Che cosa è fantasy, che cosa non lo è? Su queste pagine, in maniera talvolta scherzosa, in maniera talaltra seria, ce lo domandiamo spesso – e lo chiediamo ai nostri lettori. Ormai è limitante pensare che il solo vero fantasy sia quello ad ambientazione (para)medievale in cui figurano necessariamente elfi, nani, maghi che dispongono di poteri arcani e forze maligne in moto per distruggere il mondo. Fra gli altri scrittori fantasy moderni, George Martin ha dimostrato che un fantasy può reggersi benissimo limitando al minimo la presenza di animali fantastici e l’utilizzo di poteri magici. Non è dunque un caso che Joe Abercrombie, scrittore inglese poco più che quarantenne, sia spesso accostato (non ultimo… nella copertina del romanzo, che potete trovare qui a lato) al maestro del fantasy americano: i suoi romanzi si caratterizzano per un’ambientazione low fantasy che – forse ancor più di quanto già avviene in ‘A Song of Ice & Fire’ – mette totalmente da parte l’epica, restituendo una visione disincatata della vita e dei personaggi della serie.
Parteggiare per i personaggi di Abercrombie è tutt’altro che facile: il vecchio stanco di combattere, il vigliacco traditore, il terzogenito sfigato, il cortigiano caduto in disgrazia, sono personaggi che normalmente giacciono ai margini della narrazione fantasy, ma Abercrombie li porta alla ribalta, costringendoci a guardare con i loro occhi e a ragionare con le loro menti. L’effetto è straniante: non sono gli eroi, magari un po’ ambigui, ai quali siamo abituati, ma personaggi spesso disgustosi, che figurerebbero meglio come villain che come protagonisti. A questo si aggiungono spesso malattie e malformazioni fisiche, che valgono ad allontanare ulteriormente gli interpreti delle storie di Abercrombie dallo stereotipo del cavaliere senza macchia e senza paura.
Quantunque la Trilogia del Mare Infranto, della quale ‘Il mezzo Re’ (che oggi recensiamo) costituisce solo il primo tassello, abbia un taglio young adult, queste caratteristiche non vanno perse e sono anzi enfatizzate. Il contesto, anche in questo caso, è smaccatamente low fantasy: un tempo il mondo era dominato dagli Elfi, ma un qualche evento catastrofico (“lo Spezzarsi di Dio”) lontano nel tempo li ha cancellati dalla faccia della Terra, lasciando in piedi le loro rovine e le loro reliquie – che, per quanto realizzate con tecniche che paiono presupporre una qualche forma di magia, restano più che altro inerti. Protagonista delle vicende narrate è Yarvi, secondogenito del re del Gettland, affetto da una malformazione alla mano sinistra che lo rende incapace di reggere uno scudo e conseguentemente avviato all’erudizione e al celibato propri dei Ministranti. Le cose cambiano bruscamente quando il padre ed il fratello di Yarvi vengono ammazzati, attirati e traditi da una promessa di pace di Gorm-gil-Gorm, colossale quanto sanguinario re del vicino Vansterland. Dopo un bel funerale vichingo, la vendetta è d’obbligo, ma Yarvi viene sconfitto prima ancora di poter mettere a frutto le sue (scarse) doti di combattente, catturato e venduto in schiavitù.
La premessa risulterà certamente familiare a tanti (chi ha detto ‘Il Gladiatore’?), ma ad un esame meno superficiale ci si rende conto che a subire l’imposizione del collare non è il solito grande guerriero, destinato a liberarsi con la propria forza belluina, bensì un ragazzo storpio, impossibilitato a battersi come vorrebbe la tradizione, ma dotato di un’arma più pericolosa di qualunque altra, se ben impiegata: la propria mente. Questa è la caratteristica più divertente ed intrigante del libro: i mille modi in cui Yarvi – che ricorda da vicino il Tyrion Lannister di ‘Game of Thrones’ – applica la propria astuzia per cercare di riportare a casa la pellaccia e vendicarsi di chi ha distrutto la sua vita, sbattendolo tra i vogatori incatenati della Vento del Sud. Dal momento che il libro è narrato unicamente dal suo punto di vista, ogni avvenimento è filtrato attraverso la cupa ironia del protagonista, un umorismo un po’ distorto – e spesso ricolmo di autocommiserazione, almeno nella prima parte del libro – che accompagna il lettore pagina dopo pagina. Yarvi è sicuramente il personaggio più interessante – oltre che, giocoforza, quello più approfondito – dell’intero romanzo, e per quanto sia un viscido manipolatore, un bugiardo e uno spergiuro, la simpatia nei suoi confronti è probabilmente superiore rispetto a quella suscitata da altri personaggi di Abercrombie. Peccato solo che alcuni dei comprimari incontrati da Yarvi non possano godere dello stesso approfondimento psicologico, restando pertanto in disparte o finendo per assomigliare a macchiette prigioniere del ruolo (il veterano in fuga, l’uomo pacifico costretto a combattere, il pazzo omicida…).
