Tanto tempo fa esisteva un libro. Un libro magico che impegnava ogni sua risorsa per insegnare ai bambini l’amore e il rispetto che la buona carta stampata si merita. La storia ivi contenuta divenne famosa, i lettori accaniti la supportarono fino a farla crescere in una rinomata trilogia e il suo successo fu suggellato con l’onore di essere al centro di un articolo di Isola Illyon. In quell’occasione menzionammo l’esistenza di una trasposizione cinematografica, ed è ora finalmente giunto il momento di approfondire il come Iain Softely, regista noto prevalentemente per aver cercato di mimetizzare Kevin Spacey vestendolo da Bono Vox, si sia avvicinato a questa pietra miliare del fantasy.
Mo (interpretato da Brendan Fraser) è un rilegatore di libri che vive con la figlia Maggie al limite del nomadismo, alla perenne ricerca di antichi libri bisognosi dei suoi servigi di restauro. Avventuratosi in Italia con l’obiettivo di raggiungere una lontana parente bibliofila, l’uomo avverte un richiamo che lo spinge a entrare in una claustrofobica libreria ove si imbatte in un tomo conosciuto che mai si sarebbe aspettato di rivedere: Inkheart. Nove anni addietro Mo stava leggendo quello stesso racconto alla sua famiglia quando, involontariamente, le sue parole furono in grado di materializzarne gli antagonisti; questi, scombussolati dalla situazione, per poco non lo uccisero con una stilettata al cuore e, nel fuggire, si portarono via il libro, unico legame con il loro mondo. Più che dalla minaccia alla propria vita, tuttavia, l’uomo fu scosso dal realizzare che l’incanto aveva chiesto in sacrificio la moglie Teresa, esiliandola all’interno della fiaba, e che l’usare nuovamente i suoi poteri avrebbe potuto costargli anche la progenie. Fece quindi voto di non leggere mai più ad alta voce e di proteggere Maggie tenendole nascosta l’improbabile verità.
Parallelamente alla ricomparsa di Inkheart, si rimanifesta anche Dita di Polvere, uno dei personaggi evocati in quella tragica notte, il quale cerca di appellarsi alla carità del protagonista perché faccia il possibile per rimandarlo indietro da sua moglie. Trovando rifiutata la sua richiesta, tuttavia, non esita a tradirlo vendendolo a Basta, un suo compatriota sadico che si diverte a marchiare le vittime con una serie di cicatrici. Mo, Maggie e la zia Elinor vengono condotti al cospetto del leaderissimo noto con il nome di Capricorno (a prestargli le fattezze è Andy Serkis), un individuo bugiardo e viscido, un malavitoso stereotipato che ha fatto di un villaggio abbandonato delle colline genovesi il suo regno e che non ha alcuna intenzione di ritornare nel mondo fantastico che lo ha generato, preferendo piuttosto bruciare tutte le copie del libro e distruggere di conseguenza anche le speranze di Dita di Polvere.
Tra evasioni, continui tradimenti, molta ingenuità e introduzione di nuovi personaggi si genera un ciclo narrativo rasentante il surreale che trova conclusione in un finale affrettato e anticlimatico capace di mettere a dura prova la sospensione dell’incredulità degli spettatori. Evitando di esplicitare gli avvenimenti e rovinare la sorpresa, ci limitiamo qui a menzionare che le regole dettate fino all’epilogo vengono piegate senza adeguata giustificazione e che i nemici tendano a essere fin troppo passivi nel reagire agli eventi, limitandosi per lo più a guardarsi in giro con fare spaesato mentre i personaggi secondari reinterpretano malamente le gesta di Gandalf.
Come si può evincere dal caustico commento appena espresso e dal noto flop al botteghino, è evidente che questa pellicola abbia sbagliato su diversi fronti, ma basta ciò a renderlo un brutto film? Prima di esprimere un’opinione a riguardo ci piacerebbe approfondire qualche dettaglio sulla produzione che si accompagna a Inkheart – La leggenda di cuore d’inchiostro, nel tentativo di capire cosa abbia portato a un’accoglienza tanto tiepida di un’opera da 60 milioni di dollari che ha visto collaborare ben quattro nazioni e una produzione da parte della New Line Cinema (nota ai più per la trasposizione de Il Signore degli Anelli).
