Ci sono certe persone – e confido che molti lettori di questo sito rientrino nella categoria – che amano visceralmente letteratura e libri. Si tratta di individui facilmente riconoscibili dal fatto venerino le copertine cartonate che proteggono le storie in cui sono ansiosi di immergersi, si inebrino all’odore della carta stampata ingiallita dal tempo e piangano ogni volta che viene trasmessa in TV la scena della sparatoria in libreria ne La Leggenda degli Uomini Straordinari. Cornelia Funke (Dorsten, 1958) infoltisce sicuramente questi ranghi e lo ha dimostrato rendendo pubblica la sua acuta bibliofilia attraverso la sua saga più famosa, iniziata nel 2003 con un libro che potrebbe essere tranquillamente interpretato come una sentita lettera d’amore: Cuore d’inchiostro.
Mortimer – più frequentemente chiamato Mo o Lingua di Fata – è un legatore di grande talento, un lettore accanito e il padre premuroso della dodicenne Maggie, la quale ha da lui ereditato l’interesse nei confronti di ogni tomo e un bagaglio invidiabile di conoscenza nel campo dell’editoria. Mo, tuttavia, custodisce anche un incredibile potere che nove anni prima gli ha permesso inconsapevolmente di materializzare i personaggi di un libro fantasy – Cuore d’inchiostro, appunto – nel salotto della sua dimora, facendo scomparire nel contempo la compagna Teresa.
Distrutto dalla perdita della moglie, terrorizzato dalle sue ingovernabili capacità e perseguitato dai personaggi che ha trascinato a forza fuori dalle fiabe, l’uomo abitua la bambina a una vita di eterni trasferimenti e cerca senza sosta di ideare una tecnica che gli permetta di riabbracciare l’amore della sua vita. L’equilibrio e la stabilità emotiva sviluppati negli anni, tuttavia, vengono disturbati quando in una notte di tempesta si manifesta al loro uscio lo sfigurato Dita di Polvere, un mangia-fuoco vagabondo proveniente dal regno fatato, per avvertirli dell’imminente pericolo rappresentato dal suo temibile compatriota Capricorno, il quale sembrerebbe determinato a distruggere tutte le copie del libro che lo ha generato.
Sebbene l’avventura e le aspettative fantastiche suggerite dalle premesse non vengano mai veramente soddisfatte, Cuore d’inchiostro sa comunque come mantenere alta l’eccitazione, invogliando i lettori a divorarsi le quasi 500 pagine in un solo fiato e premiandoli con graziose illustrazioni che adornano ogni chiusura di capitolo. È essenziale fare menzione come si tratti di un testo scritto e pensato per la giovane età; profondamente consapevole del target di destinazione, finisce col fregiarsi dei pregi e patire i difetti che caratterizzano anche molti altri esponenti di questo genere letterario. L’autrice non ha trovato interesse nell’offrire diversi chiavi di lettura che andassero a stimolare fruitori di ogni età e ha preferito focalizzare le sue energie nel comporre un testo caratterizzato da una notevole valenza didattica e divulgativa. Questa scelta rende la trama altamente godibile per la fascia d’età tra i 9 e i 14, ma alcune rare coercizioni narrative sono abbastanza ingenue da poter far storcere il naso ai grandi, rompendo per un attimo l’immersione nell’avventura.
Notevole il tentativo, purtroppo non completamente riuscito, di contrapporre i personaggi originati dal libro a quelli del mondo reale. I primi – quasi tutti antagonisti – sono caratterizzati da una psiche essenziale e stereotipata che rispecchia degnamente quello che ci si aspetterebbe dall’enfatizzazione propria delle fiabe, mentre i secondi dovrebbero essere mossi da impeti passionali più elaborati, ma non sempre il risultato è convincente.
Escludendo Maggie che, come vera protagonista delle vicende, è intenzionalmente rappresentata come tela bianca in cui il lettore possa sovrascrivere il proprio Io, ci troviamo comunque davanti a un entourage spesso troppo ossessivo perché lasci trasparire le diverse sfaccettature di cui dovrebbe essere dotato; caso a parte è la zia Elinor che, sebbene abbia un ruolo apparentemente marginale e superfluo all’interno dell’avventura, dimostra uno spettro emotivo molto vario e verosimile che evolve al passo con il progredire della trama. La cura e l’attenzione riposti nella creazione di questa lontana parente lasciano intuire che possa essere l’avatar stesso di Funke, impressione rafforzata ulteriormente dal ruolo di guida che a volte ricopre o dalle idee suggerite dall’autrice riguardanti il rapporto tra scrittori e scritti.
Dove non ha raggiunto la perfezione coi personaggi, tuttavia, riesce con i dettagli minori. Il contrasto tra l’immaginario mondo fatato e quello concreto della nostra quotidianità risulta evidente dalle diverse tinte che esseri e oggetti assumono a seconda del luogo; molti tra i protagonisti sottolineano verbalmente tali differenze – lamentandosene, sognandosele o rallegrandosene, ma l’apice del conflitto lo si raggiunge nel momento in cui le colline circondanti Genova vengono invase da uno stuolo di creature fantasy che, scomodate dal loro contesto, perdono grande parte del loro aspetto sovrannaturale, degenerando a versioni viventi di nani da giardino o, addirittura, diventando un vero e proprio fastidio. Funke rende chiaro, seppure in maniera indiretta e raddolcita, che il magico non può ne potrà mai esistere nel nostro mondo, almeno per come lo amiamo dai libri, ma allo stesso tempo riconosce che quelle note di fantasia carpite dalle pagine stampate possano accompagnarci migliorando la nostra vita. In tal senso l’autrice illustra diversi approcci nel mescolare il materiale all’inventivo, lasciando a ogni fan la completa libertà nello scegliere quale sia l’armonia auspicabile.
Cuore d’inchiostro non è un libro fantasy nel senso al quale siamo abituati. Sino da subito siamo avvisati che “in Cuore d’inchiostro di draghi non ce n’era nemmeno uno”, quasi ad anticiparci che il centro dalla storia sia nella lotta tra buio e luce, anziché un’esplorazione onirica in mondi sconosciuti; si tratta piuttosto di un’avventura che si intreccia solo occasionalmente con elementi fiabeschi rimanenti, in ogni caso, su un secondo piano ben distante. Volendo analizzare il romanzo al di là della trama, è evidente quanto il testo orbiti costantemente attorno ai libri, celebrandone affettuosamente le forme e i contenuti con una passione quasi rasentante il feticismo. Ogni capitolo si apre con citazioni ritenute essenziali dalla scrittrice e le pagine sono pregne di riferimenti atti a incitare i lettori nel ricercarne le origini e, di conseguenza, ad ampliare la propria cultura.
Cornelia Funke ha scritto, quasi per gioco, un’opera che non raggiungerà mai la raffinatezza del Piccolo Principe o la vitalità de Lo Hobbit, ma che risulta in grado di accattivare l’attenzione dei lettori che si prefigge di raggiungere e, cosa non comune, insegna loro il valore – materiale e intellettivo – di un buon libro, meritandosi una menzione d’onore per il nobile e squisito traguardo che si prefigge. Da Cuore d’inchiostro è altresì stato tratto un film omonimo interpretato da Brendan Fraser, ma questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un’altra volta.
-Walter Ferri-