#Unlibroèunlibro, questo l’hashtag con cui l’Aie (Associazione Italiana degli Editori) ha da tempo lanciato nel nostro Paese la campagna a favore della riduzione dell’IVA sui libri in formato digitale. Infatti, a causa di una normativa dell’Unione Europea che impedisce di equiparare libri cartacei e libri digitali dal punto di vista fiscale, i tanto amati-odiati ebook sono da sempre motivo di notti insonni per gli editori, che si vedono costretti a sostenere una tassazione del 22%, quando per il medesimo titolo in versione tradizionale l’IVA è ridotta al 4%. Questo perché l’UE continua a non considerare libri ed ebook la stessa cosa: nonostante l’unica differenza sia il supporto utilizzato per la lettura, per l’Unione Europea solo il libro cartaceo è un prodotto culturale vero e proprio, che quindi può godere di un’imposta ridotta, mentre l’ebook continua ad essere qualificato solo come un servizio aggiuntivo e pertanto soggetto ad una tassazione più alta.
Ma in Italia da questo gennaio è cambiato tutto. Il Ministro della Cultura Dario Franceschini ha infatti annunciato che, con la legge di stabilità 2015, l’imposta sui libri digitali sarà parificata a quella dei parenti di carta. E così anche il nostro Paese sfida coraggiosamente l’UE – rischiando pure una multa – come già avevano fatto due anni fa Francia e Lussemburgo, unici altri due Stato europei a disubbidire alla famigerata direttiva. Tralasciando del tutto i possibili discorsi sulle personali preferenze riguardo libro cartaceo o libro digitale, vediamo quali possono essere le principali implicazioni di questa rivoluzione fiscale e, si spera, culturale.
Prima di tutto, è banale dirlo, ma se si allargano le fila dei Paesi dissidenti, speriamo che l’Unione Europea inizi a capire che la strada giusta è questa. Perché mi sento di dirlo? Perché il concetto di valore artistico di un’opera letteraria non è sicuramente intaccato dal fatto che il supporto utilizzato sia fatto di chip invece che di carta. La storia e i personaggi sono sempre gli stessi, niente diventa più bello o più brutto quando si legge un ebook. Questo è un dato di fatto. Quindi, considerare la versione digitale più simile ad un software che non ad un libro tradizionale mi pare alquanto bizzarro. Se poi volessimo discutere se sia più romantico tenere tra le mani un libro, assaporandone l’odore sprigionato dalle pagine di carta, o tenere in mano un ereader di robusta plastica in cui ci stanno migliaia di titoli… no, scusate, abbiamo detto che non ne parliamo qui.
Il secondo aspetto riguarda il prezzo. Se un editore paga meno tasse per la pubblicazione, ci si aspetta che l’ebook – già di norma più conveniente rispetto al cartaceo – costi un po’ meno. Probabilmente sarà così, ma di sicuro non subitissimo, e comunque non c’è da aspettarsi un abbassamento vertiginoso dei prezzi. Su questo argomento sappiate che ci sono in rete un sacco di inchieste e controcampagne che urlano già allo scandalo perché allo scattare della mezzanotte del 31 dicembre 2014 gli ebook non si sono abbassati di prezzo sulle principali piattaforme di vendita (basta qualche click e ne troverete diverse). Scusate, mi prendo la responsabilità di ciò che scrivo, ma personalmente ritengo queste indagini come minimo ridicole. Intanto che senso ha andare a vedere il primo gennaio 2015 se i prezzi sono cambiati (dico il primo gennaio per dire che siamo solo ad inizio anno, anche se vi accorgerete che online ci sono resoconti di chi veramente è andato a vedere i prezzi i primi di gennaio…)? È ovvio che ci saranno dei tempi tecnici per un eventuale adeguamento, non ci vuole un genio per capirlo. E poi, è mai possibile che in Italia ci lamentiamo di tutto a priori, tanto da non accorgerci neanche quando finalmente potrebbe esserci uno spiraglio di miglioramento? Per esempio, ci siamo mai chiesti perché la maggior parte degli editori, compresi alcuni dei grandi nomi, non abbiano un catalogo digitale dei loro titoli e non investano in questo settore? Mi pare che la risposta sia ovvia ora, e sono convinto che con questo cambiamento vedremo crescere l’offerta di librerie elettroniche. E poi, non pensiamo che con degli utili in più, derivanti da una minore tassazione, gli editori che già investono nell’ebook forse potranno migliorare i servizi per i lettori e le proprie proposte, anche per i tradizionalisti che come me comprano ancora libri di carta?