Troppo amore e troppo miele guastano lo stomaco, dice un proverbio, e questo film ne è la riprova. Sin da quando si è iniziato a discutere della possibile trasposizione, l’autrice Cornelia Funke ha dimostrato un attaccamento al limite del morboso nei confronti della propria creatura; convinta che il cinema tedesco non sarebbe stato in grado di concretizzare la sua fiaba (dopotutto, quando mai si è visto un fantasy decente proveniente dalla Germania?), si è fatta contendere i diritti d’autore dai più accaniti produttori statunitensi e ha ceduto solo quando le hanno permesso di partecipare attivamente nella selezione del cast.
Ecco dunque che nei panni dell’algido e marziale Capricorno viene valutato Rowan Atkinson – bravissimo, ma decisamente poco inquietante – e si opta infine per l’attore che fu Gollum. Avendo fisicità e atteggiamenti completamente diversi dal personaggio originale si provvede a riscrivere la parte perché sia più affine al noto interprete e assomigli quantomai a Smeagol in giacca e cravatta. Basta non se la passa molto meglio, un Jamie Foreman forte della sua interpretazione in Oliver Twist viene rimaneggiato fino a risultare minaccioso come Ron Jeremy nel pieno della sua mezza età, perdendone in dignità e mordente. La performance di Paul Bettany come Dita di Polvere viene invece “premiata” introducendo flashback assurdi e superflui nei quale compare la sua compagna, Jennifer Connelly, a ricordare al mondo il loro voto matrimoniale.
L’affetto smodato e mal riposto non si limita agli attori, ma invade anche altre scelte che, sebbene fatte con le migliori intenzioni, si rivelano fallimentari. Essendo buona parte del racconto ambientato in un inquietantissimo villaggio italiano, per esempio, si è adoperata grande parte del budget per riempire le casse comunali di Savona perché gli venissero permesse le riprese nei ruderi di Balestrino. L’idea di rappresentare la location originale con una sua controparte nel mondo reale, per quanto brillante su carta, dimentica completamente che una pellicola non debba essere verosimile, ma evocativa; i cineasti hanno sempre fatto di tutto per enfatizzare la realtà perché funzioni sul grande schermo, mentre Inkheart si appesantisce con le riprese di un noioso e banale paese di montagna che non riesce a risultare inquietante neppure quando decorato con festoni di chiara ispirazione nazista.
Sebbene queste decisioni non rovinino l’atmosfera, in più punti del film si ha la sensazione che le riprese siano state fatte per uso interno, magari perché il cast possa rivederlo a distanza di anni per ricordarsi dei bei tempi passati assieme, quasi fosse il filmino di una gita scolastica. Eppure… eppure, sul piano narrativo, Inkheart – La leggenda di cuore d’inchiostro supera la storia originale, snellendo e alleggerendo una trama sottile che si era concessa fin troppe pagine riempitive e inconcludenti; Maggie e Elinor vengono giustamente relegate in secondo piano, si contengono le discussioni illogiche e ridondanti e, soprattutto, si riducono grandemente le scene dove i personaggi si limitano a starsene seduti senza fare progredire la trama in alcun modo. Se non fosse stato per il finale affrettato e dissonante con l’intreccio, la pellicola si sarebbe potuta facilmente sollevare dalla mediocrità per cui è ora ricordata, consentendo le riprese dei due sequel che erano stati preventivati.
Vale quindi evitare il libro e limitarsi a vedere il film? Assolutamente no! Come abbiamo menzionato in precedenza, grande valore del tomo era nascosto, più che nella trama, nell’ostinato tentativo di educare i fanciulli alle gioie della lettura, stimolandone curiosità e appetiti grazie a citazioni ed estratti selezionati ad arte. Si tratta di una qualità difficile da trasportare nella transizione del media comunicativo che, infatti, riesce solo a menzionare frettolosamente alcuni capolavori letterari o estrapola diversi personaggi del Mago di Oz nel tentativo di incuriosire il pubblico con creature già largamente conosciute grazie al noto musical.
-Walter Ferri-
Inkheart: macchietta d’inchiostro
Isola Illyon
- Coerente con la trama del libro
- Estetica interessante
- Fraser e Bettany si rivelano grandi attori
- Finale buonista e immotivato
- Produzione goffa
- Antagonisti risibili