Tutti noi sappiamo come il fantasy faccia bene alla salute. Leggere fantasy, guardare fantasy, giocare fantasy sono tutte attività che ci hanno cambiato la vita, spesso fin dalla prima infanzia, e che ci hanno reso i grandiosi, bellissimi adulti di successo che siamo oggi. Ok, ignorate i grilli in sottofondo.
Scherzi a parte, siamo tutti consapevoli che il fantasy sia in grado di spalancare porte su altri mondi come nessun altro genere sappia fare, ampliando le nostre prospettive e stimolando la nostra immaginazione. Inutile dire che non tutti, e non sempre, l’hanno pensata così: ricordo ancora quando mia zia mi beccò a leggere Il magico regno di Landover di Terry Brooks e pensò che fossi dedita al satanismo.
Ma finalmente in nostro aiuto accorre la scienza: qualche tempo fa, il Journal of Applied Social Psychology ha pubblicato un articolo intitolato “La più grande magia di Harry Potter: combattere il pregiudizio”, risultato di uno studio condotto da un team di psicologi e sociologi italiani e anglosassoni provenienti dalle università di Modena e Reggio Emilia, Padova e Greenwich. I componenti di questo team si occupano da anni di studiare i modi attraverso cui la lettura di fiction può influenzare il comportamento sociale delle persone, in particolare delle fasce più ricettive della popolazione, come i bambini e i ragazzi. Nel corso degli ultimi anni, numerosi studi hanno portato alla formulazione della cosiddetta ipotesi del contatto parasociale, secondo la quale l’esperienza della lettura di una storia può avere, sul comportamento di un individuo, le stesse ricadute di una vicenda vissuta in prima persona. In altre parole, leggere una storia è un po’ come viverla davvero. Finora, però, ai ragazzi coinvolti in questi esperimenti erano stati sottoposti testi creati ad hoc, che se da un lato davano il vantaggio di circoscrivere il campo di ricerca e di poter fare ai ragazzi domande più mirate, non permettevano uno studio più vasto in campo sociale.
Ecco perché il team di studiosi guidato dal prof. Vezzali ha pensato di sottoporre ai ragazzi coinvolti dei brani tratti da una serie di libri che hanno segnato la storia della letteratura fantasy e la vita di molti di noi da almeno due generazioni: la saga di Harry Potter. Lo scopo di questa ricerca era comprendere se una popolare serie di libri potesse effettivamente modificare l’atteggiamento mentale e comportamentale di bambini e ragazzi nei confronti di categorie generalmente considerate “diverse” della società – nella fattispecie: omosessuali, immigrati e rifugiati. Dopo aver fatto leggere a bambini e ragazzi alcuni passaggi delle avventure dei mago di J.K. Rowling, durante la discussione con loro si è testato il livello di identificazione su una scala graduale che andava da Harry a Voldemort. Il risultato? In tutte e tre le fasi dello studio, in scuole e università italiane e britanniche, la maggior parte dei ragazzi si è immedesimata in Harry e si è espressa a favore di idee di accoglienza e uguaglianza; la conclusione dei ricercatori è che un fantasy come Harry Potter possa aiutare i ragazzi a interiorizzare idee inclusive.
A ben pensarci, in effetti, non sorprende che il mondo creato dalla Rowling riesca ad abbattere le barriere della stigmatizzazione e dell’esclusione sociale: Hogwarts, che accoglie tra i suoi professori un lupo mannaro e un ex mangiamorte, è una scuola in cui la diversità è istituzionalizzata ma appianata attraverso la divisione in case, in cui l’orientamento sessuale e la provenienza sono assolutamente ininfluenti quando si tratta di misurare la potenza della propria magia. Tuttavia lo studio, pur condotto con criteri accurati, arriva a conclusioni relativamente vaghe e precarie: cosa, esattamente, porta i ragazzi a schierarsi da una parte o dall’altra? Quanto il singolo passaggio letto e la domanda mirata degli intervistatori ha influito sull’imparzialità delle loro risposte? Cosa succederebbe se, al posto della Rowling, si proponessero brani di Sanderson? E se, più semplicemente, ad aprire la mente dei lettori fosse proprio il genere fantasy, che crea mondi paralleli ma equivalenti al nostro in cui creature diverse si confrontano in modo dinamico? Non sarebbe ora di introdurre Tolkien nei piani di studio?
La mia speranza è che questo sia solo il primo di una serie di studi che approfondiscano l’influenza della narrativa, specie se fantasy, sulla nostra società. Nel frattempo, vogliamo la vostra opinione: avete sullo scaffale un libro fantasy che pensate abbia cambiato il vostro atteggiamento complessivo? E, se sì, in che modo? Lasciate una memoria del vostro pensatoio nei commenti.
–Francesca Canapa–
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