C’è un che di strano nel mondo dei giochi di ruolo. E chi chiamerai? Ovviamente i Ghostbusters e i loro manuali vecchi di due decadi.
Se non siete familiari con i Ghostbusters è facile abbiate speso molti dei vostri anni rinchiusi in una caverna a studiare le ombre proiettate dalle Idee sulle superfici rocciose, mi sento pertanto obbligato a illuminarvi sui tratti essenziali della questione. Nata da un’idea di Dan Aykroyd, Ghostbusters è una commedia cinematografica – seppure originariamente fosse stata ideata come uno sci-fi cupo e dalle tinte amare -, la cui trama si incentra sull’avventura/disavventura di tre scapestrati scienziati interessati alla parapsicologia e al paranormale. Banditi dall’università che li finanziava perché poco proficui e produttivi nelle loro ricerche – gli statunitensi si aspettano risultati concreti da qualsiasi campo di studio, decapitazione degli scarafaggi compresa – si trovano a fare affidamento sulle loro personali risorse per potersi reinventare e dare il via a un nuovo mestiere: quello degli acchiappa-fantasmi. Il progetto riesce a svilupparsi oltre ogni previsione, divenendo un fenomeno sociale e culturale, da li a breve si unisce a loro il quarto essenziale componente del gruppo. Il lungometraggio raggiunge il suo climax con l’avvento di una divinità extra-planare il cui hobby è sterminare le civiltà assumendo forme onnipotenti plasmate dall’immaginazione delle vittime stesse. Il secondo capitolo della saga riprende la vicenda a distanza di qualche anno, con i Ghostbusters caduti in disgrazia che, in mancanza di altri spiriti da catturare, si ritrovano ad intrattenere i bambini durante le feste di compleanno. Nonostante problemi e dissapori, gli eroi sono nuovamente costretti a rimboccarsi le maniche per fronteggiare la minaccia di un dipinto indemoniato dal carattere difficile… Si, il secondo film è notoriamente meno di intrattenimento. Queste sono le basi e, se qualcuno ve lo domandasse, sappiate che il personaggio migliore è Egon Spengler, interpretato da Harold Ramis (e non accetto obiezioni dai fan di Bill Murray!).
Negli anni ’80 ogni bambino avrebbe voluto vestire i panni dell’acchiappa-fantasmi: lungometraggi, cartoni animati, merendine, giocattoli marchiati col simbolo del divieto-spettri (marchio di fabbrica del brand) li spingevano a perseguire il sogno di una carriera inesistente o, perlomeno, a sperare in un futuro nel quale avrebbero indossato uno zaino protonico a carica nucleare (in barba alle persone che si lamentano delle radiazioni dei cellulari). Non tenterò di fingere indifferenza o oggettività nel trattare l’argomento, il mondo ha visto la mia genesi in quel periodo e sono stato sedotto al punto che organizzavo quotidianamente scontri tra il mio pupazzo di Stay Puft e il modellino di Capitan Planet e ho imparato ad usare il sistema operativo DoS solo per potere accedere al videogioco del secondo film, subendo i suoi roboanti suoni MIDI. Volevo essere un cacciatore di entità spiritiche e la recente dipartita di Ramis (con tutti i sedicenti aggiornamenti che ne conseguono) hanno risvegliato questa mia passione. Ecco quindi che ho esplorato l’oblio del passato e, dopo aver bocciato l’idea di costruire repliche degli accessori di scena, ho riscoperto Ghostbusters: A Frightfully Cheerful Roleplaying Game, gioco di ruolo ufficiale dei celebri cacciatori di fantasmi.
