Person of Interest è di certo una delle serie televisive di maggior successo degli ultimi anni, tanto da arrivare a strappare la conferma per la sua quinta e forse ultima stagione (in arrivo negli USA a febbraio) – un’eccezionalità nel clima di competizione e di continua stroncatura dei prodotti televisivi. Si salvano in questi casi solo i soliti prodotti episodici come CSI (che ha però visto la cancellazione di due spin-off), e i reduci della vecchia serialità, come Supernatural.
Person of Interest (d’ora in poi, PoI) è riuscita a confermarsi stagione dopo stagione, e addirittura a cambiare vesti, passando da pallosissimo episodico-procedurale-investigativo a qualcosa di più, facendo della trama orizzontale il suo vero punto di forza. Nessuno mi toglierà però dalla testa che il successo iniziale è stato determinato dall’anno di inizio, il 2011, una stagione di vera magra per quanto riguarda la serialità, il quale ha visto iniziare flop arrancanti quali Terra Nova e Ringer. Un caso, quindi, che PoI, Once Upon a Time e Grimm, tutti iniziati lo stesso anno, siano sopravvissuti fino alla stagione 2015/2016? Direi di no. Era il meglio che si poteva trovare, praticamente, con poche altre rare eccezioni.
Tuttavia, già dalle prime stagioni si poteva subodorare la genialità insita in PoI: la psicologia dei personaggi molto curata, la morale costante nel dipanarsi degli episodi, una trama orizzontale che prometteva di emergere… prima o poi. Solo che emergere alla terza stagione, dopo ben 45 episodi, forse è stato un po’ troppo lungo come processo? Gli affezionati risponderanno un “no” sicuro, ma dopo il pilot zoppicante della prima stagione gli abbandoni sono stati moltissimi (io ho puntato fin da subito sulla cancellazione dopo una sola stagione). Molti hanno recuperato la serie quando questa è arrivata ben oltre la metà della seconda stagione, e altrettanti in corso della terza. In questi casi, lo sviluppo della trama era simile: 7-8 episodi procedurali con il caso della settimana, poi verso la midseason iniziavano ad arrivare quelli “bomba”… e poi sempre più belli, sempre più belli, fino al season finale esplosivo per davvero. E poi si ricominciava da capo, una ridondanza che poteva uccidere di noia.
Per fortuna nella terza stagione le puntate di presentazione sono state di meno e la midseason ha avuto una bella fioritura di trama (ha ammazzato uno dei personaggi primari), dando molti spunti sia per la chiusura di stagione che per una nuova serie di episodi, quelli della quarta, davvero interessanti per l’apporto orizzontale alla storia. In effetti, è proprio con la terza stagione che PoI è passato da procedurale-investigativo a qualcosa di più. Ciò è merito degli ottimi ascolti collezionati dall’emittente originale, la CBS, che ha addirittura deciso di spostare la programmazione per sostituire PoI a CSI. Questo la dice lunga, lunghissima: CBS è la casa della serialità episodica e procedurale alla CSI, che scalzino il loro prodotto di punta per mettere in primo piano una serie che, in fondo, ha solo 4 anni è un vero colpo di scena. Con questa sicurezza di ascolti, di fascia e di apprezzamento, PoI ha potuto fare il vero salto di qualità, la crisalide si è aperta e ne è uscita una meravigliosa farfalla, non più imbrigliata dagli obblighi legati allo standard dell’emittente.
“Meravigliosa farfalla”… Eterni, poteva pure andare meglio, ma diciamo che visto quel che c’è in giro poteva andare anche molto, moltissimissimo peggio. Il fatto è che tutti i fan dell’ultima ora di questa specie di “fantascienza distopica” incarnata da PoI forse vedono la trama originale ed eccezionale… perché non sono in primo luogo appassionati di fantascienza. Se sei un appassionato di sci-fi, c’è poco da dire e da vedere, PoI ti ricorda un trilione di altri prodotti: Minority Report, Psyco Pass, Ghost in the Shell, Deus Ex, Watchdogs, 1984, Terminator, senza contare tutta una barcata di libri complottisti in cui le stesse tematiche affrontate da PoI sono sviluppate con lo stesso tenore para-fantascientifico.
La trama di PoI ruota, in maniera semplicistica, attorno alla Macchina e al suo creatore, come succede in moltissime altre opere. Dopo l’11 settembre, Harold Finch è stato incaricato dal Governo americano di creare un software in grado di filtrare ogni genere di informazione e individuare i possibili attentati terroristici. Consegnato il programma, Mr. Finch utilizzerà proprio una backdoor del software per sfruttare la macchina, individuare un partner adeguato e risolvere insieme a lui tanti piccoli casi minori riguardanti gli “irrilevants”, cioè tutti quelli che, seppur segnalati, non sono a livello di attentato terroristico. Questo partner, John Reese, è un ex-militare ex-agente CIA che, inizialmente scettico, si rivelerà sempre più interessato ad ascoltare quanto Finch e la macchina abbiano da dire. Completano il collage dei personaggi un agente integerrimo in un dipartimento di polizia interamente corrotto, un agente corrotto che pian piano si redimerà, una hacker sociopatica, un mafioso che vuole prendere il controllo delle forze di polizia per farsi i suoi comodi, e varie agenzie che vendono ora tecnologie, ora informazioni. Infine, si aggiungerà anche un’altra macchina, Samaritan, in competizione con quella originaria.
