Di John Noble ne parliamo dopo, parola di lupetto.
La domanda con cui mi costringo ad aprire l’articolo è: ma solo io voglio (pretendo, esigo) una serie tv fatta bene dal primo episodio all’ultimo e nell’arco di tutte (tutte!) le stagioni?
Comprendo che “fatta bene” sia un concetto un po’ aleatorio e molto personale, a tratti astratto. Comprendo anche che “fatta bene” nel mio modo di intendere dovrebbe significare che il 90% delle serie tv dovrebbero essere piene di sangue e parolacce, a metà fra Pacific Rim, Humandroid, Planet Terror e Iron Sky (lo so che sono quattro film, è quello il punto). Comprendo, infine, che ci siano dei target, dei budget, e che esista pure la volontà, e la libertà, degli sceneggiatori di portare una serie da una parte o dall’altra. Giuro: sono comprensiva, non vedete quanto sono comprensiva?
La verità è che la serie tv Sleepy Hollow non fa “schifo” in senso stretto: è piaciuta (tanto), ha fatto ascolti (tantissimi) e ha infine strappato a Fox il rinnovo e la terza stagione (che dovrebbe iniziare in qualche punto di settembre 2015). Il problema è che non condivido assolutamente frasi come “sì, è un po’ ridicolmente grottesca, però che figata, non importa se è un po’ illogica”. Punto numero uno: quantifichiamo “illogico”. In Sleepy Hollow tutto è illogico, dal primo episodio all’ultimo. Punto numero due: mi hanno detto che i plot dovrebbero essere logici, per essere buoni. Eppure, in questo infinito arrampicarsi sugli specchi, attira. Conclusione: a quanto sembra (è solo l’ennesima conferma), se spegne il cervello allora va bene. Mi piacerebbe dire che ho letto così tante recensioni positive, che questa sarà negativa, ma non posso farlo: devo essere obiettiva.
Partiamo dall’inizio. Sleepy Hollow debuttò su Fox il 16 settembre 2013, riscuotendo fin da subito un successo eccezionale, tanto che già alla quarta puntata l’emittente decise di approvare la seconda stagione. Motivi della curiosità che generò intorno a sé? Sicuramente per gli sceneggiatori, Roberto Orci e Alex Kurtzman, già al timone della eccellente e sfortunata Fringe. Ma principalmente perché, diciamocelo, nessuno potrebbe dimenticare l’incredibile Sleepy Hollow di Tim Burton. Questo ricordo ha generato da un lato tanta aspettativa, dall’altro tanto affetto, dall’altro ancora tanta malinconia, così tanta da indurre a seguire una serie tv che davvero non era necessaria… ma che incuriosiva perché non si vedeva l’ora di scoprire il destino di Ichabod Crane e del Cavaliere Senza Testa.
Chi pensa che il canone con cui confrontare il prodotto sia lo Sleepy Hollow di Burton è comunque in errore, perché in origine quella storia era un racconto di Washington Irving, e questo è molto importante: dall’inizio dell’Ottocento ad oggi, Sleepy Hollow ha avuto così tante trasposizioni e reinterpretazioni che ha ben poca importanza quanto una serie tv sia attinente all’idea originaria. E difatti, l’idea alla base dello show è interessante: conferma il brand cambiando ancora le carte in tavola.
Si inizia sempre nella seconda metà del XVIII secolo, ma nell’arco del pilot della prima stagione lo spettatore viene catapultato immediatamente, insieme al povero Ichabod, nella Sleepy Hollow contemporanea. Nel passato, Ichabod si è ucciso a vicenda con il Cavaliere Senza Testa, e sua moglie Katrine, una strega, ha lanciato su di loro un incantesimo, perché Ichabod diventasse il “custode” del Cavaliere Senza Testa, che si scoprirà essere uno dei Cavalieri dell’Apocalisse: Morte.
L’illogico inizia fin da subito: 5 minuti e il protagonista già scherza e fa battute su Starbucks. Dopo qualche altro minuto sale su una macchina, poi sperimenta telefoni, asciugacapelli, docce, caffè istantanei, interruttori della corrente e bla bla bla. “The show must go on”, solo che te lo ripeti per ogni puntata, della prima come della seconda stagione, e l’effetto è piuttosto straniante. Da un lato c’è la recitazione magnetica del protagonista, l’entusiasmo per alcune trovate, e John Noble. Dall’altro, ogni due minuti devi (devi!) mettere a tacere i tuoi neuroni, accettare che le cose siano così come ti vengono propinate, rinunciare a cercare pezzi di storia non palesi o risposte non dette (se non te lo dicono, non te lo dicono, rinunciaci). Parallelamente, spesso e volentieri vengono messe in gioco troppe cose da fagocitare tutte insieme, con effetto sberla ogni due minuti.
La prima stagione vede un’ottima caratterizzazione fin da subito di Ichabod, una buona crescita di Abbie (la vera protagonista), e presenta in modo molto buono il cattivo, Moloch, e John Noble… cioè, intendevo dire, il sin eater, aka il Cavaliere della Guerra, aka Henry Perrish, aka John Noble, aka il figlio di Ichabod e Katrina. L’ordine non è casuale. Ka-boom, bello bellissimo! Un finale di stagione che, nonostante tutto, è stato davvero interessante, e ha aperto enormi possibilità di trama. Oltre a questa rivelazione, ha infatti riportato Katrina fra le braccia di Ichabod, ma imprigionato Abbie nel Purgatorio – informazioni aggiuntive per comprendere il plot: Katrina, la moglie di Ichabod, era imprigionata nel Purgatorio e poteva comunicare con il marito soltanto attraverso i sogni.