Edito nel 1984 dalla WestCoast, il titolo si propone – come si evince anche dal nome – come un GdR agile e con risvolti umoristici, adatto a chiunque. Nota come una delle uscite maggiormente sottovalutate della storia ludica e fregiata di essere la prima a introdurre la “dice pool” (sistema che arbitra il lancio dei dadi, oggi sfruttato dalla maggior parte dei giochi di ruolo), ha subito catturato la mia attenzione, spingendomi ad arruolare cavie.. ehm.. amici con cui condividere l’esperienza. Secondo il manuale, successivamente agli accadimenti del primo film (anche perché il secondo era all’epoca lungi dall’essere completato), i Ghostbusters si sono allargati in un franchising mondiale noto come Ghostbusters Inc. – gestito dal pedante burocrate Louis Tully – nel quale i giocatori si sono appena inseriti, versando ingenti somme per creare una base operativa nella città di preferenza e riducendosi alla povertà più nera. A ogni partecipante vengono assegnate una scheda personaggio decisamente essenziale – 1/6 di un normale foglio A4! – e 12 punti da distribuire nei diversi Tratti: Intelletto, Forza, Movimento e Stile. Bisogna dunque scegliere un Talento (di fatto una specializzazione) per ogni singolo tratto e un Obiettivo che, se assecondati, forniscono significativi bonus, incentivando di fatto a interpretare il carattere del personaggio. Qui si inizia già a gustare la versatilità e il nonsenso che saranno alla base delle partite: Sebbene il manuale fornisca degli esempi indicativi, infatti, è raccomandabile lasciare carta bianca ai partecipanti, spingendoli a spremersi le meningi per trovare personalizzazioni specifiche e inconsuete che colorino il mondo con tenui tinte di follia. Energia vitale e punti esperienza vengono facetamente sostituiti con i meno seriosi Punti Brownie, i quali potranno inoltre essere sacrificati anche per attenuare i risvolti negativi di un’azione fallita o per aumentare le proprie probabilità di successo. L’ossatura del titolo viene quindi strutturata su un sistema d6 nel quale tutti i compiti vengono risolti con un lancio di dadi pari al tratto utilizzato e per i quali è imperativo usare almeno un “Dado Fantasma“. Tale dado altro non è che un normale cubo le cui facce sono numerate da 1 a 5 e che, nella sesta, mostra il logo dei Ghostbusters; al momento del calcolo atto a valutare il successo del tiro, il fantasma non fornisce nessun bonus e, anzi, definisce effetti inattesi o fallimenti critici che vanno a stravolgere gli avvenimenti in atto.
Questo particolare gioco di ruolo richiede da parte di tutti una grande fiducia nei confronti del narratore – Ghostmaster, per essere appropriati – e alla sua capacità di gestire un sistema di turnazione dei combattimenti per nulla regolamentato che si basa sulla democrazia e sul rispetto del prossimo (chiunque abbia un po’ di esperienza potrà garantirvi siano due qualità inversamente proporzionali all’infuriare della battaglia). Sempre nelle mani del master ricade la gestione degli spiriti che, essendo di fatto già morti e solitamente guidati da passioni elementari, avranno un atteggiamento più ferino che logico, interagendo con gli acchiappa-fantasmi guidati esclusivamente da ingenuità e istinto; abbandonato il concetto di punti-ferita, si scopre che gli spettri sono emanazioni extraplanari che attingono le proprie energie dal mondo dell’oltretomba e che, avendo spesso una mente semplice, tendono a sfogare le loro frustrazioni riecheggiando ai peccati che li guidavano in vita. Questo, ovviamente, è un wibbly-wobbly per motivare il funzionamento delle armi di ordinanza – note come Proton-pack – e la loro capacità di creare interferenze planari per indebolire le creature. Anche gli scontri sono atipici rispetto a quanto siamo ormai abituati: A differenza di molti altri giochi di ruolo, la difficoltà non si cela necessariamente nell’affrontare situazioni complicate od ondate interminabili di avversari, ma nel pianificare vere e proprie battute di caccia che permettano di intrappolare le entità paranormali prima che diventino aggressive o, peggio ancora, tentino la fuga, vanificando tutti gli sforzi compiuti dai novelli Ghostbusters e obbligandoli a giustificare gli eventuali danni (diciamo la verità… i danni sono una certezza) causati agli edifici a portata di tiro.
Ghostbusters: A Frightfully Cheerful Roleplaying Game è un titolo degno di menzione che ha, di fatto, ispirato molti dei giochi interpretativi che popolano oggi il mercato e che, con la rivisitazione stampata nel 1989 (Ghostbusters International) è divenuto punto di riferimento e ispirazione per gli sfegatati cosplayer della saga. Consigliato ai più piccoli – se hanno una decente cultura cinematografica -, a chi non ha i 4 giorni necessari a completare una scheda di Pathfinder e, ammettiamolo, a tutti coloro che vogliono rivivere un po’ la propria infanzia e/o tostare qualche aborto di tubero. Siete pronti a (non) incrociare i flussi?
– Walter Ferri –