“Se mi chiedete se, a mio avviso, il cast giapponese sia all’altezza della parte, la mia risposta è che no, non lo è proprio per niente”. Questa è, senza giri di parole, l’opinione di Seiju Mizushima, regista della prima serie anime di Fullmetal Alchemist (2003) e del suo lungometraggio animato Il Conquistatore di Shamballa (2005), sul film live action tratto dal popolare manga di Hiromu Arakawa. Infatti, secondo Mizushima “è stata una pessima idea scegliere solo attori giapponesi”, poiché per loro “è difficile catturare l’aspetto e l’atmosfera del manga originale”.
Come mai queste opinioni così dure in merito? Ebbene, chiunque abbia letto o visto Fullmetal Alchemist sa che il luogo dove è ambientato, Amestris, è basato esplicitamente sull’Europa del primissimo 1900, come si deduce anche dai nomi di molti personaggi e dai loro tratti somatici, che contrastano con quelli di popolazioni evidentemente non bianche (quelle cinesi dell’Impero orientale di Xing e quelle dalla pelle scura e gli occhi rossi di Ishbar).
Il problema dell’assegnazione di attori di etnia diversa rispetto a quella dei personaggi originali è un tema caldissimo, che noi conosciamo soprattutto nella forma del whitewashing, ovvero la scelta di attori bianchi per interpretare personaggi che esplicitamente non lo sono. Questa abitudine, ciclicamente messa in atto nel cinema occidentale fin dai suoi albori, interessa un po’ tutte le persone di colore, ma i personaggi orientali ne pagano le conseguenze più spesso di tutti. Infatti, pensiamo solo al recente (e dimenticabile) Death Note di Netflix, o ai meno recenti (ma egualmente dimenticabili) Dragon Ball Evolution e la serie tv su Earthsea (aspramente criticata anche dalla stessa Le Guin, autrice dei racconti originali): tutte opere che avrebbero dovuto avere un cast quasi solo di colore, ma che invece vedono una inspiegabile predominanza di attori bianchi.
Quindi, possiamo definire questo live action di Fullmetal Alchemist un esempio di “whitewashing al contrario”? A parer mio, no. E vi dico perché.
Innanzitutto, però, bisogna spiegare da cosa scaturisca questo famigerato whitewashing. Perché, infatti, certi registi scelgono attori bianchi per ricoprire ruoli di persone di colore? Questione di puro talento? Ovviamente no, altrimenti non si sarebbe sollevato tale vespaio: infatti, come è stato spesso affermato da critici, studiosi e registi del calibro di Ridley Scott, Hollywood percepisce gli attori bianchi e ben noti (come Jake Gyllenhaal in Prince of Persia) come un investimento economicamente più sicuro rispetto ad attori di colore, che sono meno numerosi e, di solito, meno conosciuti, quindi relegati a ruoli di supporto (e mantenendo così sempre limitate le loro possibilità di fare carriera – gli attori non bianchi ad Hollywood sono solo il 6,5%).
Ma il problema va più a fondo, perché spesso nelle scelte di casting i bianchi vengono privilegiati a prescindere dalla loro notorietà (chi diavolo erano i pessimi attori di quell’oscenità di Avatar: l’Ultimo Dominatore dell’Aria?), poiché si pensa che gli spettatori americani bianchi eviterebbero a prescindere film con protagonisti di colore, ritenendoli “film per neri/asiatici/arabi”. Ma si tratta ovviamente di pure sensazioni personali dei produttori, visto che molti dei film con più whitewashing si rivelano enormi fallimenti di botteghino (l’ultimo dei quali è stato Ghost in the Shell). Ma non fermiamoci al puro calcolo economico, per quanto fallace sia: il whitewashing è stato motivato anche con la pretesa che il pubblico si immedesimi di più negli attori bianchi, visti come un modello standard più neutro e universale rispetto ai loro colleghi di colore, più settoriali e limitati.
Quindi il whitewashing è un serio problema culturale all’interno di Hollywood, ma nel caso del live action tratto dall’opera della Arakawa stiamo parlando di un film destinato principalmente a un pubblico giapponese e prodotto da una compagnia nipponica, la Oxybot, che ha potuto dar vita a Fullmetal Alchemist solo ora a causa degli alti costi della CGI. Parliamoci chiaro: per la Oxybot non c’era modo di ingaggiare attori occidentali (bianchi o di colore che fossero) per praticamente tutti i ruoli del film, e mantenere dei costi di produzione accettabili. Dove si trovano dozzine di occidentali che parlino per due ore un giapponese fluente, e quanto sarebbe costato un loro eventuale doppiaggio?
Insomma, a parer mio non siamo davanti a un caso di “whitewashing al contario” (nonostante il Giappone non brilli per anti-razzismo, anzi), poiché non si tratta di una scelta che esclude volontariamente gli attori non giapponesi del cinema nipponico, ma di una necessità dovuta alla mancanza di attori occidentali nell’industria cinematografica del Sol Levante: in pratica, il regista Fumihiko Sori si è arrabattato al meglio con ciò che aveva. Anzi, in realtà sia quest’ultimo, sia Ryosuke Yamada (l’attore che interpreta Edward Elric), si sono dimostrati molto consapevoli di questo problema, impegnandosi a riproporre la storia originale del manga con la maggiore fedeltà possibile, senza inserire alcun riferimento culturale giapponese. Come ha anche affermato Sori in un’intervista, “nonostante il cast sia tutto giapponese, il background culturale è l’Europa, sebbene con uno stile che non riprende direttamente una specifica nazione”.
Certo, per molti versi posso concordare con Mizushima sul fatto che mi sarà difficile rivedere molti dei personaggi di Amestris in questi attori giapponesi. Tuttavia, se per avere una maggiore fedeltà visiva dovessi aspettare una delle famigerate rielaborazioni hollywoodiane, personalmente preferisco tenermi questi talentuosi artisti nipponici, che è evidente si stiano impegnando tantissimo.
Insomma, la qualità di questo film potrà davvero essere giudicata solo alla sua uscita nei cinema (fissata per l’1 dicembre prossimo in Giappone), ma per il momento non mi sembra il caso di gridare allo scandalo così gratuitamente. Per fortuna anche Mizushima in realtà spera che la pellicola abbia successo.
E voi che aspettative avete? Siete d’accordo con Mizushima o pensate abbia esagerato?
–Gloria Comandini–
[amazon_link asins=’B005F7J7C0,8891266485,B0087DTGMK’ template=’ProductCarousel’ store=’isolilly-21′ marketplace=’IT’ link_id=’44d24ec0-b1c0-11e7-bf20-7f8ea13d6bc4′]