Negli ultimi anni, pare che Hollywood si sia convinta, per qualche oscura ragione, che i film degli anni ottanta non debbano restare dove stanno di solito (negli anni ottanta e negli offuscati ricordi di qualche simpatico cinquantenne), e che riportarli in auge sia pressoché un imperativo morale. Purtroppo, spesso il risultato di tale convinzione è un’esperienza non molto dissimile da un’apocalisse zombie: sulle prime può anche farci piacere l’idea di rivedere una vecchia conoscenza che credevamo morta e sepolta, ma dopo pochi minuti a contatto con un simile abominio, l’istinto è quello di prendere un fucile a pompa e risolvere la cosa alla maniera degli anni ottanta (con esplosioni di sangue e violenza PG-13).
Per questa ragione, con l’approssimarsi del 15 luglio 2016, i fan e i nerd di tutto il mondo hanno iniziato a lucidare gli altari e studiare i rituali ad Hashtur e Gozer (o qualsiasi altra divinità desueta e/o pre-sumerica voialtri lettori adoriate), pregando che il nuovo film “Ghostbusters”, per la regia di Paul Feig, segua l’esempio di “Mad Max: Fury Road” anziché fare la fine di “Terminator: Genisys”. Personalmente, non nutro particolare fiducia in tal senso (principalmente perché nessuna delle menti coinvolte nel processo di produzione sembra rendersi conto del motivo per cui il primo “Ghostbusters” sia stato un film di successo), ma nemmeno il mio freddo e atrofizzato cuore nero può trattenere un fremito di gioia di fronte alle notizie provenienti dal set: chiaramente non sto parlando della prospettiva di un Chris Hemsworth declassato da Dio del Tuono a sexy segretaria, ma della partecipazione di Bill Murray, uno dei comici più talentuosi della storia del cinema contemporaneo, nonché una delle tre ragioni fondamentali per cui, a trent’anni dalla loro uscita, ancora si parla di Acchiappafantasmi.
Il buon Murray, che probabilmente meriterebbe il titolo di “Most Awesome Man Alive” per una lunga serie di ragioni (non ultima l’aver personificato la volontà collettiva dell’internet nel provarci con Scarlett Johansson a Tokyo in “Lost in Translation”) sembra infatti avere temporaneamente interrotto la sua errabonda esistenza di giocatore di golf, proprietario di squadra di baseball, e imbucato a feste cronico per prendere parte alle riprese della terza incarnazione del celebre franchise, non nei panni del suo personaggio preferito, il dottor Peter Venkman, bensì in quelli (sulla base delle informazioni trapelate) di uno scettico figuro determinato a esporre le presunte truffe del nuovo team di Acchiappafantasmi al femminile. Ciò solleva non poche questioni, soprattutto inerenti al ferreo rifiuto precedentemente opposto da Murray a qualsiasi ritorno sull’argomento “Ghostbusters”: a farlo smuovere sembra essere stato il timore che una sua mancata partecipazione sarebbe apparsa come una critica al nuovo cast, e in particolare a Kristen Wiig e Melissa McCarthy, le due protagoniste, da lui invece fortemente sostenute.
Il dubbio principale a riguardo rimane comunque la capacità di Feig e del nuovo cast di reggere il confronto con il (capo)lavoro di Ivan Reitman (regista dei primi due film della serie) e soprattutto delle tre leggende della comicità riunite in occasione del “Ghostbusters” dell’85: Dan Aykroyd (creatore e interprete dei “Blues Brothers”), il compianto Harold Ramis, e Murray stesso.
I fan dell’attore hanno tuttavia ulteriori motivi per gioire: esiste la possibilità in un futuro non troppo lontano di ritrovarlo in una serie di film che saremo obbligati per statuto ad andare a vedere. Lo scorso luglio, infatti, Murray ha fatto un salto al Comic-Con di San Diego presentando il suo nuovo film, “Rock the Kasbah”, in arrivo ad ottobre per la regia di Barry Levinson. Tra le varie domande rivoltegli per l’occasione non sono mancati gli interrogativi sulla sua carriera futura, alle quali l’attore ha risposto affermando di stare preparandosi a suon di pilates sperando in una parte nel nuovo spin-off di Star Wars incentrato sulla figura di Han Solo, pellicola confermata da starwars.com per il 2018, con la regia di Chris Miller e Phil Lord (il fatto che Murray, nel corso dello stesso intervento, abbia espresso apprezzamento per il lavoro di Miley Cyrus, getta una luce dubbia sulla veridicità di qualsiasi sua affermazione nel corso dello stesso, ma tant’è).
Non si tratterebbe della prima volta che la strada del comico incrocia quella di Guerre Stellari: già agli albori della saga (e della propria carriera), nel remoto 1977, pare fosse stato preso in considerazione per la parte dello stesso Solo. Considerando che ormai da tre decadi il contrabbandiere fa a pugni con Indiana Jones e Rick Deckard per il titolo di ruolo più iconico di Harrison Ford, è veramente difficile immaginarsi chiunque altro darne un’interpretazione differente, e in particolare la versione cinica e umoristica che (presumibilmente) Murray avrebbe sfoggiato.
Ancor più complesso risulterà forse pensare al dottor Venkman nel ruolo di Batman, soprattutto per noi dell’era di Christian Bale, Ben Affleck e del dark & gritty in stile Nolan: ma pare che nell’89, un Murray già affermato e consacrato proprio dal primo “Ghostbusters” fosse in lizza per la rivisitazione del Cavaliere Oscuro operata da Tim Burton, scelta che alla fine sarebbe ricaduta su Michael Keaton. Certo, quelli erano altri tempi, con la serie televisiva anni ’60 decisamente sopra le righe (c’è un motivo se ancora adesso Adam West è considerato materiale da battute per I Griffin e I Simpson) ben in mente a tutti: considerato però che il Batman dell’89 diede inizio a una serie di eventi che avrebbero portato Joel Schumacher a dirigere “Batman Forever” (1995) e l’obbrobrio noto come “Batman & Robin” (1997), possiamo forse rallegrarci di non poter associare, nemmeno alla lontana, l’immagine positiva che abbiamo di Bill Murray alla saga.
Indubbiamente si tratta di titoli che avrebbero giovato alla carriera dell’attore, carriera che fin troppo spesso lo ha visto intrappolato in uno stereotipo di personaggio e in un genere, concedendogli ben poca libertà di manovra sui temi più drammatici, come dimostrato dal flop commerciale de “Il Filo del Rasoio” (1984, regia di John Byrum, ispirato all’omonimo libro di W. Somerset Maugham), in seguito al quale Murray interruppe per ben quattro anni l’attività recitatoria.
Il successo, negli ultimi anni, in ruoli più impegnati vale fino a un certo punto come rivalsa per un attore completo e talentuoso, che forse ha pagato troppo lo scotto dell’eccellenza in un genere, e l’iscrizione nella mentalità collettiva a vero e proprio mito con la propria opera (prima).
– Federico Brajda –