Isolani amanti di ‘Game of Thrones’, benvenuti alla recensione dedicata alla quarta puntata della quinta stagione, intitolata ‘Sons of the Harpy’ (‘I figli dell’Arpia’): un episodio a dir poco eccitante (e finalmente!), che, mentre esplora con inusitata attenzione il passato dei Sette Regni (cosa per la quale i lettori andranno matti!), getta le basi per il futuro della serie. Siete pronti a partire?
DISCLAIMER: Quantunque tenti di evitare SPOILER, la presente recensione contiene inevitabilmente quelli indispensabili a comprendere l’argomento trattato. In modo da consentirne la fruizione anche a chi ancora non avesse visto la puntata, eventuali anticipazioni più approfondite saranno coperte con l’apposito tasto SPOILER e saranno visibili semplicemente evidenziando il testo oscurato. Gli spoiler riguardanti stagioni precedenti NON saranno coperti.
Tra le storyline seguite, quella che mescola abilmente humor nero, ironia e azione è certamente quella che vede ser Jaime “Fucking” Lannister e l’ex mercenario Bronn diretti verso Dorne, in una scapestrata missione di salvataggio per riportare a casa Myrcella Baratheon. Sia i libri che le serie TV hanno sempre giocato molto sulle coppie male assortite (che però rendono molto bene) e questa, pur essendo nata dalle sole menti dei produttori dello show, non fa eccezione: le interazioni fra i due risultano sempre eccezionalmente divertenti, tanto da far dimenticare l’assurdità della trama che sono onerati di portare a compimento. Sempre a Dorne incontriamo (di nuovo, finalmente!) le Serpi delle Sabbie, le figlie bastarde di Oberyn Martell che esigenze televisive hanno ridotto da otto a tre, ma che fin da subito ci piacciono, col loro approccio cazzuto nel rispondere alla chiamata alle armi di una Ellaria Sand mai così perfida e intrigante (lettori, “non sapete niente”). Tra loro spicca Rosabell Laurenti Sellars, la (brava) interprete di Tyene Sand, prima attrice italiana ad apparire ne ‘Il Trono di Spade’. Poco minutaggio, ma la ragazza e le sorelle hanno tanto da dimostrare!
Dopo l’epilogo a sorpresa dell’ultimo episodio, ci viene svelata l’identità della “Regina” alla quale Jorah Mormont vuole portare il suo prigioniero Tyrion Lannister: non poteva essere che Daenerys, no? Ironia della sorte, anche Tyrion era diretto da lei – sebbene certo non avesse messo in conto di arrivarci legato e imbavagliato come un salame, su una barchetta rubata e senza nemmeno un goccio di vino ad alleviargli le pene del viaggio.
Come dicevamo, però, uno dei temi principali di questa puntata è il passato. Anche se questa tendenza si è manifestata nelle tre puntate precedenti, solo in quella che recensiamo oggi lo ha fatto in maniera tanto intensa da avvicinarsi alla potenza evocativa del libro. E se c’è una cosa che i romanzi di George Martin ci insegnano è l’importanza degli eventi passati e l’inarrestabile potenza delle loro ripercussioni sul presente. Nel rivangare il passato, con le parole o tramite oggetti evocativi, questa stagione scatena un senso strisciante di nostalgia, la consapevolezza profonda e struggente delle cose perdute. Ci sentiamo di dire che è la cifra stilistica di queste quattro puntate e, forse, a questo punto, uno dei temi-chiave dell’intera serie. Nell’ultimo episodio ci siamo emozionati nel vedere Jon applicare fedelmente le lezioni impartitegli da Ned, ci siamo magari un po’ commossi quando Arya ha deciso di tenersi stretta Ago e abbiamo sentito un autentico brivido correre lungo la schiena quando la serva di Grande Inverno ha sussurrato che “Il Nord non dimentica”.
Da questo punto di vista, in ‘Sons of the Harpy’ è un colpo al cuore vedere Sansa nelle cripte di Grande Inverno, intenta ad accendere ceri in memoria degli antenati, trovarsi davanti alla tomba di Lyanna Stark, sorella di Eddard, e ritrovare sul pavimento la piuma che Robert Baratheon, un tempo suo promesso sposo, aveva deposto nel palmo della statua funebre appena arrivato nel Nord, cinque stagioni e un milione di anni fa. Ma ve lo ricordate?!? Giù brividi, e pazienza se questa trama non esiste nei libri: l’emozione prevale su queste “inezie”. Non bastasse questo, si aggiunge pure Ditocorto, che ci racconta del famigerato Torneo di Harrenhal, nel quale il vincitore Rhaegar Targaryen incoronò inaspettatamente proprio Lyanna Stark come regina d’amore e di bellezza, anziché la sua legittima consorte, Elia Martell. “Quante migliaia di vite sarebbero state risparmiate, se Rhaegar non avesse scelto Lyanna Stark?”. Sansa ironizza sul fatto che quella scelta abbia portato Rhaegar a rapire e stuprare Lyanna, al che Ditocorto si limita a sorridere, con l’aria di chi la sua lunghissima.
