Era una tiepida sera d’aprile quando, seduto davanti ad uno schermo a scrivere delle meraviglie di Sword Coast Legends per conto di Isola Illyon, sentii la mia compagna dire: “A Cannes l’Italia presenta un film fantasy!”. Mi precipitai in salotto e, sullo schermo televisivo, vidi Nanni Moretti, Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, abbracciati come amiconi, posare a favore di fotografo, tutti e tre felici della nomination per la selezione ufficiale alla Palma d’Oro al festival del cinema di Cannes 2015. Una di quelle situazioni nelle quali il cervello si rifiuta di accettare un particolare che palesemente è fuori posto rispetto allo sfondo, come un cugino in bermuda in una foto di parenti al matrimonio, o la Grecia campione d’Europa di calcio (ah no, questo è successo veramente). Cominciai a pensare: “Moretti fa un fantasy?… Ok, ha sempre un approccio surreale alla pellicola, ma fantasy?! Sorrentino? Roma era onirica, e certi politici italiani possono sembrare personaggi di fantascienza a volte, ma fantasy?!…”. Nemmeno mi era passato per la testa che potesse essere l’autore di Gomorra il regista in questione. Stavo per rifugiarmi nel Gatto nel Forno di Homeresca memoria, quando l’inviata del TG3 chiarì che il film in questione era di Matteo Garrone, basato su una raccolta di novelle secentesche di un autore popolare napoletano, tale Giambattista Basile, che pare sia alla base di tutto il repertorio favolistico europeo, dai Grimm in avanti, come ben spiegato dalla nostra Caterina nel suo articolo di preview.
Inutile dire che la curiosità crebbe subito a livelli stratosferici, corroborata quando si seppe che Garrone si sarebbe avvalso, per gli inevitabili effetti speciali e di post-produzione che richiede un film del genere, di maestranze e artisti italiani che avevano lavorato anche con Peter Jackson: segno tangibile della volontà di fare le cose davvero per bene. Si tratta di Makinarium, giovane società completamente italiana che si è occupata di tutti gli effetti visivi del film, e costituisce forse il primo vero tentativo a livello nazionale di renderci indipendenti dall’estero in questo comparto cinematografico chiave. Ecco quindi che, all’uscita nelle sale, ci siamo subito fiondati in poltrona per darvi il nostro parere di sommi sacerdoti del fantasy italico.
SINOSSI
“Lo Cunto de li Cunti”, raccolta di Basile dalla quale è appunto tratto il film, è un insieme di cinquanta tra favole e storie popolari, organizzate in un unico libro sul genere del Decameron di Boccaccio. Per ovvi motivi, Garrone ne ha selezionate tre che si intrecciano nemmeno troppo profondamente lungo tutto lo svolgimento della narrazione. Ognuna delle tre storie si svolge in un diverso reame immaginario di un medioevo italiano fiabesco ed atemporale, ed ognuna si intreccia alle altre grazie alla comparsa di volta in volta dei diversi regnanti alla corte di uno dei tre castelli, invitati in occasioni di particolari cerimonie come pari rango, fino al finale nel quale le tre storie giungono contemporaneamente a compimento. Le storie si intitolano “La Regina”, “La Pulce” e “Le Due Vecchie”.
C’ERA UNA VOLTA…
Il Racconto dei Racconti è un film che parla di ossessioni. Di pulsioni insite così profondamente nell’animo umano da travolgere tutto e tutti coloro che ci stanno attorno senza il minimo riguardo che non sia la soddisfazione del desiderio. Si va al nucleo dei rapporti tra gli esseri umani e al nucleo di come siamo costruiti e montati. Dal desiderio primordiale di maternità ad una pulsione atavica come il sesso, dall’amore filiale all’assurdità di certe regole della società, si parla dell’essenza stessa del genere umano: ed abbiamo l’ennesima conferma di come la favola ed il mito siano la migliore (se non unica) chiave per descrivere l’indescrivibile.
