È una figata. Veloce, esagerato, fracassone, violento, cattivo, spietato, inarrestabile. È moderno, ma retrò al punto giusto. Non perde quelli che erano il cuore e l’anima di Interceptor. Ti afferra per la gola entro i primi 10 minuti, e ti lascia respirare soltanto all’inizio dei titoli di coda.
Recensione finita, tutti a casa.
Potrei davvero interromperla qui – moltissimi nostri colleghi lo hanno fatto –, non facendo altro che ripetere, di continuo, quanto sia “alto” questo prodotto, quanto sia rivoluzionario per il cinema d’azione moderno, quanto George Miller sia un genio e quanto volevamo un Mad Max al massimo del suo crudo splendore. Non so se avete controllato altre recensioni, altri voti: io per curiosità lo faccio sempre, fosse anche solo per brontolare contro chi – secondo me – sbaglia a valutare un prodotto. Beh, nel caso di Mad Max sembra che per una volta siamo tutti unanimi, critici e pubblico, nell’affermare che si merita un gran bel voto. Piovono stelline, insomma: la spasmodica attesa di uno dei film più importanti di questo 2015 è stata degnamente ripagata. La certezza è, però, che Mad Max: Fury Road segnerà il cinema di un certo tipo a lungo, magari entrando nella storia proprio come era stato per Interceptor (il primo film della saga di Mad Max, risalente all’ormai lontano 1979).
Io però non capisco. Da parte di appassionati e pubblico mi aspettavo, come è successo, amore incondizionato. Da parte della critica – quella tale perché si dice “ufficiale”, quella che si veste in completo da sera – mi aspettavo un’analisi più oggettiva e quindi un voto un po’ più basso.
Invece no, mi ritroverò forse l’unica a dire le cose come stanno (nonostante il voto sia comunque molto alto)?
Mad Max: Fury Road è magnifico. La CGI è spettacolare, usata con sapienza e stile. La musica supporta ogni scena con la dovuta carica. Le percussioni fanno da padrone, facendoti tremare le ossa tanto che sono potenti (una manna dal cielo per gli amanti del Metal). Inoltre, seguendo una certa moda che punteggia qui e lì diversi prodotti action, la colonna sonora nasce insieme alla scena e con i personaggi: ecco quindi percussionisti e addirittura un chitarrista che, a bordo di un enorme mezzo corazzato, suonano la marcia che annuncia il passaggio di Immortan Joe, il cattivo della situazione.
Tuttavia il mezzo corazzato dotato di enormi tamburi non è il solo a godere di una caratterizzazione strabiliante: ogni macchina, camion, blindato è unico, personalizzato a seconda del personaggio che lo guida, a partire dal volante e dal cambio, per finire con la carrozzeria e la testata del motore che emerge dal cofano. I paesaggi non sono da meno. Inizialmente sono arrivata in sala con il timore che il deserto sarebbe stato noioso, ripetitivo, onnipresente al limite della nevrosi. In effetti la sabbia non ci lascia mai, c’è in ogni singola scena, ma non viene a noia. C’è unicità anche nelle aree attraverso cui passa la corsa del film, ognuna resa tipica per un singolo aspetto: la poca vegetazione residua della Cittadella, la tempesta di “sabbia e sangue” in cui brillano lampi elettrici, il canyon roccioso, la palude (sì, c’è la sabbia… mobile), il pulitissimo deserto in cui si è rifugiata la tribù cui un tempo apparteneva la Furiosa. In tutto questo, gli accostamenti cromatici non fanno che esaltare i vari elementi, marcando ancor di più la spasmodica ricerca per il dettaglio e l’attenzione che Miller ha concesso ad ogni singola scena. Il lavoro che il regista ha fatto sul comparto grafico è di un’enormità indefinibile, e rende il prodotto un’esperienza visiva più unica che rara.
Anche con i personaggi il lavoro di differenziazione del design è stato eccelso. Sono ovviamente per la maggior parte tutti vestiti a strati, imbottiti, con tessuti completamente spaiati, arricchiti con ferro, acciaio e plastica. Ci sono però due eccezioni. Per i Figli della Guerra, l’esercito personale di Immortan Joe, tutti uguali gli uni agli altri, viene scelto un abbigliamento più semplice, formato da pantaloni neri e anfibi, sui quali spiccano la pelle bianchissima e le cicatrici da incisione, che formano disegni unici per ognuno di loro. La seconda eccezione è rappresentata dalle Riproduttrici, le concubine che Furiosa libera dalle catene di Immortan Joe. Sono loro i personaggi più strani e stranianti presenti in Fury Road. Appena le ho viste mi sono chiesta cosa ci facessero quelle “cosine” tutte pulitine e vestite di bianco in un film come questo. La spiegazione è semplice: rappresentano cinque donne perfette necessarie a Immortan Joe per avere figli altrettanto perfetti. Non dimentichiamoci che siamo in un mondo post-apocalittico, post-nucleare, dieselpunk, dove menomazioni, mutilazioni, deformazioni sono la norma. In un brevissimo dialogo fra Immortan Joe e il meccanico organico (il chirurgo), il primo domanda al secondo se il bambino tolto dal ventre di una delle concubine sia umano, come se ritenesse che tutto il resto dell’umanità, quella deforme, non lo sia. Mostri, forse. Oggetti, di sicuro: i suoi oggetti, gli oggetti che vivono nel suo regno di terrore, assoggettato al culto della sua personalità. Tutto ciò gli è stato possibile perché lui possiede l’acqua, che tuttavia non è l’oggetto prezioso che viene ricercato nel film. La brama di acqua è solo per gli scarafaggi, quelli che non accettano di impugnare le armi e combattere.