Ecco che arriviamo alla seconda stagione, e alla seconda domanda dell’articolo: va bene, una serie tv fatta bene è un concetto un po’ aleatorio, dipende anche dai gusti soggettivi (di produttori, sceneggiatori, ma anche da una quantità di fattori intrinsechi alla programmazione, come l’emittente, il budget… scusate la finisco!), ma se la prima stagione fa successo, devi per forza produrre la seconda? Pensateci un attimo: non si possono fare 15, 20 episodi, aprire una storia e chiuderla? Dobbiamo per forza mandarla avanti?
Inutile dire che la mia risposta, da persona che si annoia presto della maggior parte dei prodotti, è un “no” a caratteri cubitali. A parte il fastidio personale per le 20 stagioni di Squadra Speciale Cobra 11, il rischio è quello di non avere più molto da dire, o di non dirlo in modo consono, o di fare scelte di caratterizzazione di situazioni e personaggi che, quando lo spettatore ci pensa bene, gli lasciano solo un “meh” a metà fra l’inorridito, il sorpreso e l’incredulo.
Dopo un finale di prima stagione abbastanza di valore, siamo precipitati. Vorrei sperare che la scelta non sia dipesa dagli shipers, che volevano Ichabod e Abbie accoppiati, ma la serie è caduta nei classici intrecci da telenovela argentina. Sappiamo che, nel XVIII secolo, Katrina aveva messo Ichabod a guardia del Cavaliere Senza Testa, e quindi è ben chiaro che lei, una strega buona, era… buona. Arrivata nell’epoca contemporanea e, dopo la liberazione dal Purgatorio, scoperto che John Nob… err… che Henry Parrish è suo figlio, si accorge di avere immensi poteri cosmici (in un minuscolo spazio vitale): come ha fatto a non rendersene conto fino a quel momento, è un mistero. Lo avevo annunciato, il filo dell’illogicità non si spezza – Signor Spock, ci salvi lei. Insomma, Katrina scopre di avere enormi poteri e decide che, visto che ha ritrovato il figlio, vuole stare con lui, senza ovviamente tener conto che è il Cavaliere della Guerra – uno di quelli a cui lei e Ichabod si opponevano. Ora, io posso anche tentare di tentare di comprendere l’amore materno, ma… sul serio? Ti ritrovi di fronte ad un figlio che non vedi da 250 anni, che sta per portare l’apocalisse sulla Terra e sull’umanità che tu hai difeso e aiutato fino a quel momento, che vorrebbe far fuori il marito a cui tieni tanto (così tanto da permettergli, con un incantesimo, di ridestarsi al risveglio del Cavaliere Senza Testa)… e cosa fai? Ti ci allei? Sceneggiatori, se pensavate che fosse una buona idea… beh, no (lo devo dire, una volta a recensione)! Cari sceneggiatori, la sensazione che trasmettete è solo la volontà di incasinare una storia d’amore che funzionava, perché le telenovela con i loro triangoli amorosi tirano sempre.
Infine, non paghi dello scempio, Katrina è stata fatta morire, uccisa da Ichabod stesso. Bravi. Avete fatto la seconda cosa che non dovevate fare, e non perché io tifassi per loro (l’ho premesso, sto facendo la persona obiettiva), ma perché questi espedienti per trattenere il pubblico femminile stanno diventando fastidiosamente invadenti: li dobbiamo soffrire in Beauty and the Beast, in Teen Wolf, in The 100, in decine di altre serie tv presenti e passate… la vogliamo finire? Si passi sulle brusche virate di trama, si passi sulle puntate troppo veloci (e per dirlo io…), si passi anche sull’illogicità e le gag di Ichabod, sui dialoghi a volte non proprio ottimizzati, sulle scelte di montaggio che “meh”, e su tante altre cose, ma la seconda stagione, proprio a causa della storyline di Katrina, cade in un baratro.
Peccato, peccatissimo, perché questa season è John Noble, visto che la gran parte della storia viene fatta ruotare attorno a questo eccellente attore (definitivamente amato con il personaggio di Walter Bishop di Fringe). La scelta di rendere preponderante Henry Perrish, il Cavaliere della Guerra, poteva essere vincente per davvero, così come tutto lo show poteva essere vincente se si fosse preso un po’ più sul serio (ok al divertimento, ma davanti a certi particolari non si può tacere), avesse curato di più la caratterizzazione dei personaggi, dato un tocco particolare all’ambientazione, e reso il tutto più logico e coerente. E scelto, in definitiva, a quale genere appartenere, perché questo Sleepy Hollow è un po’ tutto e un po’ niente: poliziesco ma non giallo, horror ma troppo poco, commedia ma non commedia, fantasy ma privo di una grande trama.
Nonostante tutto, comunque, lo definirei “consigliabile” se si vuole passare un’oretta in allegria e con una serie che non costringa a troppe riflessioni.
– Lucrezia S. Franzon –