Che cosa rende un’opera fantasy una produzione di successo? Prendendo in prestito un’espressione di Stephen Erikson, autore della saga high fantasy “Il Libro Malazan dei Caduti“, potremmo dire che uno dei fattori principali in tal senso sia l’equilibrio tra muscoli e cervello: da un lato la componente di intrattenimento (avventura, guerra, mistero…) non può certo mancare, ma un bravo scrittore, per riuscire a distinguersi, deve portare qualcosa in più sulla carta, che si tratti di una trama intricata e coinvolgente, di personaggi complessi e realistici, di un’originale posizione filosofica, o anche solo di una prosa accattivante.
Purtroppo, e nonostante i suoi innegabili pregi, John Gwynne non riesce, con il suo “Ruin – La Lancia di Skald” (Fanucci Editore, 2016), a fare il salto di qualità, consegnando un romanzo, sebbene pregevole nella sua semplicità e linearità, che sembra volersi prendere troppo sul serio, senza tuttavia reggere il confronto con i veri grandi della narrativa contemporanea.
SINOSSI
Le varie sotto-trame riprendono dove le avevamo lasciate al termine di “Valour” più o meno un anno fa. Il giovane Corban, Astro Splendente e avatar del dio del bene Elyon, raccoglie attorno a sé un’armata di umani e giganti che guida attraverso le Terre dell’Esilio, nel tentativo di contrastare i demoni Kadoshim evocati dal malvagio Calidus. Al fianco di quest’ultimo si erge re Nathair, il Sole Nero e campione di Asroth: convinto di essere destinato a diventare un paladino per le forze del bene, deve fare i conti con la rivelazione della propria vera natura e del suo ruolo nel mondo.
Nel regno di Tenebral, Maquin il Vecchio Lupo, fuggito dalle brutali arene gladiatorie dei barbarici Vin Thalun, si ritrova combattuto tra il desiderio di vendetta (per il quale è pronto a sacrificare ogni cosa) e il non desiderato ruolo di protettore della regina Fidele, mentre in Ardan, la giovane regina Edana, con l’ex-brigante Camlin al suo fianco, tenta di assumere il comando della ribellione per strappare il proprio regno dal giogo della spietata Rhin, regina per diritto di conquista di tutto l’Occidente.
Dalla terra dei giganti del Jotunheimr, nell’estremo nord, fino alle Tre Isole del meridione, un cast veramente esagerato (quattordici narratori differenti) assiste e prende parte a scontri e schermaglie: ma sono solo le prime avvisaglie di una guerra che presto avvolgerà tutte le Terre dell’Esilio.
La trama procede, senza grossi sconvolgimenti, sui binari già tracciati dai titoli precedenti della serie, scandita dall’alternanza dei personaggi narranti (un po’ in stile “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, per intenderci) secondo un ritmo che talvolta pare letargico (Gwynne non crede nelle sinossi, né intende scontare ai propri lettori nemmeno un momento del viaggio dei suoi eroi) e un modello interno a tratti ripetitivo, fino a una conclusione che possiamo definire semplicemente… circolare (di più non diciamo, leggetevi il libro!), e che ci lascia in sospeso in attesa della traduzione del quarto volume (“Wrath”).
COMMENTO
Domanda da un milione di dollari: vale la pena di leggere “Ruin”? Sì, a patto che abbiate parecchio tempo, e poco desiderio di investire in trame complesse sul piano intellettuale.
Si tratta di un fantasy classico e tutt’altro che originale, che può risultare fastidioso per il pochissimo impegno messo dall’autore nel creare un mondo e una mitologia propri (“Questo tizio ha tanti demoni dentro di sé, dovremmo trovargli un nome? Nah, chiamiamolo Legione, tanto nessuno legge più la Bibbia. Brilliant!”). Pur trattandosi di difetti veniali, essi risultano tragicamente ingigantiti a fronte dell’eccessiva (ingiustificata?) fiducia che Gwynne sembra nutrire nei confronti della propria opera.
In ogni caso la prosa è semplice, ma efficace, la trama banale, ma sufficientemente accattivante, i personaggi monodimensionali, ma abbastanza coinvolgenti: con un po’ più di umiltà (e, probabilmente, un migliaio di pagine in meno) ci troveremmo di fronte a un lavoro più apprezzabile. Stando così le cose, invece, ci si ritrova di fronte a una serie di mattoni (parliamo di ottocento pagine circa a libro) che scadono fin troppo facilmente nel riempitivo e nel gratuitamente violento per sopperire a quelle che paiono delle manchevolezze di base.
L’impressione che si ha leggendo è quella di un insieme di persone (o meglio di cloni, visto che i soli tre tratti caratteriali cui Gwynne sembra riuscire a pensare sono: sa combattere, è buono/malvagio, è furbo/stupido) impegnate a rincorrersi da un capo all’altro della mappa, perseguendo degli scopi non meglio precisati, capitolando da uno scontro all’altro (da una fotocopia di duello all’altra: ma non ne vogliamo troppo all’autore, esiste un numero finito di modi in cui si può descrivere una spada che trafigge qualcuno), senza lasciare alcun segno sul mondo che li circonda. In generale, i nessi causali sono abbastanza trascurati: abbiamo dei sovrani crudeli che squartano, rapiscono, e torturano i propri vassalli e questi… non reagiscono; si combattono battaglie e si iniziano assedi e… al termine siamo esattamente al punto di partenza, con i buoni in fuga verso qualche altro esercito/fortezza che sappiamo perderà/cadrà a seguito di qualche “inaspettato” colpo di scena.
Stentiamo, in conclusione, a definire “Ruin” un’occasione mancata, poiché Gwynne pare essersi avventurato comunque da tempo in un terreno che non fa esattamente per lui: se avete già letto i titoli precedenti, non esitate a proseguire, e anche per gli altri potrebbe riservare qualche sorpresa – a patto, beninteso, di non nutrire eccessive aspettative.
– Federico Brajda –
‘Ruin – La Lancia di Skald’ di J. Gwynne – Recensione
Federico Brajda
- Tra duelli mortali e battaglie disperate, l'opera saprà placare la sete di sangue anche dei lettori più barbarici;
- Il fascino nordico, celtico e vichingo delle Terre dell’Esilio ci viene riconsegnato assolutamente inalterato;
- Nonostante le dimensioni, si presta a una lettura leggera e poco impegnata;
- Talvolta si desidera poter saltare le pagine di descrizione della vita dei personaggi fino al successivo combattimento;
- Personaggi poco ispirati, in particolar modo gli antagonisti;
- A tratti piuttosto ripetitivo;