Con la seconda parte di ‘Hunger Games: Il Canto della Rivolta’, approdata nei cinema di tutto il mondo il 19 novembre, si conclude l’esperienza della trasposizione cinematografica dei romanzi young adult dal taglio distopico scritti da Suzanne Collins. Come suggerisce lo stesso titolo del film (‘Mockinjay’, vale a dire “Ghiandaia Imitatrice”, nella versione originale), questa quarta pellicola della tetralogia coincide all’incirca con la seconda metà dell’omonimo romanzo, in ossequio alla tradizione hollywoodiana di spezzettare in quante più parti possibile la conclusione di una saga. Il che, se per tomi di una certa densità può avere un suo perché (come nel caso di ‘Harry Potter e i Doni della Morte’), a fronte di romanzi assai più snelli (penso appunto alle 400 pagine circa de ‘Il Canto della Rivolta’) appare nulla più che un’abile mossa commerciale che sacrifica il ritmo del film sull’altare degli incassi. Levato questo sassolino dalla scarpa, diamo i consueti avvisi anti-spoiler e procediamo con la recensione.
DISCLAIMER: il presente articolo contiene leggerissimi SPOILER, almeno quelli indispensabili per la comprensione dell’argomento trattato. Se non avete ancora visto il film o letto il libro dal quale è tratto, procedete a vostro rischio e pericolo. Ci sono comunque meno trappole qui che nella periferia di Capitol City, se vi può consolare.
Per cominciare, diamo un accenno della trama. Katniss (Jennifer Lawrence, splendida come sempre anche nei panni un po’ tetri del Distretto Tredici) continua a combattere contro Capitol City e il vecchio modello di Panem ma, essendo ormai diventata un simbolo della rivolta. si trova ad essere sempre più prigioniera dell’offensiva mediatica organizzata dalla Presidente dei ribelli, Alma Coin (Julianne Moore). La rivolta è ormai al culmine, il prossimo obiettivo è conquistare la capitale, ma il Presidente Snow (il sempre intenso Donald Sutherland) ha predisposto una serie di trappole da strateghi per rallentare l’avanzata dei ribelli.
“SIGNORE E SIGNORI, BENVENUTI AI SETTANTASEIESIMI HUNGER GAMES!”
Il problema principale de ‘Il Canto della Rivolta’ è una generale lentezza del ritmo narrativo, ma la colpa non è solo dell’infelice scelta di allungare strumentalmente la durata del film, diluendo la già poca azione presente nel libro in oltre quattro ore complessive di girato. All’origine c’è proprio la trama del romanzo, alla quale questa seconda parte (in particolare, per quanto qui ci interessa) si mantiene eccezionalmente fedele: a differenza delle prime due storie, incentrate sulla lotta per restare in vita all’interno dell’arena e dunque intrise fino al midollo di azione, nel terzo libro gli intrighi si fanno paradossalmente più striscianti – il che non significa che siano assenti, anzi! – e il focus del racconto si sposta sulla vita di Katniss Everdeen come Ghiandaia Imitatrice, vale a dire come megafono mediatico del progressivo trionfo delle forze ribelli del Distretto Tredici e degli altri Distretti riuniti. Divenuta un mero strumento di propaganda, Katniss viene di fatto tenuta lontano dalla vera azione per quasi due terzi della narrazione, e soltanto le sue scelte sconsiderate da tardo-adolescente in rivolta la portano a mettersi in pericolo laddove, in teoria, pericolo non ce n’è.
Questo è l’altro problema di ‘Mockinjay’ e della sua controparte cinematografica: Katniss. Nei primi due libri (e/o film) era una fiera ragazza di periferia che si ribellava contro il sistema perverso eretto da Capitol City e dal perfido Presidente Snow. Ne ‘Il Canto della Rivolta’ la cosa le sfugge un po’ di mano: Katniss si ribella contro tutto e contro tutti, manifestando tendenze suicide e finendo in ospedale, tra la prima parte e questa seconda, un numero incalcolabile di volte. Va bene il disturbo post traumatico da stress, ma a un certo punto si fa fatica ad essere solidali con una protagonista che prende decisioni talmente cretine. Non parliamo poi del versante amoroso, con questo triangolo della friendzone a corrente alternata fra lei, Peeta e Gale – che almeno in questo film giungerà ad una soluzione.
