Lo scorso 8 settembre è stato pubblicato ‘Mezza guerra’, il volume con cui Joe Abercrombie ha concluso la ‘Trilogia del Mare Infranto’, della quale Isola Illyon ha già recensito i primi due volumi: ‘Il mezzo re’ e ‘Mezzo mondo’. Non c’è migliore occasione, dunque, per andare a dare un’occhiata alle opere e alla poetica di questo (relativamente) giovane scrittore fantasy, già affermato a livello internazionale e accostato da molti, per lo stile e per la sua visione di fondo, al “mostro sacro” George Martin, autore de ‘Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco’ e ispiratore della fortunata serie televisiva ‘Game of Thrones’.
Nato nel 1974 a Lancaster, Inghilterra, Abercrombie studia Psicologia e inizia una carriera come montatore di filmati freelance; questo tipo di lavoro gli lascia molto tempo libero e, per tutta risposta, il ragazzo inizia a scrivere, mosso dall’ambizione, non di poco conto, di “ridefinire il genere fantasy tutto da solo” – e scusate se è poco. Nel 2002 si mette al lavoro su un’idea che cova ormai dall’Università e, due anni dopo, conclude il romanzo ‘Il richiamo delle spade’. Almeno, questo è il titolo che successivamente ha ricevuto in Italia; in inglese si intitola ‘The Blade Itself’, a richiamare la citazione dall”Odissea’ di Omero per cui “La spada stessa incita alla violenza”. Insomma, basta il titolo per capire che dietro la scrittura di Abercrombie c’è un retroterra culturale ben più profondo della media delle produzioni letterarie. Il messaggio, però, non viene immediatamente colto, tanto che il giovane aspirante romanziere è costretto a peregrinare per un anno fra diverse case editrici, prima che sia la Gollancz ad accettare di pubblicarlo.
Il libro esce nel 2006, seguito a stretto giro di posta dagli altri due volumi che vanno a comporre la ‘Trilogia della Prima Legge’ (‘The First Law’): ‘Non prima che siano impiccati’ (‘Before They are Hanged’, 2007; anche questo titolo richiama una citazione dotta, ricondotta al pensatore tedesco Christian Johann Heinrich Heine) e ‘L’ultima ragione dei re. Ultima ratio regum’ (‘Last Argument of Kings’, 2008: ‘Ultima ratio regum’ era appunto la frase che Luigi XIV aveva fatto incidere sui propri cannoni). Pur rimanendo al di fuori della trilogia, si collocano comunque nel mondo della Prima Legge i successivi romanzi, ‘Il sapore della vendetta’ (‘Best served cold’, 2009), ‘The Heroes’ (2011) e ‘Red Country’ (2012), tutti pubblicati in Italia per i tipi della Gargoyle a partire dal 2012. A livello complessivo bisogna notare che manca una mappa dell’intero setting (Abercrombie preferisce tenersi le mani libere nel tratteggiare la geografia del proprio mondo); delle mappe riferite a piccole porzioni dell’ambientazione sono invece presenti nei tre romanzi stand-alone.
La sua produzione, notevole soprattutto se raffrontata al lasso di tempo e ai tempi geologici di taluni altri autori (vediamo se indovinate a chi è diretto il riferimento…), gli ha fruttato, nel 2008, un approdo tra i finalisti del Premio John W. Campbell per il miglior scrittore esordiente; nello stesso anno, appaiato a figure del calibro di Michael Moorcock, Terry Pratchett e China Miéville, ha collaborato nella realizzazione della serie ‘Worlds of Fantasy’ per la BBC. Joe Abercrombie non si è sottratto nemmeno alla scrittura di racconti brevi, alcuni dei quali inclusi nelle antologie ‘Dangerous Women’ e ‘Rogues’, entrambe curate da George Martin e da Gardner Dozois.
Più di recente, lo scrittore britannico ha avviato una nuova trilogia, quella già citata in precedenza ‘del Mare Infranto’, in cui sia il genere che il setting cambiano in maniera sostanziale… o forse no. Per quanto riguarda il primo, la nuova trilogia viene inquadrata come young adult ma, per ammissione dello stesso autore, ha ben poco in comune con altri esponenti di questa etichetta: le uniche concessioni sono forse la giovane età dei protagonisti e la scarsa insistenza sulle scene di sesso, ma se i libri non venissero definiti in questa maniera nemmeno ci sfiorerebbe l’idea di qualificarli così.
Quanto all’ambientazione, poi, Abercrombie abbandona quella della ‘Trilogia della Prima Legge’, costruendo un mondo low-fantasy segnato dall’antica caduta di un semi-mitologico Impero Elfico (“lo spezzarsi di Dio”), le cui vestigia costellano l’intero Mare Infranto e celano reliquie dotate di poteri incommensurabili. Quantunque presente, però, come del resto accade nella ‘Prima Legge’, la magia resta in secondo piano, manifestandosi in maniera sporadica o fraintendibile: l’enfasi del racconto, come ci si può attendere da un bravo ex studente di Psicologia, è focalizzata sugli uomini e le donne che riempiono il palcoscenico.
Politica, guerra, diplomazia… questi sono gli ingredienti che muovono i personaggi di Abercrombie, questo è quello che l’autore vuole raccontare. Ecco ciò che probabilmente porta molti ad accostare George Martin a Joe Abercrombie. Ma, per quanto certo lusinghiera, l’analogia appare impropria: è vero che Martin utilizza in maniera moderata l’elemento fantasy, ma questo accade solo all’inizio della saga. Poi gli intrighi politici di Approdo del Re si mescolano a eventi soprannaturali come invasioni di non-morti, resurrezioni, draghi risvegliati dalla pietra e chi più ne ha più ne metta. “Al confronto di quello che ci aspetta, queste piccole guerre non sono altro che scaramucce da bambini“, è una delle più celebri frasi di Melisandre ne ‘Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco’.
In Abercrombie, invece, non c’è un oscuro livello superiore, una corsa contro il tempo e contro potenze oscure per salvare il mondo: la minaccia è drammaticamente umana, spesso crudele come solo gli umani sanno essere. E i personaggi di Abercrombie sono indiscutibilmente umani. Anche in senso negativo, ahinoi: talvolta è veramente difficile immedesimarsi nei protagonisti delle sue storie, proprio perché sono costellati di difetti che li allontanano in maniera radicale dallo stereotipo dell’eroe fantasy. Troviamo così eredi al trono vigliacchi e spergiuri, grandi generali esiliati dalla corte per la loro vocetta stridula, vecchi guerrieri le cui ginocchia non reggono più… Oppure ancora abbiamo Yarvi, protagonista de ‘Il mezzo Re’, improbabile successore sul trono del Gettland, nazione che per molti aspetti ricorda un evoluto regno vichingo, dotato di incredibile intelligenza ma snobbato da tutti per l’oscena malformazione della mano.
Caratteristica dello stile di Abercrombie è l’ironia: quantunque non manchino momenti realmente epici, come grandi battaglie, scontri all’ultimo sangue fra l’eroe di turno e una miriade di assalitori, o addirittura l’eroismo di un ragazzo che “solleva le navi”, il mondo in cui si muovono questi attori è sporco e brutale come il nostro: una battuta acida, proferita da uno dei comprimari o espressa dall’autore stesso tra le righe, è lì per ricordarci che anche i grandi guerrieri si pisciano addosso nel pieno del combattimento.
E voi, Isolani? Conoscevate già lo strano fantasy di Joe Abercrombie? Vi abbiamo incuriosito? Fatecelo sapere con i vostri commenti!
– Stefano Marras –