creatore dei pupazzi più conosciuti al mondo, i Muppets, decide di produrre un film di genere fantasy, che possa conquistare il cuore dei bambini – o spaventarli a morte, creando le fobie più disparate, come nel caso dei Muppets,per l’appunto –.
Ecco come prende forma Labyrinth, nell’edizione italiana “Labyrinth – Dove tutto è possibile”, grazie all’estro del burattinaio Jim e alla penna di Terry Jones, componente del gruppo comico inglese dei Monty Python, che già in passato si era dilettato alla scrittura di libri per l’infanzia. Oltre ai cervelli brillanti che si celano dietro questo pregevole prodotto, vi è un cast altrettanto scintillante: il prismatico David Bowie e la giovane Jennifer Connelly, premio Oscar come attrice non protagonista per “A beatiful mind” (gli appassionati del genere fantasy la ricorderanno sicuramente per il ruolo di Roxane in “Inkheart”,qui trovate la recensione).
Ma ora, dopo le dovute introduzioni, passiamo senza indugi all’analisi del film, cercando di capire perché Labyrinth sia diventato un cult tra gli affezionati.
Nel film si racconta la storia di Sarah, una ragazza figlia di genitori separati che cerca di vincere i suoi problemi adolescenziali rifugiandosi fermamente e morbosamente nel mondo dei racconti fantastici, in particolare in un libro intitolato per l’appunto “Il labirinto”. Una sera, costretta a fare da baby sitter al piagnucoloso fratello minore Toby, invoca Jareth il re dei Goblin – personaggio del suo libro favorito – chiedendogli di portare via il fratello. Magicamente la sua richiesta viene accolta e inizia così l’avventura all’interno del labirinto. Qui Sarah incontrerà innumerevoli personaggi stravaganti e dovrà superare pericoli, inganni e tranelli per riuscire ad arrivare nel castello al centro del labirinto e riprendere il suo fratellino.
Oltre ai due personaggi principali di sembianze umane, quelli che lasciano il segno sono i numerosi esseri antropomorfi: Sir Didymus, uno yorkshire dal fare cortese; Gogol, indefinito essere basso dai modi burberi che alla fine si rivelerà un cucciolone; Bulbo il bestione dalla mente semplice – vedi Hodor –, e poi ancora mani parlanti, gnomi di ogni foggia, bruchi francofoni. In parole povere, qualsiasi cosa sia minimamente passata per l’anticamera del cervello dei creatori. Nel complesso, l’enorme varietà di questi personaggi riesce a creare in un ambiente apparentemente sterile una grande vitalità e unicità. Il modo in cui questi vengono presentati – e talvolta anche le fattezze – ricorda vividamente “Alice nel paese delle meraviglie”, romanzo di Lewis Carroll, anch’esso popolato di creature eccentriche.
Ancora più palese è invece la citazione dei lavori dell’incisore olandese M. C. Escher: nella scena finale nel castello di Jareth, la camera in cui si scontrano i due personaggi è evidentemente ispirata alla litografia Relatività, che è entrata ben presto nell’immaginario collettivo grazie anche alle numerose riprese nel corso degli anni (Simpson, Dylan Dog, Martin Mystere, per citarne alcuni).
Nonostante le citazioni cervellotiche, il film rimane pur sempre con un target per bambini. Nella sua interezza risulta molto carino per i piccoli, forse non altrettanto godibile per il pubblico adulto a lungo andare. Lo dimostra la comicità altrettanto infantile che raggiunge alla lunga livelli inaccettabili, su tutti la Gora dell’Eterno Fetore, altro non è che una pozza scoreggiona. A salvarci dal patetismo cavalcante giunge in nostro aiuto il doppiaggio italiano che, grazie all’uso di dialetti e accenti stranieri, dà nuova vita ai personaggi che in alcuni punti perdono la verve di cui si potrebbero contraddistinguere.
Un capitolo a parte va speso per David Bowie, star indiscussa del film. La sua interpretazione è senza ombra di dubbio sopra le righe, e riesce a plasmare un personaggio sinistro ma allo stesso tempo accattivante e affascinante, come solo lo Ziggy Stardust saprebbe fare. Sicuramente è grazie a lui se le persone che lo hanno visto nel periodo della loro infanzia ricordano e rivedono il film nostalgicamente. Elemento che indebolisce lo svolgimento della trama è la parte musical, che non funziona appieno; Bowie è sicuramente ben gradito, ma è il modo in cui vengono inserite le canzoni a far rimanere perplessa una persona attenta, ovvero un pretesto per farlo cantare. Se presi singolarmente i momenti musicali sono godibili, come dei videoclip realizzati per il Duca Bianco.
Tirando le somme, il film risulterebbe un prodotto poco meno che godibile, nonostante le grandi punte di bravura. A risollevare le sorti di questa storia è la metafora che si dipana lentamente, filo conduttore dell’intero racconto. La storia di Sarah vuole dimostrare che la vita non è semplice e lineare, come quella di un bambino, ma invece che diventando adulti si complica, diventa tortuosa come un labirinto, piena di scelte da affrontare e responsabilità da portare a termine.
“La mia volontà è forte come la tua e il mio regno è altrettanto grande. Non hai alcun potere su di me!”
Come di consueto, cari illyoner, vi lascio con un pezzo della colonna sonora, stavolta si tratta di Within You, ovviamente del nostro Re dei Goblin. Dolci melodie…
– Vittorio De Girolamo –
Cine (fantasy) Retro: Labyrinth – Dove tutto è possibile
Isola Illyon
- Bowie vale da solo la visione
- Pregevole prodotto per l'infanzia (e non solo)
- Doppiaggio esilarante
- Leggeri alti e bassi nella trama