Per quanto concerne gli aspetti positivi, non posso esimermi dal plaudere alla fedeltà al romanzo (al netto della già criticata lentezza), nota di merito in una temperie culturale in cui il materiale originale pare solo uno spunto da saccheggiare per poi produrre materiale completamente diverso (se siete appassionati sia di ‘Game of Thrones’ che dei romanzi di Martin, non faticherete a capire di cosa sto parlando). C’è anche da dire che, a differenza del precedente film (decisamente più monocorde), ‘Il Canto della Rivolta – Parte 2’ conosce un’impennata del ritmo dalla metà ai tre quarti, con scene davvero concitate ed effetti speciali solidi e convincenti (ricca di pathos la scena delle fognature, da brividi!), fino a toccare il climax nella celebre scena dei paracadute-trappola.
La cosa curiosa è che, da quel momento in poi, l’ultimo quarto del film è totalmente anticlimatico: il ritmo riprende a calare, fino a cristallizzarsi del tutto nell’idillio finale, che sa un po’ di “… e vissero tutti felici e contenti”. Anche qui, si tratta di una scelta precisa del romanzo, fedelmente riproposta dal film che, a seconda dei gusti, sarà apprezzabile o meno. A me, personalmente, non ha fatto impazzire. Certo è che si tratta di un finale decisamente “classico”.
In ultimo, si conferma la bontà delle scelte del casting: Jennifer Lawrence, pur nel suo colpo di coda di ribellismo tardo-adolescenziale (l’attrice ha ormai 25 anni, anche se riesce efficacemente a mostrarne di meno), è – semplicemente è – Katniss Everdeen: penso che per chiunque abbia visto i film sia impossibile immaginare diversamente la protagonista della serie. Peeta Mellark (Josh Hutcherson) e Gale (Liam Hemsworth) risultano piuttosto sacrificati in questa seconda parte, così come il Presidente Snow interpretato da Donald Sutherland, che però brilla nel finale, regalandoci un personaggio più ambiguo e sfaccettato di quanto potesse apparire nelle pellicole precedenti. Brava ed intensa la giovanissima Willow Shields, classe 2000, interprete della piccola Prim, catalizzatore degli affetti familiari della Ghiandaia Imitatrice. La migliore interprete de ‘Il Canto della Rivolta – Parte 2’, però, è a mio giudizio Julianne Moore, perfettamente calata nei panni di una donna di potere profondamente ambigua e determinata. Menzione d’onore per il compianto Philip Seymour Hoffman, morto (presumibilmente per overdose) il 2 febbraio 2014: il suo Plutarch Heavensbee è un personaggio sempre discreto e posato, sempre lontano dagli eccessi, che forse proprio per questo riesce a passare indenne da un lato all’altro della barricata. Ricordiamo anche la presenza di due attrici britanniche, celebri per la loro partecipazione alla serie HBO ‘Game of Thrones’: Gwendoline Christie (nota per il ruolo di Brienne di Tarth, qui compare incidentalmente come Comandante Lyme) e Nathalie Dormer (Margaery Tyrell in GoT, Cressida in ‘Hunger Games’); entrambe, purtroppo, hanno in questo caso ben poco spazio e, pur nella loro innegabile bravura, non riescono a distinguersi in maniera memorabile.
In conclusione, possiamo dire che ‘Il Canto della Rivolta – Parte 2’ chiude in maniera coerente e degna l’epopea di Katniss Everdeen attraverso la crudele prova dei “Giochi della fame”, regalando momenti memorabili, scene concitate e riuscendo anche, di quando in quando, a commuovere la platea. Non sarà certo il film del decennio, ma nel complesso la valutazione non può che essere positiva: siete pronti per il nostro giudizio finale?
– Stefano Marras –
Hunger Games: Il Canto della Rivolta – Parte 2: recensione
Isola Illyon
- Fedeltà pressoché assoluta al romanzo da cui il film è tratto;
- Cast composito e perfetto, nel quale brilla Julianne Moore nei panni del Presidente Alma Coin;
- Azione concentrata nel finale, con scene concitate davvero efficaci;
- Effetti speciali ben realizzati;
- Un degno finale per la saga;
- Il materiale originale, di per sé, ha un ritmo molto lento, il che si riflette inevitabilmente su quello della pellicola;
- Katniss prende spesso decisioni stupide, e si fatica quasi sempre ad essere solidali con lei;
- Finale (volutamente) anticlimatico;