Devilman è un nome che ai più dovrebbe almeno far accendere qualche lampadina. Nato nel 1972 dalla penna di Go Nagai, si tratta di un manga shonen che vede come protagonista Akira Fudo, un giovane e timido ragazzo che, per aiutare l’amico Ryo Asuka a contrastare un’invasione di demoni tornati sulla Terra, si fonde con uno di essi, Amon, trasformandosi nella creatura nota come Devilman.
Veri marchi di fabbrica dell’opera sono gli scontri tanto truculenti quanto sanguinosi, senza scrupoli verso i lettori, con tutta una serie di morti che toccano sia i personaggi di sfondo che quelli principali, in una gigantesca ordalia sanguinosa e bestiale.
Di recente, l’avrete visto, Netflix lanciato sulla sua piattaforma di streaming una nuova serie originale ispirata proprio all’opera di Go Nagai, intitolata Devilman Crybaby, diretta da Masaaki Yuasa e scritta da Ichirō Ōkouchi. L’accoglienza della produzione da parte di critica e pubblico è stata per lo più positiva, ma forse è il caso di andare ad analizzarla bene per capire cosa ci sia davvero che funzioni, e cosa invece no.
Innanzitutto dire che Devilman Crybaby sia guardabile, intendendo letteralmente, è un eufemismo: personalmente ho trovato l’aspetto grafico alquanto scadente, con colori tanto piatti che potrebbero addirittura scoraggiare qualche spettatore un po’ più esigente. Fin troppo spesso i personaggi si muovono in maniera bizzarra e sembra che di umano abbiano ben poco, mentre quasi tutti gli scorci visti dall’alto appaiono come piccoli pasticci disegnati alla buona, che non sfuggono certo a un occhio abituato ad altre opere animate di qualità, come ad esempio L’Attacco dei Giganti (l’anime, eh, non considerate il manga). Anche proseguendo resta sempre la sensazione che questa incuria dei disegnatori sia semplicemente un voler rappresentare solo ciò che sia davvero importante, tralasciando tutto il resto – un po’ come a voler dire “ti serve davvero il chiaroscuro in un mostro gigante bicefalo sbucato dalla vagina di una donna?”. Beh, io direi “ovvio”…
Per fortuna, però, passati i primi dieci minuti ed entrati nella trama vera e propria (e sempre chiudendo un occhio – Gatsu docet – sul comparto grafico), Devilman Crybaby diventa una serie assai godibile. I dieci episodi di ventidue minuti ciascuno scorrono piuttosto rapidamente, e lo spettatore non fa troppa fatica a conoscere bene tutti i protagonisti.
La trama si snoda snella tra ragazzetti gangsta-wannabe quasi indistinguibili l’uno dall’altro e demoni profondi quanto un tappeto persiano; a volte il gap temporale tra una puntata e l’altra non è accennato, ma lasciato intuire allo spettatore (cosa decisamente scocciante, lo ammetto), e una perenne sospensione dell’incredulità permea tutta la serie, con massacri e distruzioni che si susseguono senza che scatti mai uno stato d’emergenza. Il parallelismo con Evangelion è quasi palese sia nel rapporto Akira-Mikki, sia nelle pulsioni sessuali del protagonista nei suoi sogni (per non parlare di certi risvegli o inquadrature finali che, più che strizzate d’occhio, sono veri e propri segnali al neon a Hideaki Anno).
Le musiche sono piacevoli e ben disposte, in alcuni casi utilizzate tanto bene da portare alla commozione (ammetto di aver stoppato la riproduzione del video per tirare sospironi), e alcune scene in particolare lasciano trasparire un lato umano così profondo da chiedersi perché questo non sia stato applicato a tutta la serie. Il tema dello sport, centrale per gran parte dell’opera, si rivela essere uno specchietto per le allodole, e a mio modo di vedere è solo minutaggio prezioso sprecato.
Il finale è senza troppi fronzoli: diretto, scioccante e così forte da lasciare dentro allo spettatore solo una sensazione di vuoto cosmico. Devilman Crybaby è sicuramente una serie dove i buoni sentimenti sono messi alla prova da un aspetto sempre più intuibile della natura umana, e in molti casi viene da chiedersi chi sia davvero più malvagio tra il demone e l’uomo. L’intera serie fa del simbolismo il suo cavallo di battaglia: le relazioni, la competizione, il disagio sociale e la bestialità umana contrapposta alla logica sono quasi sempre presenti.
Con una maggiore cura e puntate più dilatate si poteva sicuramente migliorare il comunque già buon risultato ottenuto: avrei gradito molto un focus maggiore sui personaggi secondari, in modo da non farli percepire come meri pedoni di una scacchiera, oltre che un’indagine più approfondita su quelli principali, che rimangono davvero misteriosi sotto molti aspetti. Queste scelte a mio avviso avrebbero portato Devilman Crybaby sull’olimpo delle migliori serie animate degli ultimi anni: purtroppo non è andata così.
–Yari Montorsi–
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