Il mio ultimo incontro con l’horror cinematografico risale a “The Visit”, lungometraggio che, forse anche a causa di una serie di preconcetti legati al suo regista, non ho potuto che apprezzare. Rincuorato da questa esperienza inaspettatamente positiva, la mia attenzione si è mossa alla ricerca di nuovo materiale da fagocitare incappando velocemente nei primi trailer di “The Boy”. Nello scoprire che la regia fosse affidata a William Brent Bell, poi, ogni esitazione ha ceduto e una purpurea poltrona vellutata ha incontrato il calore dei miei glutei.
Sono consapevole che molti non avranno mai sentito parlare di Bell, ma il suo “Stay Alive” ha fatto leva sul mio lato nerd/trash unendo le storie vampiresche della contessa Bathory con l’idea di un videogame horror in grado di uccidere macabramente chi vi dovesse giocare. Ovviamente non si trattava di un bel film: aveva scelte di regia discutibili, un pesante product placement, e una trama tutt’altro che seria. Era un film pensato quasi esclusivamente per i gamers che, nella sua consapevolezza, giocava e ammiccava, divenendo un caposaldo dei miei piaceri peccaminosi.
“The Boy” si sveste, forse giustamente, di questo brio folle e consapevole, puntando piuttosto su un approccio gotico che grida disperatamente per entrare nei nostri incubi. L’unica scintilla che riflette l’indole passata è la presenza estremamente reclamizzata di Lauren Cohan, attrice nel cuore di molti grazie alla sua interpretazione di Maggie Greene in The Walking Dead.
Greta (Lauren Cohan), reduce da un rapporto tormentato, abbandona la sua dimora per accettare un lavoro di badante nella remota campagna britannica. Accolta garbatamente dai senili coniugi Hellshire, la ragazza viene introdotta alle numerose regole domestiche e, infine, a un bambolotto che i due riconoscono come il proprio figlio, Brahms. Dopo un primo istante di incredulità, Greta scopre, grazie al garzone Malcolm (Rupert Evans), la tragica storia che ha privato i due anziani del loro vero figlio e, complice anche un lauto stipendio, accetta la situazione quale bizzarria innocua, decidendo di rimanere ad accudire l’immoto involucro di porcellana.
Una volta allontanatisi gli Hellshire, tuttavia, la neoassunta tata abbandona la disturbata routine per dedicarsi alla lettura, al prosciugare le cantine della magione e alla vita mondana, inconsapevole del fatto che la sua negligenza stia effettivamente scontentando il suo accudito. Brahms si manifesta inizialmente con piccole marachelle, ma si impone con un crescendo graduale fino a quando Greta, sempre più vicina al tracollo mentale, ne sente la voce e decide di assecondarlo in attesa del ritorno dei genitori.
Partiamo, per una volta, col parlare dei tecnicismi. Questo William Brent Bell si dimostra un regista maturato: certo, non siamo di fronte a scelte direzionali audaci o di rottura, ma la fotografia e i movimenti di camera dimostrano una certa raffinatezza nella loro impostazione tradizionalista. La sua presenza, nel bene e nel male, si è attenuata, ma ciò ha reso possibile concentrarsi sulle palpabili atmosfere, cupe e opprimenti, regalate al pubblico dalla pellicola. Il grande punto di forza di “The Boy“, in effetti, è proprio il setting opulento che, accompagnato da un ritmo lento e stagnante, ottiene spessore e credibilità.
Purtroppo i lati spiccatamente positivi della pellicola sembrano essere stati descritti tutti. La recitazione è delegata quasi interamente ad attori televisivi che, pur impegnandosi, non sono in grado di rendere memorabili le loro performance, fiaccati parzialmente da un copione che fa di tutto per rendere banali e noiosi i pochissimi protagonisti di cui si fregia. Se la presenza umana è senza infamia né gloria, in effetti, la struttura narrativa risulta essere quantomai dozzinale.
I vecchi Hellshire e i loro sbalzi tra lucidità e follia sono diamanti grezzi di una struttura che non sa come sfruttarli, esiliandoli dal girato nel giro dei primi minuti di trama. Restano una poco empatica Greta e un Brahms inanimato che inizia a suscitare – brevemente – vero interesse solamente da metà pellicola. Stacey Menear, autore del testo, pare essere timoroso di come l’ignoto possa incidere sul suo pubblico, e sente la necessità di fornire costantemente risposte definitive, corrette o depistanti che siano, diradando la nebbia dell’incertezza e andando a minare l’essenza stessa dell’horror: la potenza dell’ignoto.
“The Boy” cerca evidentemente di divincolarsi in uno spazio stretto ricavatosi tra spiritismo gotico, thriller e terrore psicologico, sforzandosi al massimo per fuggire dal misero destino che tocca alle pellicole dell’orrore di serie B. Per molti aspetti ricorda “The Others”, ma la sua incapacità nel creare dubbi nello spettatore lo banalizza a un continuo, lento, alternarsi di colpi di scena poco convincenti, toccando l’apice nel finale che, oltre a rivoluzionare le dinamiche di tensione, ridicolizza retrovalentemente quanto vissuto nei primi due atti.
– Walter Ferri –
“The Boy”: la recensione
Isola Illyon
- atmosfera evocativa;
- buona regia;
- trama banale, con un finale che peggiora soltanto la situazione;
- tante potenzialità inespresse;