Altra cosa importante direttamente collegata al discorso costi: finalmente anche gli autori in erba che scelgono la strada del self publishing digitale per autopromuoversi non dovranno richiedere un mutuo per vedere pubblicate le proprie opere ed essere costretti a venderle ad un prezzo più basso di quello che meritano per sperare che qualcuno le acquisti. E questo penso sia un po’ come vedersi spalancare le porte del paradiso per tutti quegli scrittori che rischiano di rimanere nell’anonimato perché non hanno possibilità di dialogo con i grandi editori, visto che ora potranno più agevolmente indirizzare i propri sforzi all’autopubblicazione digitale indipendente, e chissà che qualche nuovo talento non possa venire alla luce. Tanto più che la storia ci insegna che molte delle espressioni artistiche più belle sono nate dalle contraddizioni, da situazioni difficili e senza aiuti economici iniziali. Insomma, sono nate nell’underground.
Mi ricollego a quest’ultimo concetto per parlarvi del terzo punto del mio ragionamento. Non voglio fare discorsi noiosi, ma ricordiamoci che la cultura di una qualsiasi società dipende da molti fattori, e tra questi certamente l’arte ne costituisce uno fondamentale. L’aspetto economico di tutta la questione non mi interessa più di tanto per un semplice motivo: credo fermamente nel principio per cui l’arte vada retribuita, sempre. Sulla figura dell’artista, scrittore, pittore, musicista che sia, pesa ancora troppo spesso una visione riduttiva che tende a relegare l’espressione artistica tra le cose superflue, tra le cose che sì, è vero, fanno bene all’anima, ma se devo scegliere come spendere i miei soldi in fin dei conti posso farne a meno, o se proprio non voglio pagare. E quindi non frequento più mostre e musei perché guardo le immagini su Google, non compro più dischi perché tanto posso ascoltare tutto in streaming, non vado più al cinema perché scarico con la fibra ottica, e via dicendo. Intendiamoci, ci saranno sempre e comunque ospiti nei musei e clienti nei negozi di dischi, nelle librerie e nei cinema; il punto che volevo sottolineare è che l’arte tout court spesso non viene considerata importante come dovrebbe essere. Siccome io la penso diversamente, ritengo che attendersi un drastico ribasso dei prezzi per gli ebook equivalga a sminuire il valore dell’opera in sé, cioè a pensare che finalmente potremo comprare libri digitali a prezzi ridicoli perché è giusto sia così. Ma sapete chi ci rimetterebbe in questo caso? Non solo gli editori e gli sviluppatori digitali, ma anche e sopratutto gli autori! Per questo ritengo più giusto che gli utili derivanti da una minore tassazione vengano reinvestiti in altro modo (vedi sopra) e non che giustifichino un abbassamento troppo evidente di prezzo. Se poi questo porterà a speculazioni di altro tipo, allora sì che potremo incavolarci e gridare allo scandalo. Ma non prima!
Dal mio punto di vista, non possiamo che augurarci che questa novità possa portare graduali miglioramenti e un allargamento di orizzonti all’intero settore editoriale e, di conseguenza, culturale in senso più ampio. Nel frattempo posso solo associarmi al grido con cui hanno festeggiato i promotori della campagna “un libro è un libro”: epic win!
– Michele Martinelli –