I role-player, si sa, sono tutti per una parte avventurieri, per una parte psicotici piromani che “stanno solo giocando il proprio allineamento”, e per diverse parti attori dilettanti. Pensateci bene: lo scopo del gioco non è forse quello di interpretare una gloriosa sceneggiatura di duelli all’ultimo sangue e atti incredibili di eroismo (o anti-eroismo), con effetti speciali e coreografie al pari dei quali mai ne vedremo sul grande schermo?
La maggior parte di noi è costretta, ahimè, a rimanere per sempre nel campo dell’amatoriale, ma vi sono anche le eccezioni: giocatori e Master talmente abili, o fortunati, o benedetti dagli dei, da riuscire a trasformare le proprie sessioni in qualcosa che anche il resto del mondo riconoscerebbe come “arte”.
Come altro definire la carriera di Vin Diesel, uno degli attori d’azione contemporanei più iconici sia per la propria “robusta” presenza scenica che per lo spirito nerdistico senza pari? Carriera che, ricordiamolo, lo scorso 23 ottobre lo ha visto tornare in scena con “The Last Witch Hunter – L’ultimo cacciatore di streghe” (regia di Breck Eisner), in quella che non posso definire in altro modo se non una sessione di 106 minuti con un party composto da Riddick, Ygritte e Frodo Baggins.
E se anche la critica non ne ha apprezzato lo spirito, poco importa. E se anche la maledizione che pare colpire ogni singola opera cinematografica inerente a D&D (unica eccezione “The Gamers: Dorkness Rising”) ha esercitato il proprio malefico influsso, noi non ce ne curiamo. Ciò che veramente scalda il cuore agli appassionati è ben altro: è la consapevolezza che la sceneggiatura di Cory Goodman sia stata pesantemente influenza dalle avventure vissute da Vin Diesel con il proprio cacciatore di streghe giocando davvero a Dungeons & Dragons.
Che l’attore (al secolo Mark Sinclair, noto anche come Melkor nei circoli giusti – ossia, quelli dove si gioca di ruolo) nutra una passione smisurata per l’opus magna di Gary Gigax è uno dei segreti peggio conservati di Hollywood. L’interprete di Groot e Dom Toretto è noto a tutti per l’estrema disponibilità ad affrontare l’argomento in interviste, disponibilità che negli anni si estesa allo scrivere l’introduzione al libro commemorativo dei trent’anni di storia di D&D (“30 Years of Adventures”, edito dalla Wizards of the Coast, nessuna traduzione italiana conosciuta), oltreché a prestarsi all’occasionale sessione in collaborazione con il sito nerdistico di turno (sì, il risultato è epico quanto sembra).
Certo, i suoi personaggi del grande schermo danno l’impressione di essere più disposti a bruciare un manuale di D&D e fare un solo boccone del proprietario (o viceversa) che ad aprire il primo per unirsi al secondo in qualche ora di spensierato delirio ruolistico: ma in questo caso a parlare è l’infondato stereotipo del nerd gracile e brufoloso (o meglio, il suo esatto contrario). Oltre ad essere una persona descritta come estremamente gentile e pacata, l’attore ha anche a più riprese ribadito l’importanza del gioco di ruolo nella propria esperienza personale e professionale.
La sua passione per il GdR ha, infatti, origini antichissime, risalenti dalla Seconda Edizione, quando per il giovane Vin, cresciuto fin da subito a stretto contatto con il mondo dell’arte, e i suoi compagni nulla rivaleggiava con le infinite possibilità creative che Dungeons & Dragons offriva. Non è dunque difficile immaginarsi quanto le sessioni di gioco consumatesi al The Complete Strategist (arcano altare al nerdeggiamento del Greenwich Village di New York dove si compì il suo battesimo ruolistico) siano state importanti nell’avviare i primi passi lungo quella strada che lo avrebbe portato a realizzare la massima aspirazione di ogni giocatore di ruolo: essere pagato per dedicarsi al proprio hobby preferito con 90 milioni di dollari per allestire la campagna (l’avere Elijah Wood e Rose Leslie obbligati contrattualmente a trascorrere diverse ore al giorno con te conta come seconda massima aspirazione, quindi sono propensi a considerare l’intera vicenda un doppio win per il signor Diesel).
Il suo interesse, poi, risulta tutt’altro che limitato al mondo dei giochi di ruolo: gli amanti dei videogames sicuramente ricorderanno con affetto “The Chronicles of Riddick: Escape from Butcher Bay”, considerato tra i migliori titoli stealth per console. I più attenti tra loro forse si ricorderanno che, tra gli sviluppatori del gioco, accanto alla Starbreeze, figurava una certa Tigon Studios, casa di produzione specializzata in titoli aventi come protagonisti personaggi interpretati da Vin Diesel o decisamente assomiglianti a personaggi interpretati da Vin Diesel. Questo accanimento nei confronti di tale specifico soggetto trova rapida spiegazione nell’identità del fondatore dello studio: ebbene sì, l’uomo talmente tosto da aver ispirato la moda cybernautica dei Fatti su Chuck Norris (già, in origine erano Fatti su Vin Diesel) sembra proprio essere anche il primo ad aver detto, “Al diavolo, se nessuno vuole fare un videogioco decente sui miei film, allora fonderò una software house tutta mia!”.
Che dunque la carriera del role-player più famoso al mondo (secondo solo al compianto Robin Williams) sia d’esempio per voi lettori, giovani e meno giovani: non lasciate che i vostri amici amanti del calcio che vogliono giocare in nazionale e che i lettori di fantascienza che sognano di diventare astronauti vi deridano perché il vostro desiderio di combattere draghi mostruosi e stregoni malvagi non si avvererà mai. Sappiate che là fuori c’è qualcuno che vedeva il mondo con i vostri stessi occhi, e che grazie al proprio talento è riuscito a trasformare la propria visione in realtà. E se proprio dovessero andare avanti a prendervi in giro, allora lasciate un messaggio al vostro collega di hobby Vin: chissà che non passi un giorno a tenervi compagnia per una sessione (o a spezzare in due i vostri nemici a mani nude). Che il suo esempio vi ricordi sempre: “stay hungry, stay nerdy”.
– Federico Brajda –