È terminata la seconda edizione dei The Game Awards, premiazione videoludica figlia illegittima di quel che fu il longevo VGX, e finalmente, ora che sono noti i nomi dei vincitori, possiamo spettegolare amabilmente sottolineando le numerosissime batoste incassate dai titoli che erano dati per favoriti o che bulleggiano il mercato da anni. In effetti, considerando i risultati, quasi soffro sensi di colpa a infierire su alcuni nomi… mi sento un po’ come la signora Greta, la vecchietta del sesto piano che continua a rinfacciare la vicina, rea di non averle dato ascolto quando l’aveva avvisata di non sposare quel mascalzone che poi è fuggito con l’amante brasiliana. Ho detto “quasi”, però, e se Greta può sparare sulla croce rossa, allora lo posso fare anche io… non sarò mica da meno di quella vegliarda!
Ad uscire dalla sabbia dell’arena con il maggior numero di trofei sono certamente The Witcher 3 e tutti gli sviluppatori di CD Projekt Red. Fino a pochi anni fa erano solamente un gruppo di smargiassi con il sogno di tradurre in videogame dei libri slavi, il tutto con mezzi al limite dell’indipendente. Pare un miracolo che la saga degli strighi non abbia fatto la misera fine del Two Worlds di Reality Pump Studios, soprattutto se si considera che la letteratura dei paesi dell’est veniva solitamente considerata tutt’altro che pregna di adrenalina. Eppure ecco questo giovane team che supera tutti accaparrandosi il titolo di gioco dell’anno, sviluppatore dell’anno e gioco di ruolo dell’anno, sfoggiando un elegantissimo (quanto metaforico) dito medio a Konami e Bethesda.
A proposito di Konami… non sarà sfuggito ai più arguti che ultimamente sia uscito un certo Metal Gear Solid V, titolo che, tutto sommato, si è accattivato un paio di premi (miglior gioco d’avventura e miglior colonna sonora). Si è trattato del canto del cigno di uno dei più celebri game designer che il Giappone ha da offrire, ed è stato in lavorazione per anni, ma alla fine l’esperienza di gioco ha lasciato l’amaro in bocca a un nutrito numero di fan, e l’unico modo che ha avuto per ottenere un premio prestigioso è stato quello di trovarsi in un angolo ben lontano dall’onnipotente Geralt di Rivia e dal pericoloso Bloodborne. Se tutto ciò non bastasse, Konami ha saputo lasciare il suo inconfondibile marchio impedendo per vie legali a Hideo Kojima di presenziare all’evento, dettaglio che si è meritato l’imbarazzo del presentatore Geoff Keighley e diversi ululati dall’ormai disilluso pubblico.
Un terzo titolo che si è meritato gli onori e la gloria è stato Splatoon, un videogame Nintendo in cui delle seppie antropomorfe mutanti dominano un mondo post-apocalittico e si fanno battaglia con fucili caricati ad inchiostro inquietantemente denso e aderente. La premiazione di questo gioco dalle tinte cartoonesche ha del miracoloso sia perché ha banchettato sui cadaveri di Call of Duty, Halo, Destiny e Star Wars: Battlefront per guadagnarsi il riconoscimento di miglior sparatutto, sia perché è stato identificato come miglior multiplayer pur girando su una console non particolarmente brillante nel campo dell’online. Sarò sincero, non saprei dire se questi meriti siano concreti o se la scelta dei giudici sia da considerarsi provocatoria. Certo, io la appoggio, ma è anche vero che i diretti avversari non hanno mai saputo attirare o mantenere la mia attenzione – forse non sono la misura più obiettiva per vagliare la situazione. Una piccola parte di me è convinta che Splatoon si sia meritato i voti solamente sulla fiducia, perché nuovo e originale… un po’ come quando hanno dato il nobel per la pace a Obama.
Su un secondo piano, ma caratterizzato da un sorprendente successo, è l’ormai noto Rocket League che, con la sua stramboide premessa di accostare il gioco del calcio alle gare automobilistiche arcade, ha primeggiato sui titoli sportivi (umiliando FIFA, PES e Forza Motorsport) e si è portato a casa anche il premio di miglior titolo indipendente, rendendo fieri i suoi genitori. Pensando all’agonismo la mente corre ai vari MOBA e alle loro mega partite in mondo-visione e, infatti, tra le nomination per “miglior e-sport” possiamo notare DotA 2 e League of Legends. A sorpresa, tuttavia, nessuno di questi titoli “di moda” è riuscito a scalzare dal podio il venerando e persistente Counter-strike, pur dovendo ammettere che, giudicando dai premi messi in palio per i diversi tornei, questo si trova assoggettato dalla popolarità dell’agguerrita concorrenza.
La più grande soddisfazione della serata? Greg Miller è stato incoronato come “gamer che crea tendenza” per eccellenza, cacciando via a calcioni personaggi quali il rumoroso Markiplier o il sopravvalutatissimo PewDiePie! La signora Greta suggerisce che la scelta sia stata influenzata dal fatto che Greg, ex giornalista di IGN, si sia ingraziato il pubblico con il suo talento editoriale, più che con l’effettiva capacità di lobotomizzare mandrie di seguaci incapaci di avere spirito critico e pensiero autonomo, ma al diavolo! Scommetto che PewDiePie sia rannicchiato a piangere tra le borse e borse di denaro contante, asciugandosi le lacrime con i corposissimi assegni che gli passa YouTube per ringraziarlo delle visite che smuove… oppure con gli incassi derivanti dal suo libro best seller… oppure con gli spicci racimolati dal videogame a lui dedicato.
–Walter Ferri–