Il mix dei personaggi non è dei più nuovi e non lo è neanche il tema della macchina che diventa la Macchina, cioè prima una IA e poi una creatura perfettamente senziente e in grado di autodeterminarsi, proteggersi, fare delle scelte fuori dai suo algoritmi originari – una macchina umana? Di sicuro, una macchina che nella quarta stagione gioca a fare dio e, alla fine, chiede scusa perché ha timore di aver deluso il creatore. Nella quinta, forse ultima, vedremo quindi una macchina umanizzata?
Il confronto fra Samaritan e la Macchina, sperando che prima o poi per “lei” si trovi un nome, è molto bello, perché porta la scacchiera di gioco ad un livello in cui gli esseri umani, quelli che hanno creato quelle IA, sono pezzi sostituibili che non fanno altro se non agire secondo i consigli, o gli ordini, impartiti dal proprio deus ex machina. La Macchina, per i buoni, che cerca di contenere i crimini che l’umanità commette contro l’umanità, lasciando che siano gli umani a fare da giudice. Samaritan, per i cattivi, che invece giudica attivamente e decide di imporre il proprio Nuovo Ordine Mondiale per creare una società utopica in cui tutto funziona secondo un freddo (?) algoritmo. Niente di nuovissimo, ma vedere due software scontrarsi ha sempre un che di intrigante, soprattutto dopo il cliffangher nel quarto season finale.
Low science fiction, but hot science fiction: non c’è niente di troppo esagerato, la serie non è futuristica ma, anzi, è ambientata a partire dal 2002. Niente jetpack, viaggi nello spazio, armi laser, ma tanti temi sensibili della sci-fi odierna: distopia, controllo globale e, soprattutto, privacy. Uno dei motivi per cui bisognerebbe guardare PoI è proprio la possibilità di godere di continue riflessioni morali sul tema della privacy al tempo dei social network e del continuo “match found” operato da alcuni software usati a scopo di investigazione, riflessioni non sempre scontate e che, spesso, sono portate da personaggi diversi in modo da ribaltare le prospettive. Si va oltre il bene e il male e, per una volta, si approda al livello successivo: cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa è giustificabile per perseguire il bene e quali azioni non si è disposti a commettere? PoI è un prodotto interessante, come detto, ma hanno dovuto aggiungere una dose di azione forse troppo elevata per i gusti di chi apprezza di più la trama (anche politica) o l’intrigo rispetto all’adrenalina, che comunque viene a mancare, visto che già nella prima stagione si capisce benissimo che i protagonisti usciranno sempre per lo più illesi.
Che altro dire di questa serie tv ritenuta, a ragione, una delle migliori degli ultimi anni? Che non è un titolo di facile fruibilità. Ha una trama piuttosto articolata, consta di 22 o 23 episodi a stagione, e non si sa mai quali siano filler fini a sé stessi, e quali filler con apporto alla trama orizzontale, dunque ogni dettaglio potrebbe essere importante: o si segue tutto, o si perdono pezzi. Elogiabile, comunque, l’impegno di rendere alcuni dei casi-della-settimana qualcosa di più di puntate stand alone, permettendo ai personaggi di riapparire più avanti con ruoli di maggiore importanza.
Infine, bisogna per forza spendere due parole sulle teste che la hanno confezionata: J. J. Abrams e Jonathan Nolan.
Sono una nota e svergognata fan di J. J., ma apprezzo che in PoI, rispetto a quanto succede in Lost, ci siano meno misteri che si accavallano su misteri che spiegano misteri con misteri: quello che succede in Person of Interest viene illustrato con puntualità e non ci sono troppi punti oscuri lasciati aperti, e tutti in genere vengono fatti collimare nel season finale – grazie al cielo.
Invece, inneggio alla forca per la famiglia Nolan, perché con l’ultimo Batman (Il Ritorno del Cavaliere Oscuro) e Interstellar la qualità che ci si aspettava dopo Inception non è arrivata – anzi, entrambi sono film decisamente deludenti. Però non posso negare che i fratelli Nolan di prima, quelli di The Illusionist, mi continuano a piacere. È incredibile come a fronte di alcuni prodotti totalmente sbagliati, altri continuino a brillare. Beh, PoI è “Nolan in versione pensante”, con una sceneggiatura dignitosa, accattivante, interessante nell’intreccio, affatto pallosa o sconclusionata.
Promosso a pieni voti Jonathan Nolan anche per la quarta stagione di PoI, quindi non resta che attendere con ansia la quinta – composta, a quanto sembra, solo da 13 episodi, dettaglio che ha lasciato supporre sarà l’ultima. Secondo me, invece, si tratta solo dell’aggiornamento del numero di episodi necessari al midseason, cosa che spesso e volentieri viene fatta. Staremo a vedere, io con la speranza di vedere Samaritan far fuori tutti, uno per uno – tifo per i cattivi, lo ammetto.
Detto questo… abbiamo finalmente trovato una serie tv che mi è piaciuta e che elogerò sopra ogni cosa? No, tranquilli, non è la mia serie di punta.
– Lucrezia S. Franzon –