Dopo la nostra recensione de ‘Il mezzo Re’, torniamo a solcare le gelide acque del Mare Infranto con il secondo volume della omonima trilogia firmata Joe Abercrombie, ‘Mezzo mondo’. Come il capitolo iniziale della serie, anche ‘Mezzo mondo’ può essere inquadrato come romanzo fantasy e, più nello specifico, low fantasy: la magia ha un ruolo assai ridotto (pur senza mancare del tutto, si badi), ed è principalmente incarnata dalle vestigia di un’antica civiltà elfica capace, ai bei tempi, di costruire artefatti dai misteriosi poteri e monumenti di incredibile bellezza. Il romanzo, poi, così come la serie di cui fa parte, viene ascritto al genere young adult ma, come in passato l’autore ha tenuto a precisare, si tratta di una qualificazione che gli va stretta: dopotutto, che cosa è davvero il genere young adult? In Abercrombie l’appartenenza a questo genere trasversale non incide più di tanto sulla lunghezza del romanzo (circa 380 pagine nella versione cartacea), né si traduce in una resa “edulcorata” degli aspetti più disgustosi di Madre Guerra (anzi); le uniche concessioni sono forse la giovane età dei protagonisti e la scarsa insistenza sulle (eventuali) scene di sesso, ma se il libro non circolasse con questa “etichetta” forse il pensiero nemmeno ci sfiorerebbe.
La presente recensione non contiene SPOILER dal libro, se non quelli indispensabili alla comprensione dell’argomento trattato: ci sia però consentito di spendere due righe sulla trama.
Gli eventi hanno inizio qualche tempo dopo la conclusione de ‘Il mezzo Re’: Yarvi, già unico protagonista nel primo volume, è adesso un uomo, ancora più scaltro e letale di quanto abbiamo mai visto in passato, e più che mai misterioso (visto che non godiamo più di un suo punto di vista); assurgono invece a protagonisti due adolescenti, il timido Brand e la furibonda Hild “Thorn” Bathu (ma non chiamatela Hild!), che tentano la loro strada per divenire guerrieri. I due restano però coinvolti in un incidente che, per diverse ragioni, impedisce loro di continuare la carriera militare, e vengono raccolti dall’astuto Padre Yarvi, il quale li vede come strumenti per un disegno che si stende su tutto il Mare Infranto. Il Gran Re, infatti, convertito al culto dell’Unica e affiancato dalla odiosa Gran Madre Wexen, sta stringendo il cappio intorno al Gettland, muovendo alleati come pedine su una scacchiera. L’unica, disperata soluzione passa allora per la ricerca di alleati che possano controbilanciare lo smisurato potere della capitale, anche a costo di cercarli a… mezzo mondo di distanza.
I due protagonisti si smezzano con una certa costanza l’onere di farci vedere attraverso i loro occhi (anche se, bisogna segnalarlo, in alcuni casi sembra esserci un po’ una commistione fra i due punti di vista, che rovina l’effetto altrimenti piacevole…): non soltanto si rivelano particolarmente ben caratterizzati, ma anche – e la cosa mi ha un po’ sorpreso – meno “sgradevoli” della media dei personaggi portati in scena dallo scrittore inglese, cosicché con loro ho iniziato quasi da subito a provare una forte simpatia. Brand è il tipico ragazzo forte di braccia, timido – quasi afono –, estremamente riflessivo, ma non per questo tonto. Tutt’altro. Però questa è l’impressione che dà ai suoi compagni e a chi lo conosce superficialmente; d’altronde non può che risultare inadatto, visto che Brand, un po’ come il personaggio di Sansa Stark ne ‘Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco’, è imprigionato negli schemi concettuali del suo popolo, racchiusi “nelle canzoni”, con le quali il giovane confronta costantemente la realtà, accumulando delusione su delusione. Thorn è l’esatto opposto di Brand: una guerriera, una ragazza toccata da Madre Guerra, una furia scatenata sul campo di battaglia, ma anche una persona che, forse perché deve occultarli in una società intrinsecamente e spietatamente maschilista, ha celato i suoi limiti fino al punto di non arrivare a conoscerli lei stessa.
