Per una volta ho deciso di non perdermi in inutili preamboli e concentrarmi nel compito che mi spetta, ovvero la recensione di “Evermen. L’Incantatrice” di James Maxwell, edito da Fanucci.
Non si tratta ovviamente del fisico scozzese pioniere dell’elettromagnetismo. L’omonimo personaggio in questione è un autore fantasy a tutti gli effetti, proveniente dalla terra dei rugbisti e dei kiwi (Nuova Zelanda, obviously), che ha deciso di lanciarsi nel panorama letterario con la saga “Evermen”.
Senza farmi condizionare dalle opinioni espresse al di fuori del Belpaese (dove hanno avuto la possibilità di leggere la saga completa), devo ammettere da subito che il compito di recensire “L’Incantatrice” mi risulta più difficile che in altre occasioni, in quanto trattasi di un libro che si può odiare o amare.
Prima di tirare le somme, però, una breve sinossi è d’obbligo.
Siamo a Merralya, un impero diviso in vari territori, ognuno governato da una casata, nel quale pare resistere un debole equilibrio tra le varie forze in gioco. Tutto è governato e controllato dalla magia, un sapere tramandato da diverso tempo e concesso a tutti i cittadini da un ordine pseudo-religioso. All’interno di questo scenario si dipanano le vite di Ella e Miro, due fratelli dal passato ignoto, che vogliono diventare rispettivamente incantatrice e cantore della lama, ruoli di spicco nella città di Sarostar. Le loro strade, però, cominciano a prendere direzioni inaspettate a causa di imprevisti e nemici, che li portano a mettere a rischio la vita per il bene di tutti i popoli di Merralya, mentre sullo sfondo si delinea una guerra i cui fili sono mossi da un burattinaio misterioso.
Iniziamo proprio da queste ultime righe per dare un giudizio sull’opera. Ho usato la parola “inaspettate” riferendomi alle deviazioni lungo il naturale percorso dei personaggi all’interno della trama. Ecco, i soli presi alla sprovvista sono loro: ho trovato l’evoluzione della storia troppo scontata, e non penso che la sensazione sia dovuta alle mie doti (inesistenti) da Sherlock Holmes. Nel corso della lettura si ha l’impressione di sapere già tutto. Un cliché ripetuto più e più volte, che porta a pensare “punto tutto su [inserire scelta corretta]”. E, guarda caso, si azzecca sempre.
Nonostante ciò, il libro l’ho letteralmente divorato, grazie allo stile molto fluido e moderno che ne facilita la lettura. I capitoli sono alternati in modo tale da raccontare i punti di vista di Ella e Miro, senza buchi temporali e senza stacchi eccessivi, come due storie continuamente intrecciate tra loro. L’azione è l’elemento dominante di tutta l’opera, e non esiste un singolo capitolo unicamente descrittivo. È proprio questo l’ago della bilancia nel giudizio de “L’Incantatrice”: la penuria di elementi di contorno, di approfondimenti e lunghe digressioni, è ciò che vi farà propendere per un giudizio positivo o negativo. Nel mio caso, non essendo un amante degli interminabili paragrafi descrittivi, questa mancanza non ha influito in alcun modo sulla lettura. Anzi, per un libro di quasi 600 pagine, ho apprezzato l’abilità di Maxwell nel mantenere un andamento lineare senza allungare il brodo. Allo stesso tempo, però, ammetto come in alcuni punti si senta il bisogno di due parole in più riguardo a qualche elemento, più per necessità di trama che per quelle del lettore. Mi spiego meglio: che non si ricordi un personaggio, una sua azione o il suo ruolo all’interno della storia, è un problema del lettore. Ma se ciò avviene per mancanza o pochezza di informazioni, allora il problema diventa dell’autore.
Per il resto, “l’Incantatrice” è una piacevole lettura, grazie al modo originale che ha di trattare l’elemento fantasy per eccellenza, la magia. Idee chiare e punto di vista “alternativo” sono i pezzi forti del repertorio: l’elemento magico permea tutta l’opera, amalgamandosi perfettamente con l’ambientazione e la storyline. Inoltre, all’interno del racconto gli incantesimi non sono un sapere elitario ma una scienza aperta a tutti. Questa visione quotidiana e libera (quasi comunitaria) della magia genera un mondo completamente incentrato su di essa e una storia che, altrimenti, non esisterebbe. Provate a considerare quante opere, rinunciando alla parte fantasy, sarebbero in grado di raccontarvi ugualmente la loro storia. È tutta lì la differenza.
Ah, piccolo appunto per il signor Maxwell e tutti voi. Se vogliamo parliamo del tema sentimentale/amoroso, è meglio lasciar perdere: una ragazza che si fa perculare per 400 pagine da uno di cui non conosce nulla se non la bastardaggine, e finisce pure con l’accudirlo perché prova qualcosa per lui, è degna di far parte del peggior romanzo Harmony che potreste trovare in libreria!
–Andrea Camelin–
Evermen. L’incantatrice di James Maxwell – Recensione
Andrea Camelin
- Scrittura molto fluida;
- La magia è trattata in modo originale;
- L'azione decisamente non manca;
- Troppi cliché;
- Rapporti amorosi ai limiti del ridicolo;
- Ogni tanto si sente la mancanza di maggiore approfondimento;