Lo stile è asciutto, disincantato, e non solo per l’ironia attraverso le cui lenti Yarvi osserva (e ci fa osservare) il suo mondo. Momenti solenni non faticano a trasformarsi in scene venate di ridicolo o, quantomeno, di grottesco: penso ad esempio a un caso in cui un personaggio rivolge una preghiera alla Madre Guerra e, per tutta risposta, ottiene unicamente la deiezione di una colomba utilizzata come piccione viaggiatore. Il che, tuttavia, non significa che non abbiano spazio cameratismo, lealtà, amicizia e sentimenti analogamente positivi; così come non mancano metafore dal retrogusto poetico, che raramente stonano rispetto al contesto generale. La narrazione è veloce, concitata, scandita da capitoli brevi e incalzanti. Colpi di scena più e meno prevedibili allietano il racconto, affastellandosi per tutta la storia dalla palese struttura ad anello (sia geograficamente che in un senso più ampio). Si può notare una certa attenzione insistita per i difetti fisici dei personaggi, descritti con una discreta enfasi, così come le scene di combattimento, che non risparmiano fiotti di sangue e budella squarciate.
Abbiamo detto che questo volume e la trilogia della quale fa parte hanno – o dovrebbero avere – un taglio young adult. In realtà, al di là dell’età del protagonista e dell’assenza di scene di sesso esplicito, l’unica concessione al target adolescenziale può essere la lunghezza del libro, inferiore alle 300 pagine. Per il resto, Abercrombie non ci risparmia alcun dettaglio (e giustamente!), per quanto truculento possa essere, anche se la violenza non risulta mai “urlata” o esagerata. Nel complesso il libro è più che piacevole: con i suoi intrighi di corte e la lotta per la sopravvivenza del giovane protagonista, può attirare certamente il pubblico cui è destinato, al tempo stesso risultando godibile sia per chi già conosce e apprezza l’autore inglese, sia per chi vi si accosta per la prima volta. Chi però spera di trovare battaglie epiche, eroi politicamente corretti o magie d’ogni sorta farà meglio a continuare a cercare.
In chiusura, dobbiamo segnalare con un certo rammarico come la traduzione e l’editing non risultino all’altezza delle aspettative: al di là della quantità francamente esagerata di errori di battitura che costellano il testo, sorprendono veri e propri errori grammaticali, improprietà terminologiche e un’incertezza di fondo sulla consecutio temporum, che spesso dà esiti oltre il limite della cacofonia. Speriamo che queste mancanze vengano superate nelle prossime edizioni e, soprattutto, che non si ripresentino negli ultimi due volumi della trilogia: ormai siamo parecchio curiosi di affrontarne la lettura.
E voi, Illyoners, avete letto ‘Il mezzo Re’? Condividete la nostra opinione?
– Stefano Marras –
‘Il mezzo Re’ di Joe Abercrombie: la recensione
Isola Illyon
+ Yarvi, il protagonista, potrebbe rivaleggiare con Tyrion Lannister: arguto, spietato, ironico...
+ Funerali vichinghi, intrighi di corte, tradimenti e redenzioni
+ Non mancano i colpi di scena
+ C'è una bella mappa del Mare Infranto
+ Nonostante l'etichetta young adult, il libro non è destinato soltanto ad un pubblico di adolescenti
- Poco approfondimento psicologico per i comprimari
- Romanzo troppo breve: meno di 300 pagine
- Alcuni lettori potrebbero non gradire la visione dissacrante e disincatata del fantasy fatta propria dall'autore
- Traduzione ed editing decisamente da rivedere