Accade spesso che adattamenti di fumetti tradiscano le aspettative dei fan, sempre predisposti a vedere di cattivo occhio due ore di film come riassunto di cinquanta e/o sessanta volumi (quando va bene) o di una serie di libri. Death Note, il noto manga di Tsugumi Oba e Takeshi Obata tradotto in forma di lungometraggio da Netflix e disponibile da pochi giorni sulla piattaforma di streaming, non ha fatto eccezioni: distrutta dalla critica e dagli appassionati, la pellicola ha ricevuto giudizi così bassi che, al confronto, Game Therapy risultava quasi godibile.
La storia del manga originale dovreste conoscerla tutti: Light Yagami, studente giapponese delle superiori dalla mente eccellente, entra in possesso di un libro dalla copertina nera, il Death Note. Questo permette di far morire una persona semplicemente scrivendone il nome sopra, dotando il possessore del quaderno di un potere praticamente divino. Light sceglie quindi di diventare un giustiziere sotto il nome di Kira. Aiutato da Ryuk, dio della morte, e braccato da L, detective tanto perspicace quanto strambo, arriverà a compiere scelte indicibili nel nome della sua personale visione di giustizia.
Attenzione: da qui in poi si parlerà del film di Netflix, dunque chi non volesse incappare in spoiler è pregato di non proseguire con la lettura!
Cos’è andato storto, dunque, con il Death Note di Netflix? Perché il film ha attirato un generale lancio di merda nei suoi confronti? Beh, partiamo dalle basi: Light, nel film, è tutt’altro che giapponese, tutt’altro che brillante, e tutt’altro che acuto. Nat Woff, l’attore che presta il volto a Light, sembra essere dotato di un talento per il comico più che per il dark e il cupo. Il nostro baldo giovine è innamorato di Mia (Margaret Qualley, trasposizione di Misa Amane), una cheerleader piuttosto carina che frequenta la sua stessa scuola. La ragazza, dopo essere stata portata a conoscenza del Death Note, salta letteralmente tra le braccia di Light e, assieme, i due cominciano a frequentarsi, mietendo vittime e scopando in egual misura.
Come se fino a questo punto il contenuto non fosse già abbastanza lurido, al trio si aggiunge L, il pallido, sociopatico, acutissimo, placido detective che nel manga dà la caccia a Kira/Light, arrivando quasi a smascherarlo. Nel film è interpretato da Lakeith Stanfield, che emula, come una macchietta, l’L nipponico senza riuscirci, lasciandosi andare frequentemente ad attacchi d’ira e crisi isteriche a caso, e non una volta sbagliando completamente strada. “Il miglior detective al mondo” dicevano.
Unico personaggio che esce non battuto dal paragone manga/film è Ryuk, lo Shinigami, qui interpretato da un Willem Dafoe che cerca davvero di dare il meglio di sé con una maschera enorme sulla testa; l’interpretazione “regge il colpo” fino alla parte finale del lungometraggio, dove invece l’attore sembra ricalcare la parte di un cattivo dei Power Rangers più che un tenebroso Dio della Morte. A vestire i panni del padre di Light e allo stesso tempo del capo della polizia è invece Shea Whingham: il suo ruolo è minimale rispetto alla controparte nipponica, rappresentando un personaggio più “paterno” se paragonato a Soichiro Yagami. A terminare il losco disegno c’è anche Watari (Paul Nakauchi), l’aiutante giapponese di L.
Alla fine, a ben pensarci, il film ha un solo, evidente difetto. È intitolato Death Note, proponendosi come il riadattamento di un prodotto di successo mondiale. Se si fosse chiamato “Il Libro Nero”, se Light si fosse chiamato “John Turner”, L “Detective R” e Ryuk avesse avuto una falce e un lungo mantello nero… forse (e dico forse) sarebbe stato semplicemente un prodotto mediocre. È quando si comincia inevitabilmente a paragonare il manga al film che quest’ultimo ne esce sconfitto malamente. I suoi personaggi sono completamente errati sia nella rappresentazione che nella recitazione, e la sua trama è facilotta e banale, probabilmente a causa di uno sceneggiatore e un regista che hanno semplicemente sfogliato il fumetto senza riuscire a carpirne l’estremo simbolismo, il carattere, e la profondità.
C’è ben poco altro da aggiungere, ma come sempre aspetto i vostri commenti al riguardo.
–Yari Montorsi–
[amazon_link asins=’B06XYCT55Y,889126332X,B00ANR26LQ’ template=’ProductCarousel’ store=’isolilly-21′ marketplace=’IT’ link_id=’cac734ca-8dd6-11e7-a11d-b3b07be78850′]
Death Note di Netflix: ci aspettavamo davvero questo?
Yari Montorsi
- La trasposizione di Ryuk è ben realizzata;
- Il gioco strategico finale è piacevole;
- I personaggi sembrano non riuscire a incarnare nulla di quello che dovrebbero essere davvero;
- La recitazione non è brillante, le motivazioni neppure, le ambientazioni meno che meno;
- È impossibile non paragonarlo all'opera originale, superiore sotto tutti i punti di vista;