Era il 1996 e Rob Cohen, come molti di noi, amava i draghi. Li amava in ogni sua forma e accezione, tant’è che solo tre anni prima aveva diretto Dragon: La storia di Bruce Lee e nel 2008 La mummia: La tomba dell’imperatore dragone. Un ventennio fa, un altro frutto di questo amore fu Dragonheart, un bel film fantasy che parlava di un drago sputafuoco e del suo legame indissolubile con un re malvagio, di cavalieri fedeli al giuramento di re Artù e di incantesimi da spezzare.
Il film poteva contare su almeno un paio di attori d’eccezione: parliamo di un giovane Dennis Quaid nei panni del valoroso cavaliere Bowen, e la fantastica voce di sir Sean Connery a doppiare Draco. Negli anni successivi, altri registi hanno ripreso questa storia, da cui sono nati altri tre sequel: Dragonheart 2: Una nuova avventura, Dragonheart 3: La maledizione dello stregone e Dragonheart 4: La battaglia per l’Heartfire. Proprio quest’ultimo, disponibile da poche settimane esclusivamente in home video, sarà oggetto di questa recensione.
La trama è ambientata, come nei precedenti film della serie, in un classico mondo fantasy, simil-alto Medioevo, in cui Drago è legato alla famiglia reale, di cui è amico e consigliere. In questo caso, la dinastia è rappresentata non da uno, bensì da due eredi, Edric e Mehgan, gemelli marchiati alla nascita dal loro legame con il drago che si contenderanno il regno nonché il potere del suo fuoco. Il drago, animato da una computer grafica che esteticamente restituisce quasi del tutto l’originale degli anni ’90, rimane il pezzo forte del film, con la saggezza e lungimiranza che contraddistinguono la sua specie. Spiace dover ammettere che, al contrario del primo lungometraggio (senza dubbio il migliore della saga, dato che i due sequel precedenti al quarto capitolo risultano tutto sommato trascurabili), in effetti la creatura sia anche l’unica cosa interessante che vedrete qui. E soltanto perché si tratta di un drago. E perché, nella versione in lingua originale, è doppiato dal mitico e sempreverde Patrick Stewart.
Per il resto, Dragonheart 4 ha la stessa rilevanza artistica di un barattolo di pelati, e la coerenza interna di una supercazzola alla Antani. I due protagonisti, una sorta di X-Men del fantasy, interpretati dagli ultimi rappresentanti di una lunga trafila di attori insignificanti ma dai nomi oggettivamente molto carini, mancano di qualsiasi spessore: la conseguenza di tutto ciò è che, malgrado vengano colpiti da lutti e gravi sventure dall’inizio alla fine del film, lo spettatore medio non ipersensibile sarà totalmente incapace di immedesimarsi con loro. Edric, in particolare, non lascia spazio al rimpianto quando viene rimpiazzato dalla sorella Mehgan, tutto sommato una buona sovrana, visti anche i risvolti non eccessivamente femministi della sua guida illuminata. A ogni modo, il comportamento volubile di entrambi passa addirittura in secondo piano rispetto alla totale inconsistenza delle truppe vichinghe di Mehgan, ottuse e stereotipate come nei peggiori telefilm anni ’90. La regia è trascurabile, la sceneggiatura inspiegabile, i dialoghi ai limiti del discreto. Last but not least, i buchi di trama hanno un’estensione tale che anche Drago sembra rendersene conto: per esempio, nonostante sappia che morendo rischierebbe di uccidere anche gli eredi al trono, li invita comunque a fare un tentativo per separare il loro legame perché, chissà, magari stavolta andrà bene!
Non sorprende che, con un materiale filmico così povero, la versione home video non presenti grandi ambizioni creative: l’audio è un ormai standard Dolby Digital 5.1, i sottotitoli dei contenuti speciali presentano alcuni errori, e gli extra stessi sono un insieme raffazzonato di interviste in cui gli attori si sforzano di giustificare la produzione stessa di questo film e dare così un senso alle loro paghe.
In conclusione, però, vorrei spezzare una lancia a favore di questo film. Non posso negare, infatti, che abbia almeno due pregi: innanzi tutto, il lavoro dei nostri doppiatori italiani ha salvato un film altrimenti inaccettabile; in secondo luogo, una pellicola del genere rappresenta una scusa più che buona per riguardarsi l’originale degli anni ’90, una vera chicca della filmografia fantasy per tutte le età.
E Patrick Stewart è sempre in gran forma.
–Francesca Canapa–
- Il drago;
- Il doppiatore del drago;
- L’ho già detto il drago?
- La trama è scontata e incoerente;
- I personaggi sono inconsistenti;
- I barbari di Abatantuono avevano molta più dignità dei vichinghi di Dragonheart 4;