Ma davvero, ci chiediamo, Rhaegar può aver stuprato Lyanna, come recita la vulgata dei Sette Regni? In un altro contesto – “Coincidenze? Io non credo!” (cit.) – è ser Barristan, braccio destro di Daenerys, a rievocare la figura di Rhaegar. Ce lo descrive come una persona buona, generosa, un amante della musica e della compagnia, tutt’altro che desideroso di combattere. Inizia ad essere difficile far quadrare questo ritratto con quello dello stupratore che ha scatenato una guerra civile e ridotto in cenere una dinastia centenaria. Non c’è tempo di soffermarsi, perché i Figli dell’Arpia, nascosti dietro le loro maschere dorate che li rendono simili a demoni, colpiscono con incredibile ferocia e attirano in uno scontro mortale sia Verme Grigio che Barristan: la puntata si conclude inquadrando i due combattenti, vincitori dell’epico scontro, in fin di vita. Nessuno è al sicuro, no?
Una lezione, questa, che impara anche il reuccio Tommen: Cersei mette a frutto l’alleanza con l’Alto Passero, ripristinando i privilegi del Credo militante e, in sostanza, armando i già pericolosissimi scagnozzi dedicati ai Sette dèi. Questi, capitanati dall’ormai iper-fanatico Lancel Lannister, scatenano una furia selvaggia contro i simboli del potere e dello spreco, rivelando ben presto una becera ossessione omofoba; fra le altre cose, traggono in arresto nientemeno che Loras Tyrell, fratello della Regina Margaery, accusato di essere un terribile peccatore. I tentativi di Tommen di farlo rilasciare si palesano oltre l’inadeguato, suscitando le ire della sposina.
Attenzione anche agli eventi che si svolgono alla Barriera, dove Jon diventa oggetto del desiderio di una Melisandre in versione predatrice sessuale, e si sottrae solo dichiarando di amare ancora Ygritte (nostalgia e cose perdute, ancora una volta…); il riferimento al giuramento, caro Jonsnò, non ha convinto nessuno, mi spiace. Dopo quanto visto nel terzo episodio, minutaggio prezioso viene speso ancora una volta sul morbo grigio, la malattia che affligge la dolcissima Shireen Baratheon, figlia di Stannis, che per una volta ci sorprende rivelandosi un padre eccezionalmente protettivo, affettuoso e attaccato alla figlia (no, ragazzi, nessuna ironia). Se in una serie che ha, letteralmente, i minuti contati, si torna su un argomento con questa pervicacia, è estremamente probabile che la malattia si debba rivelare ben presto importante ai fini della trama generale. In fin dei conti, è il principio della pistola di Čechov. Come e perché, però, non ci è dato saperlo.
Complessivamente, ‘Sons of the Harpy’ è senza alcun dubbio il miglior episodio fra quelli visti finora (della stagione in corso), sia per la sapienza con cui riesce a miscelare retrospettiva, introspezione e azione, mantenendo un ritmo che non conosce cali, sia per le rivelazioni e gli eventi di indiscutibile importanza che segnano tutta la puntata (sulle diverse linee temporali in gioco).
Appuntamento a mercoledì prossimo, con la recensione di ‘Kill the boy’. Vi lasciamo al promo:
– Stefano Marras –
Game of Thrones 5×04, ‘Sons of the Harpy’: recensione
Isola Illyon
+ Puntata ben scritta e ben recitata, con un ritmo che non conosce cali anche nelle fasi più introspettive;
+ Parti d'azione davvero eccitanti: nessuno è al sicuro!
+ Insolita apertura agli eventi del passato: Rhaegar, morto da una quindicina d'anni, è il convitato di pietra sia a Grande Inverno che a Meereen;
+ Ci ha incuriosito tremendamente tutta quest'enfasi sul morbo grigio: dove vorranno andare a parare i produttori?
+ Sansa che visita le cripte di Grande Inverno: brividi e nostalgia a palate;
+ Le Serpi delle Sabbie: cazzutissime!
- Compresso al massimo il ruolo di Tyrion;
- Ellaria in versione furia vendicatrice: questo stravolgimento proprio non ci va giù;
- Melisandre perde tutto il suo fascino enigmatico per proporsi in un modo che, più che altro, fa sorridere: dopo porno-Daenerys e pedo-Margaery, cougar-Mel.