I livelli di lettura possono essere, come spesso accade nelle opere di un certo valore, molteplici: possiamo vedere il libro come un romanzo di formazione, in cui assistiamo alla maturazione dei due ragazzini nel corso della spedizione attraverso (e oltre) il Mare Infranto. A cambiarli non è solo l’addestramento al quale si sottopongono durante il viaggio, ma sono anche le esperienze che vivono, la scoperta della propria vocazione, l’amicizia che pian piano si consolida e che minaccia di diventare anche qualcosa di diverso. C’è poi un altro livello, quello della Realpolitik, degli intrighi orditi da un Padre Yarvi spietato e “ditocortesco” (se mi si passa il termine), dai botta-e-risposta fra i nemici che minacciano di distruggere il Gettland e la scalcagnata compagnia che cerca invece di salvare il Paese. Un’ulteriore chiave di lettura è quella del viaggio in sé e per sé considerato: ancor più che ne ‘Il mezzo Re’, Abercrombie ci accompagna per mano nelle terre da lui inventate, regalandoci il gusto e la meraviglia di scoprire luoghi esotici, immaginari, ma al tempo stesso credibili, affascinanti tanto quanto pericolosi per chi vi incappi.
Abbiamo accennato all’approccio “realistico” che Abercrombie adotta rispetto al fantasy. Da un lato, questo si risolve in una limitatissima rilevanza della magia, sempre temuta, favoleggiata, osteggiata e condannata come sacrilega, ma (quasi) mai davvero in scena. Dall’altro lato, il realismo si manifesta anche nella dicotomia fra la realtà dei fatti e quella raccontata dalle “canzoni”, le ballate degli scaldi che consacrano gli eroi e dipingono un mondo ovviamente immaginario: “Nelle canzoni l’eroe non si piscia mai addosso“, ad esempio, mentre su un vero campo di battaglia questo può tranquillamente accadere (anzi, è probabilmente la norma). Eppure, questa demistificazione delle “canzoni” non manca, di quando in quando, di lasciare spazio ad azioni dal respiro davvero epico, narrate con vera maestria, in sequenze che si leggono tutte d’un fiato (rigorosamente sospeso) e che regalano forti emozioni e una buona partecipazione emotiva per il lettore. Non scendiamo nei dettagli, ma gli amanti di avventura, viaggi e azione troveranno pane per i loro denti!
Poche, complessivamente, le pecche da segnalare: al di là della già citata occasionale violazione dei confini dei punti di vista, con incursioni nell’onniscienza, un piccolo difetto può rinvenirsi nell’eccessiva fortuna che, in fin dei conti, sembra accompagnare la realizzazione dei piani di Padre Yarvi (detto fra noi, il ragazzo ha più culo che anima). Un piccolo appunto sull’edizione italiana che, come quella de ‘Il mezzo Re’, è costellata di errori di traduzione e di editing, che a volte smorzano il piacere della lettura di quello che, per il resto, è un ottimo romanzo, forse persino più appassionante del capitolo precedente e che conferma il livello qualitativo della ‘Trilogia del Mare Infranto’ e, qualora ve ne fosse bisogno, il talento di Joe Abercrombie.
E voi, Isolani? Avete letto ‘Mezzo mondo’? Che idea vi siete fatti in merito?
– Stefano Marras –
‘Mezzo Mondo’ di Joe Abercrombie: la recensione
Isola Illyon
- Un romanzo che di young adult ha perlopiù l'etichetta, adatto anche a lettori più maturi del target di riferimento;
- Ritroviamo tanti personaggi conosciuti e amati nel precedente volume;
- Rispetto a Yarvi, è molto più facile simpatizzare con i protagonisti;
- Efficace alternanza di punti di vista fra Thorn e Brand;
- Il crudo realismo di fondo non manca di cedere il passo a momenti veramente epici;
- Una solida ambientazione low-fantasy;
- Alcune svolte narrative sono piuttosto efficaci;
- A momenti la rigida separazione dei punti di vista sembra venire meno;
- Padre Yarvi sembra avere, al netto di tutti gli incidenti di percorso, una fortuna illimitata;
- Errori di traduzione ed editing un po' sbadato;