‘Kubo e la Spada Magica‘ (titolo originale ‘Kubo and the Two Strings’) è un’avventura epic fantasy ambientata nel Giappone feudale, basata sullo script originale di Marc Haimes e Chris Butler e tratta da una storia dello stesso Haimes e Shannon Tindle, che sembra un vero e proprio ‘romanzo di formazione’.
Kubo, il giovane protagonista tutto cuore e avventura, trascorre il suo tempo a suonare lo shamisen (uno strumento a due corde) allietando gli abitanti del vicino villaggio e raccontando la storia di un famoso samurai.
Il ragazzino vive in cima a una montagna insieme a sua madre, e ogni volta che comincia a narrare questa storia non riesce mai a terminarla, perché prima del tramonto deve tornare a casa. Una sera sua madre, una donna di mezza età dotata di una potente magia e con forti turbe psichiche (che vanno dal disturbo bipolare all’Alzheimer), gli rivela di essere il figlio del più famoso e audace samurai mai esistito.
Dopo questa rivelazione il giovane cerca un giorno di entrare in contatto con l’anima di suo padre, ma per farlo tarda a tornare alla montagna entro il tramonto. Da questo momento cominciano i guai, che portano Kubo a ritrovarsi catapultato fino ai confini del mondo: con l’aiuto di Monkey, una scimmia permalosa e rigida, e Beetle, samurai preda di una maledizione, dovrà tentare compiere una missione a dir poco epica.
‘Kubo e la Spada Magica‘ è una produzione che è circondata più da luci che da ombre. Cominciamo da queste ultime, partendo dal titolo: come al solito non ci siamo. È chiaro l’intento di voler prendere nella rete il più vasto pubblico possibile. Una spada magica fa sempre al caso della distribuzione di un film, mettendo insieme due elementi archetipici (la spada e la magia) che hanno sempre un forte appeal sul pubblico. Come amante del ‘non cambiamo il concetto che gli autori volevano dare all’opera originale’, avrei preferito un ‘Kubo e le due corde’, traduzione letterale che sarebbe risultata, lo comprendo, meno esplicita e più ermetica, ma molto più aderente al senso della storia. Lo shamisen, infatti, è l’elemento centrale che permette alla magia di Kubo di esprimersi. Il ragazzo è indubbiamente un bardo, se volessimo necessariamente incardinarlo all’interno di una delle tradizionali classi dei GdR fantasy, e come tale non necessita di una spada magica (che è solo uno dei tre artefatti che dovrà trovare), bensì di uno strumento magico.
Secondo e ultimo neo riguarda l’intenzione di far passare questa storia come una favola per bambini: eppure relazioni familiari, psicodramma e ricerca di se stessi attraverso gli archetipi della spada, dell’armatura e dell’elmo (Corpo, Anima e Spirito) non sono tematiche esclusivamente per i più giovani. Certo, non mancano momenti comici con i siparietti tra Monkey e Beetle, ma questi vanno ad alleggerire una trama solo a prima vista semplice e lineare.
Passiamo ora a parlare degli elementi positivi. La stop motion di ultima generazione è magistralmente realizzata dallo studio americano (Oregon) Laika Entertainment, che non fa rimpiangere capolavori d’animazione quali Coraline, ParaNorman e The Boxtrolls, il tutto diretto da Trevis Knight, che sfiora i delicati canoni di Miyazaki e accarezza la spettacolarità di Lucas. In lingua originale, poi, Charlize Theron (Monkey), Ralph Fiennes (Il Re della Luna), Matthew McConaughey (Beetle), Rooney Mara (le Due Sorelle), George Takei e Brenda Vaccaro hanno prestato la voce ai tanti personaggi tra i quali spicca il giovane Art Parkinson, voce di Kubo ma già famoso per aver dato vita al personaggio di Rickon Stark in Game of Thrones. Anche il doppiaggio in italiano è curato con estrema precisione, e la recitazione dei testi è ottima.
Non mancano omaggi dedicati a Toshiro Mifune, al Daymo Date Masumané, a Tomoe Gozen, nonché altre decine di curiosità e cameo.
Con dei numeri e dei nomi così, la leggenda di Kubo per noi ha già avuto inizio.
– Fabrizio Palmieri –
Kubo e la Spada Magica – Recensione
Fabrizio Palmieri
- La trama è accattivante e coinvolgente;
- I personaggi sono coerenti e piacevoli;
- È un epic fantasy a 360°;
- La regia è priva di sbavature;
- Il doppiaggio è ineccepibile;
- La traduzione del titolo è poco aderente all’originale;
- Il film è stato pubblicizzato orientandolo troppo verso un pubblico di giovanissimi;