Il racconto simbolico ed archetipico, fantastico, ci descrive paradossalmente molto meglio di qualunque elucubrazione legata all’attualità. Ci descrive proprio perché è disancorato dall’attualità, dal momento presente. Diciamo subito che Garrone riesce nell’operazione, grazie ad un riuscito mix di fantasy, fiaba e racconto popolare. In realtà, di momenti fantasy propriamente detti, il Racconto dei Racconti non abbonda. È quindi da ridimensionare l’etichetta di pellicola fantasy: il film è principalmente raccontato in chiave fiabesca popolare, con pochi, sapienti innesti fantasy qua e là. Ma questi innesti si dipanano egregiamente e sono funzionali al racconto. A livello tecnico, questi momenti non hanno davvero nulla da invidiare alle più famose produzioni estere; da questo punto di vista si può finalmente parlare a ragion veduta di fantasy italiano. Ci sono vere e proprie perle di cinema: la scena subacquea è magnifica, realistica e sognante come certe scene jacksoniane, e allo stesso tempo di brutale bellezza come certi duelli dei film di Sergio Leone. La chiave di lettura fiabesca invece è ironica, utilizza benissimo il linguaggio del grottesco per mettere a nudo le contraddizioni umane, ed a tratti è addirittura giustamente disturbante, come del resto devono esserlo le fiabe: nere, oscure e per nulla rassicuranti.
La vera protagonista di questo fantasy italiano, però, è proprio l’Italia. O meglio, i nostri paesaggi e i nostri monumenti. Garrone qui riesce, glielo si deve riconoscere, a prendere celeberrimi monumenti storici (uno su tutti: il superbo Castel del Monte) e a decontestualizzarli, destoricizzarli e proiettarli direttamente nella dimensione fantastica, al di là del tempo e dello spazio: altro che Nuova Zelanda! Noi viviamo nella terra più fantasy del mondo, e lo sappiamo anche, ma non ce ne rendiamo mai abbastanza conto.
Gli interpreti sono nel complesso all’altezza, ma la necessità di prendere attori anglosassoni (probabilmente a causa del male atavico del cinema italiano, pochi attori nostrani masticano l’inglese), dato che il film è girato nella lingua d’Albione, non ha giocato a favore. Il cast è stellare (John C. Reilly, Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones solo per citarne alcuni, oltre ai nostri Alba Rohrwacher e Massimo Ceccherini), ma non tutti gli attori sono azzeccati. La Hayek non risulta del tutto convincente nei panni della Regina, la Rohrwacher appare disorientata nel suo ruolo, Cassel non va oltre il compitino. Al contrario Reilly e Toby Jones gigioneggiano, straordinaria Bebe Cave nei panni della Principessa e fantastici Jonah e Christian Lee nei panni dei gemelli albini. Nel complesso all’altezza, ma si poteva fare qualcosa di più.
Dove il film però trova il suo difetto principale, purtroppo, è proprio nello sguardo del regista. Garrone come sua abitudine non giudica, non partecipa emotivamente, racconta i fatti nella loro crudezza mantenendo un cipiglio “esterno”, quasi entomologico. Il fatto è che probabilmente è giusto raccontare così Gomorra, ma non un film fantastico-fiabesco: per definizione chi racconta la fiaba, proprio perché si tratta di archetipi comuni a tutta l’umanità e non di attualità, partecipa delle vicende dei protagonisti, giudica, compatisce. Garrone tutto questo non lo fa, e ciò attribuisce a certi passaggi della pellicola un sapore artefatto, distaccato, quasi “costruito”. E veniamo all’inevitabile giudizio finale.
– Luca Tersigni –
- Il primo vero tentativo del cinema italiano nel nostro genere preferito;
- Stilisticamente ineccepibile;
- Tecnicamente all'altezza;
- Paesaggisticamente straordinario;
- Alcuni interpreti non all'altezza;
- Poca empatia e partecipazione;