Quello che viene cercato è invece il Luogo Verde, che Furiosa scoprirà con un duro colpo non esistere più, essendosi ormai tramutato in una palude infestata dai Corvi (cosa siano esattamente non ci è stato spiegato, ma abbiamo visto creature curve simili a spaventapasseri camminare su quattro trespoli). Che il Luogo Verde non venga trovato, è metafora perfetta di tutto il film: non è, ancora una volta, il vero oggetto della cerca dei personaggi, ma il mezzo con cui il regista ammazza definitivamente il buonismo e porta all’attenzione la verità che vuole raccontare. Le Riproduttrici non stanno cercando solo la libertà, ma soprattutto una speranza. Nux, il Figlio della Guerra che si trova costretto ad allearsi con i fuggiaschi, vuole essere ammirato nell’attimo della morte. La Furiosa vuole la redenzione, e la strapperà con unghie, denti e braccio meccanico. Max, il teorico protagonista, il personaggio che rischiava di diventare il classico eroe, cerca solo la fuga – non dal pericolo, sia chiaro, ma dalla sua incapacità di difendere la famiglia che aveva prima della distruzione del mondo. Quello che vuoi ottieni, ma che poi ti renda felice…
La pellicola, se si viene presi nel suo vortice entro i primi dieci minuti, è irresistibile. Tuttavia non è perfetta. Un po’ perché alcune scene d’azione velocizzate risultano troppo rapide, con la conseguente perdita dei molti particolari: o guardi quelli, o guardi il più importante insieme. Un po’ perché quando l’adrenalina svanisce, ti rendi conto di aver visto due ore di film in cui la trama è ridotta all’osso. Lungi da me affermare che questa sia una pecca (i film d’azione di questo tipo mi piacciono tantissimo), ma è un dato di fatto.
Un altro dettaglio che stupisce è la quantità molto ridotta di dialoghi. Penso che a testa gli attori abbiano avuto cinque pagine di copione, tre di media se consideriamo anche quelli secondari – e forse quello che parlava (sproloquiava) di più era Nux, non Max o Furiosa. Lei parla l’essenziale, e Max grugnisce… poco, perché neanche quello fa. È lampante che si è trattato di una scelta ben precisa da parte del regista, perché in Fury Road la vera protagonista è la pazzia del mondo post-apocalittico, presentata attraverso un’azione estremizzata. Non vengono messe le urla (a parte quelle che servono davvero), perché la musica è soverchiante. Non vengono messe parolacce, perché non sono necessarie. Non viene messo il “suono” del mondo, perché ormai non ne ha più. Tutto essenziale quindi, in perfetto contrasto con l’esagerazione dei particolari addosso ai personaggi e ai mezzi.
Questo, insieme alla trama scarna, porta a porsi molte domande. Con una buona attenzione al film e ai dettagli, a molte viene risposto, se non direttamente, per via indiretta con particolari significativi, piccole frasi o circostanze che sembrano suggerire interpretazioni univoche. La conoscenza di alcuni personaggi resta però sempre nebulosa. Il Fattore e il Mangiauomini, per esempio, emergono per la loro psicologia, ma non per il loro ruolo in quel mondo pazzo. La natura dei Figli della Guerra non viene mai chiarita del tutto. Non si capisce chi siano, di preciso, le Vovalini, le Molte Madri custodi degli ultimi semi.
Ma soprattutto: chi ha distrutto il mondo? La domanda viene posta tre o quattro volte e sembra fondamentale per il regista far sì che la nostra attenzione si focalizzi su questo. Per una trama generale? Mad Max: Fury Road potrebbe essere il primo capitolo di una nuova trilogia, questo lo sappiamo – e visti gli incassi non dovrebbe neanche passare molto prima che annuncino il secondo.
Chi ha distrutto il mondo? È anche una domanda molto attuale, perché in un futuro non troppo distante potremmo essere noi a porcela. Tuttavia, a prescindere da una risposta di comodo, quella suggerita sembra essere un generico “tutti”. Tutti e nessuno, ognuno ha la sua dose di colpa e di follia per aver fatto quello che ha fatto – qualsiasi cosa abbia fatto. Come la redenzione della Furiosa, che ti chiedi “da cosa deve redimersi?” per tutto il film e concludi “da qualsiasi cosa abbia fatto”.
Quindi, insomma, what a lovely day.
– Elena Torretta –
Recensione – Mad Max: Fury Road
Isola Illyon
- tutto: CGI, effetti speciali, recitazione, sceneggiatura, scenografia, fotografia, musiche, concept, montaggio (magistrale!);
- scene d'azione sempre diverse;
- mozzafiato, dall'inizio alla fine, non perde mai il ritmo;
- alcune scene d'azione con frame velocizzati sono troppo... veloci;